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adriano.sois
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Inserito - mag 25 2002 :  22:55:02  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a adriano.sois
GRENOUILLE

Viveva un tempo sulle rive di uno stagno un maturo ranocchio. Piuttosto goffo, non bello, timido per di più; ma col tempo, di questa sua timidezza non era rimasta traccia, per come era ben riuscito a nasconderla dietro un atteggiamento burbero e scostante, talvolta addirittura aggressivo. Il suo nome era Cu e viveva in quei lidi da tempi immemorabili. Spesso, sul calar della sera, quando i raggi del sole giocano a nascondersi fra le canne della riva e le ombre si fanno più lunghe, nel silenzio anticipatore dei mille rumori che animano la campagna nelle calde notti d’estate, amava starsene pigramente disteso sulla fresca erba ed il suo sguardo si perdeva lungo la distesa quiete di quelle acque, dove da sempre aveva stabilito la sua dimora. In quei momenti, unici ed irripetibili, l’onda dei ricordi tornava a riproporre alla mente le tante domande rimaste senza risposta e, dentro di lui, riprendeva vigore la ricerca affannosa di dare un senso a quanto la vita gli aveva sino ad allora proposto.
Intanto nello stagno, il tempo scorreva sempre uguale a se stesso, scandito da una monotonia, piatta come la superficie dell’acqua, che solo raramente la forza del vento riusciva ad increspare. Di questa apparente tranquillità non vi era però traccia alcuna sul fondo oscuro e melmoso; al contrario, come in un’altra dimensione, ogni cosa vi appariva animata da un’attività frenetica e tumultuosa, della quale niente mai trapelava all’esterno. Un’incongruenza che non poteva sfuggire ad un acuto osservatore come il nostro ranocchio, che era portato dalla sua natura di anfibio a frequenti e prolungate immersioni e ne aveva presa conoscenza diretta. Sulle prime non le aveva dato gran peso, attribuendola al singolare effetto prodotto dalla luce, filtrante attraverso la massa liquida che attutiva i suoni e distorceva le immagini. Si era ben presto ricreduto, arrivando a concludere che c’era più naturalezza in quel che avveniva sotto il pelo dell’acqua, rispetto a quanto invece si svolgeva alla luce del sole e ne era rimasto sorpreso.
Un’anguilla, capitata non si sa come in quei paraggi, gli aveva parlato del mare e Cu, nonostante le scarse conoscenze che aveva in proposito, una cosa di esso aveva ben compreso: il mare cela nel proprio seno un’infinità di segreti, enormi sono le differenze che contraddistinguono la superficie dalle insondabili profondità. Non di rado però, la furia degli elementi ne sconvolge gli equilibri e, prima o poi, qualcosa finisce sempre per venire a galla. L’inaspettata scoperta, giunta a conferma delle sue perplessità, gli aveva offerto un motivo in più per tentare di venire a capo della innegabile contraddizione, rappresentata da quanto avveniva in quel minuscolo specchio d’acqua. Al momento di affrontarla con i suoi vicini, si era immediatamente reso conto che nessuno era disposto ad ammetterla e si era trovato ben presto di fronte ad un vero e proprio muro di reticenze, che, per quanto facesse, non riuscì in alcun modo a rimuovere. Ma egli era per sua natura ostinato e seguitò ad insistere, con il risultato che,in un breve volgere di tempo, intorno a lui si fece il vuoto.
La prima a prendere decisamente posizione fu la biscia, che, al termine di un lungo sproloquio sull’esistenza di leggi naturali, immutabili e soprattutto indiscutibili, che ad un povero ranocchio presuntuoso ed ignorante non era permesso di mettere in discussione, lo invitò, con tono paternalistico e pieno di sussiego, a lasciar cadere quelle che apparivano solo fisime tanto sciocche quanto prive di costrutto.
« Ciò che pretendi di aver scoperto » Aggiunse concludendo.
« Altro non è che il frutto della tua malsana fantasia. »
E si allontanò, tronfia di presunzione, sibilando e con la testa ritta sopra il pelo dell’acqua.
La zanzara fu ancor più lapidaria e liquidò la questione con uno sprezzante ronzio di disapprovazione.
Il rospo si disse dispiaciuto che un suo parente, anche se molto alla lontana, come ritenne doveroso precisare, avesse l’ardire di sollevare simili ombre sull’ordinata e pacifica convivenza della comunità.
Il luccio infine, di ritorno da una delle quotidiane razzie, arrivò al punto di minacciare il malcapitato di severe punizioni, nel caso avesse insistito nel sostenere posizioni così assurde e disdicevoli.
Questi personaggi godevano nei dintorni di grande prestigio; ce ne fu quanto bastava perché gli altri ne seguissero l’esempio ed il povero Cu, a partire da quel momento, venne da tutti evitato come un appestato. Seguirono momenti terribili, durante i quali la situazione gli parve insostenibile e, più di una volta, fu sul punto di abbandonare quei lidi, divenuti ormai per lui così inospitali. Ma la serena bellezza del luogo, che nonostante tutto seguitava ad amare, unita ad un forte sentimento d’indignazione per il torto che riteneva di aver subito, lo indussero a restare. Fra l’altro, ad onta di quella specie di bando decretato nei suoi confronti, ogni tanto riusciva ugualmente a scambiare qualche parola con animali di passaggio, che, ignari di tutto, trovavano interessante e piacevole la sua conversazione. Tutto sommato poi, l’isolamento aveva anche i suoi lati buoni; liberato suo malgrado da ogni obbligo sociale, si trovò a disporre di una grande quantità di tempo per osservare e riflettere su quanto avveniva a lui dintorno e ciò contribuì ad alleviare il peso di una solitudine, che tuttavia non cessò mai di angustiarlo. Inoltre, per quanto gli altri cercassero di sottrarsi a questa sua, diciamo così, sorveglianza, non riuscirono mai ad impedire del tutto che il suo occhio attento e indagatore s’intrufolasse nelle loro esistenze. In questo modo riusciva quasi sempre a cogliere molti degli aspetti dei vari componenti della comunità, soprattutto quelli meno edificanti. Per ritorsione vennero allora diffuse sul suo conto storie false e malevole, che contribuirono ad accentuare ancor di più il suo distacco dagli altri componenti di quell’ambiente. Ma anche così non mancarono nei confronti del reprobo manifestazioni di stima e coraggiosi tentativi di approccio da parte di qualche spirito libero. Uno di questi, un giovane porcospino per niente intimidito da ciò che si diceva in giro, venne a trovarlo ed intavolò con lui una lunga interessante conversazione. E per la prima volta gli riuscì, senza intermediari, a rendere qualcuno partecipe delle proprie concezioni sulla vita ed i rapporti sociali esistenti nel piccolo pezzo di mondo rappresentato dallo stagno.
« Ogni essere vivente» disse fra le altre cose « racchiude in sé un miscuglio composto in egual misura di qualità e di difetti. Delle prime si è naturalmente orgogliosi, dei secondi proviamo vergogna e vorremmo esserne immuni, quantomeno considerati tali dagli altri. Eppure, non è difficile rendersi conto che molti di essi, anche se non eliminati del tutto, potrebbero essere corretti, se non altro negli aspetti più deteriori. Il fatto è che, per ottenere risultati positivi in tal senso, sono necessari: un minimo di coraggio, una discreta dote di volontà, un pizzico di umiltà, tutte cose che ognuno di noi possiede, anche se in misura diversa, ma che quasi mai riusciamo ad utilizzare. E’ facile allora ripiegare sulla soluzione, in apparenza meno impegnativa, che è quella poi di tener nascosto quanto non ci piace gli altri sappiano di noi. Un giorno scopriamo per caso che tale segreto sarà tanto meglio custodito, quanto maggiore sarà l’avversione che pubblicamente riusciremo a dimostrare verso i difetti occultati, quanta più rilevanza sapremo dare alle nostre qualità positive. Ottenuto così l’altrui gradimento, che è quello che maggiormente interessa, la convivenza con i nostri vizi segreti risulterà relativamente facile; poco importa se la realtà ne risulterà completamente falsata e si acuirà il divario fra ciò che appare e quello che è realmente. La vita però, come il mare, non si lascia trarre in inganno ed arriva sempre il momento in cui queste meschine astuzie vengono a galla. La vita, questo strano oggetto che ci troviamo fra le mani e del quale, il più delle volte, non sappiamo cosa fare; dono o castigo che sia, ha sicuramente un senso che complessivamente sfugge alla maggior parte degli esseri viventi ed il minimo che si possa fare è tentare di avvicinarsi quanto più possibile ad esso. La sua comprensione, già difficile di per sé, è resa ancor più ardua da una serie di specchi deformanti e di inutili sovrastrutture, che si oppongono ai nostri tentativi di penetrare i segreti costituenti la sua intima essenza e, conseguentemente , piegarla alla nostra volontà ed intelligenza, unico modo, a me pare, per riuscire ad apprezzarla in tutto il suo valore. Di questo mi sarebbe piaciuto discutere con i miei simili, ma non mi è stato consentito, o forse, non sono stato capace di farmi comprendere. Da allora molto tempo è trascorso, ma mi è tuttora impossibile capire perché, nel mio maldestro ma sincero tentativo di avvicinarmi al mistero di ciò che siamo e perché, altro non si sia visto che un pericolo per l’esistenza della comunità.»
S’interruppe, rimanendo sovrappensiero, finché un frullare d’ali, che annunciava la partenza degli uccelli migratori verso le calde terre del Sud, lo riportò alla realtà. Si rese conto con tristezza che un altro anno era inutilmente trascorso e desiderò con forza un paio d’ali, che lo trasportassero il più lontano possibile, in un luogo qualsiasi, dove la sua ricerca avesse ancora un senso. Ma un simile luogo, come ben sapeva, non poteva esistere se non nella sua fantasia ed a questa non servivano ali per spaziare oltre l’angusto orizzonte di quella vallata.
Il porcospino intanto aveva silenziosamente ripreso il suo cammino. Il sole splendeva alto nel cielo, ma già, oltre la cima delle colline, facevano capolino con le prime nuvole le avvisaglie dell’autunno incombente. Una colonna di formiche rosse deviò bruscamente dalla propria marcia davanti a lui, un topolino ne seguì l’esempio, correndo a nascondersi precipitosamente in un cespuglio. Di nuovo quella terribile sensazione di vuoto, quell’amaro sapore di solitudine ebbero su di lui il sopravvento, per trasformarsi immediatamente in una rabbia cieca ed irragionevole. Cominciò a gonfiarsi sino quasi a scoppiare; un gracidio aspro e cavernoso, cui fece eco la risposta dei propri simili da ogni parte della palude, gli salì alla gola e si diffuse per la campagna circostante, sovrastando ogni altro rumore. Quindi, così com’era esplosa, la sua ira si acquietò ed egli rimase a lungo disteso fra le radici contorte della vecchia quercia. Un fruscìo richiamò la sua attenzione facendolo trasalire; si volse di scatto, giusto in tempo per scorgere l’intruso che se la dava a gambe scomparendo fra l’erba alta. Riconobbe senza difficoltà il suo visitatore, un minuscolo coniglio, che negli ultimi tempi aveva preso a girargli intorno, per osservarlo di nascosto e sempre molto rapido a scomparire, non appena egli dava segni di essersene accorto. Non era certo la prima volta che gli capitava di essere spiato, ben di rado però la cosa si protraeva oltre un paio di volte; in questo caso le visite furtive dello sconosciuto si ripetevano pressoché tutti i giorni da circa un mese. Decise fosse giunto il momento di venire a capo dell’enigma ed il giorno seguente, subito dopo il mezzogiorno, si distese fingendo di dormire all’ombra di una siepe di rosmarino. Trascorsi una ventina di minuti, il suo udito percepì con chiarezza qualcosa muoversi nelle immediate vicinanze. Aprì gli occhi lentamente ed evitando bruschi movimenti che avrebbero potuto spaventare l’ignoto ospite, si volse nella direzione dalla quale il rumore proveniva. Precauzione del tutto inutile perché questi, comparendo alla sua vista, non diede alcun segno di timore e seguitò a fissarlo da dietro due grandi occhi pieni di simpatia. Il nostro eroe ebbe così tutto il tempo per poterlo osservare: un musetto mobilissimo, con al centro due minuscole zanne aguzze e sbarazzine, il resto, come racchiuso in un soffice batuffolo di lana candido come la neve. Una vista insomma, capace d’ispirare fiducia anche ad un vecchio brontolone come il nostro ranocchio.
« Bene signorina,» - non vi erano dubbi, si trattava di un giovane esemplare di coniglio femmina - « Eccoti finalmente faccia a faccia con il mostro dello stagno! Ma non ti hanno messo in guardia su quanto io possa essere pericoloso e quali tremende sciagure possono abbattersi su chiunque abbia l’ardire di avvicinarmisi? Che aspetti allora, piccola sconsiderata, a fuggire più veloce che puoi, lontana dalla mia malefica influenza? »
« Non mi sono mai sognata simili stupidaggini!» - fu il suo ironico commento –
« Certo le storie che circolano sul vostro conto sono tutt’altro che edificanti, ma non è detto che si debba per forza credere a tutto quel che si racconta in giro. Magari, se tutti vi evitano, ci sarà sicuramente una ragione; di certo, ve lo sarete anche meritato e non dovrebbe essere difficile indovinarne il motivo, almeno a giudicare da come mi avete accolta. Siete senza ombra di dubbio un presuntuoso, ma ciò non significherebbe granché, se tale difetto piuttosto comune direi, non v’inducesse a lanciare accuse di falsità e doppiezza contro chiunque abbia il torto di non condividere le vostre idee. La cosa ancor più assurda è però, che pretendiate di essere considerato diverso, il che per voi significa migliore degli altri e vorreste che tutti vi prendessero a modello. Come se non bastasse, risulta, e non a me sola a quanto pare, che sul vostro passato insistono pesanti ombre, ma, se vogliamo, la solitudine in cui vivete è già di per sé una punizione adeguata. Sono certa tuttavia che, se vi decideste a lasciar cadere il vostro atteggiamento ostile e provocatorio, riconoscendo i vostri errori, potreste recuperare stima e fiducia da parte della comunità. E, per quanto ne sappia, ci potrebbe anche essere da questa una buona disponibilità a riammettervi nel proprio seno. »
Cu, superata la sorpresa suscitata dalla foga e dalla serietà, con la quale la giovane coniglia aveva pronunciato la lunga tirata, fece uno sforzo per non riderle sul muso e, con tono straordinariamente pacato, disse:
« Non mi sono mai piaciute le prediche e, meno che mai, i predicatori, ma tu mi sei simpatica e per questo non ti manderò a quel paese. Sarà bene però mettere subito in chiaro alcune questioni. Se presunzione significa essere convinti delle proprie idee, ebbene, io sono presuntuoso e non ho la minima intenzione di cessare di esserlo. Per quanto riguarda il mio passato, che fra l’altro non ha niente a che vedere con quelle idee che danno fastidio a tutti voi, anche se nessuno si è mai preso la briga di starle ad ascoltare, esso riguarda soltanto me e non vedo come qualcuno possa arrogarsi il diritto di ficcarci il naso.»
Parlò a lungo, come non aveva fatto da tempo, mettendo insieme con i fatti ed i personaggi della propria vita, riflessioni, dubbi, certezze, ansie e timori, mentre la sua interlocutrice seguiva con attenzione ogni sua parola, senza mai togliergli gli occhi di dosso. Al momento di concludere, con dolcezza per lui inusitata:
« Capisci adesso perché non intendo far niente per modificare le opinioni che gli altri hanno di me e, meno che mai, sento il bisogno di essere reinserito in questa vostra tanto decantata comunità? Essa mi è del tutto estranea, anche perché sono fermamente convinto che sia più facile sentirsi soli in una comunità di quel tipo, di quanto non lo sia restarne ai margini, in special modo se ciò corrisponde ad una scelta sofferta ma consapevole.»
« Stando così le cose»
la coniglia il cui nome era Pu, si era come riscossa da un pensiero profondo « Anche se posso comprendere le vostre ragioni, non mi è tuttavia possibile ignorare ciò che si dice della vostra reputazione e questo, per chi, come me, con gli altri ci deve convivere, ha pur sempre una certa importanza… Peccato, mi sarebbe tanto piaciuto avervi per amico»
« Sei molto assennata, nonostante la tua giovane età.» la interruppe il ranocchio « Ma io stento ancora a convincermi della tua buona fede e, come puoi ben capire, col tempo ho finito per diventare diffidente ed ho quindi bisogno di capire il vero motivo che ti ha condotta qui.»
Il suo tono si fece velatamente sarcastico:
« E’ a tutti noto come il peccato sia più gustoso dell’insipida dolcezza della virtù e mi chiedo se, per caso, venendo qui, tu non cercassi l’occasione per dare una rapida occhiata nella voragine di perdizione che mi circonda, vivendo così un’esperienza eccitante da raccontare alle amiche a riprova del tuo coraggio e della tua spregiudicatezza. Un ricordo piccante, che ti aiuti a sentirti viva, rendendoti accettabile la prospettiva di un futuro monotono e privo di slanci, come quello a cui le regole della comunità ti hanno destinato. Se di questo si tratta, guardati attorno. Riesci a vedere l’alone di turpitudine che qualcuno si è divertito ad attribuirmi? Ed il vizio, la sua profondità, i suoi segni inequivocabili dipinti sul mio viso? Ed i resti delle mie vittime, tanti che ne ho addirittura perso il conto, dove credi li abbia nascosti… insieme ai cuori spezzati, alle amicizie tradite? Piccola ingenua, convinciti che la verità è sempre meno eccitante di come la si immagina. Di fronte a te, c’è semplicemente un triste, solitario, buffo animale, che ha avuto il torto di pensare con la propria testa e di seguire gli impulsi dei propri sentimenti, per sostenere con un minimo di dignità il proprio modo di essere e di affrontare la vita. Uno che ha avuto il coraggio di essere diverso, o più semplicemente ha avuto paura di essere uguale agli altri.»
Tacque per non lasciarsi sopraffare da un sentimento di autocommiserazione, che non gli piaceva affatto e di cui provava vergogna. Poi, la naturale pazienza riprese il sopravvento in lui e con dolcezza, guardando la coniglia negli occhi, aggiunse:
« Ma sì, perché proprio tu dovresti essere diversa da tanti tuoi simili. Chiamalo istinto del branco, chiamalo come vuoi, il fatto è che non siamo venuti al mondo per vivere da soli e, per quanto gli altri siano meschini, stupidi, egoisti e malvagi, non c’è niente che li possa sostituire ed i nostri pensieri, per profondi e nobili che siano, non valgono la minima parte di una qualsiasi sciocca ed inutile conversazione con il più insulso dei nostri conoscenti!»
S’interruppe, lo sguardo smarrito nel vuoto che si era ancora una volta aperto davanti a lui, ma, quando i suoi occhi incontrarono quelli sella sua interlocutrice, che si erano fatti d’un tratto lucidi, si sentì pervaso da una sensazione dolcissima che gli mozzò il respiro, accelerando al massimo i battiti del suo cuore. E dal più profondo del suo essere, inaridito nel corso dei lunghi anni di solitarie battaglie, si fece strada un sentimento nuovo ed antico nel medesimo tempo: lo riconobbe e, col cuore gonfio di tenerezza, finalmente comprese. Ma sì, come aveva potuto essere tanto sciocco, cieco ed insensibile da non raccogliere l’accorato messaggio che quegli occhi tentavano di trasmettergli? D’un balzo le fu accanto e non ci fu bisogno di altre parole.
Mai, come nei giorni che seguirono, il sole era apparso più splendente, il cielo più limpido. La vita delle due creature trascorreva serena, immersa in un’atmosfera di gaia spensieratezza, che non lasciava spazio alla tristezza e alle meschinità del vivere quotidiano. Fu per entrambi un’insperata, piacevolissima scoperta, fatta in prevalenza di momenti di tenerezza, ma anche di un fittissimo scambio di emozioni, di idee, di meravigliose speranze. Un gioco fantastico e sempre nuovo, al quale il segreto del loro rapporto conferiva un fascino tutto particolare, nel quale essi si gettarono a capofitto e senza riserva alcuna.
Per quanto possa sembrare strano, non esistono argomenti che una rana e un coniglio non siano in grado di affrontare e il solo racconto delle rispettive esistenze, lunga e tormentata quella di lui, breve e senza scosse quella di lei, occupò sulle prime la maggior parte delle ore che trascorrevano insieme. Ma i loro pensieri non erano volti solo al passato e la ricca ed inesauribile immaginazione fornì loro per il futuro un vastissimo campionario di progetti, costituito principalmente da quella straordinaria materia prima, con la quale coloro che si vogliono bene, costruiscono i loro sogni più belli. Unico cruccio, che poi rappresentava anche il sottile piacere della trasgressione, era dato dal timore che questa, a dir poco, singolare amicizia venisse scoperta. Sapevano bene che un connubio di tal genere non avrebbe mai avuto diritto di cittadinanza nel mondo chiuso e meschino dello stagno, i cui abitanti concepivano come unico rapporto possibile fra animali appartenenti a specie diverse, quello che di norma s’instaura fra il cacciatore e la preda. Di questo però non si dettero pena più di tanto e l’estrema segretezza con cui proteggevano i loro incontri, fu tale da impedire che la cosa venisse risaputa in giro. Il tempo scorreva con una velocità impressionante ed essi escogitarono un ingegnoso sistema per mantenere aperto un canale di comunicazione, anche quando, per oggettive esigenze, erano costretti a stare separati. C’erano momenti infatti, che la coniglia trascorreva insieme agli appartenenti della propria famiglia a pascolare su di un verde prato, degradante sullo specchio d’acqua del lago; in tali occasioni, il nostro eroe si acquattava fra le radici di un vecchio e maestoso salice e da lontano, senza esser visti, i loro sguardi s’incontravano, seguitando a svolgere il filo di un colloquio ideale, muto, ma non per questo, meno denso di fascino.
Venne l’autunno e con esso le prime nuvole sembrarono frapporre ombre scure sull’orizzonte. Un pomeriggio, Cu, sempre sensibile ad ogni mutamento d’umore della compagna, si rese conto dal suo atteggiamento che qualcosa non andava per il verso giusto. Intenzionato a scoprirne le cause, le si avvicinò e, con una voce che non riusciva a nascondere una sottile inquietudine, le disse:
« La sincerità è l’ingrediente primo di ogni solido rapporto: ne abbiamo insieme convenuto e ci siamo impegnati a costruire i presupposti per tenerla in vita il più a lungo possibile e sempre al massimo livello. Cos’è dunque che ti turba a tal punto e riempie i tuoi occhi di tanta tristezza?»
La verità apparve in tutta la sua evidenza dalle parole di Pu:
« Tu significhi molto per me, più di quanto non ti sia dato immaginare. Chi ha la fortuna di starti vicino, vive un’esperienza unica ed irripetibile, perché la tua forza interiore, la sensibilità, la dolcezza di cui ogni tuo gesto è improntato, sono una merce rara e preziosa, una specie di medicina della quale, una volta provata, non è possibile fare a meno, un farmaco salutare per la mente e per il corpo, che ha completamente cambiato il corso della mia vita, dandomi forza e fiducia nei miei mezzi. Hai aperto per me una finestra su di un mondo fantastico, che solo a pochi eletti è dato di conoscere, dal quale sono banditi tristezza e meschinità e dove regnano incontrastati tenerezza e felicità. Al centro di questo magico mondo hai collocato questa piccola, insignificante creatura e di questo ti sarò grata sinché avrò vita. Oggi mi accorgo però che questo regno della beatitudine lo stiamo semplicemente sfiorando e, in rapporto a quello che invece potrebbe essere, non mi basta più. E’ una sorta di supplizio di Tantalo, al quale non ero preparata ed ho tanta paura di non poterlo sopportare ancora a lungo. In altri termini, significa che desidero, come non mai, condividere con te ogni istante della mia giornata e, quale che sia il prezzo, quali le condizioni, sono disposta ad affrontarli. Fai solo un cenno e ti sarò accanto per sempre.»
« Se tu potessi leggere dentro di me,» rispose il ranocchio
« scopriresti che il tuo desiderio è anche il mio. Anche su di me pesa maledettamente una condizione che ci costringe a comportarci come ladri, che vivono nel continuo terrore di essere scoperti e ciò frena i nostri slanci più belli e rischia d’introdurre un sottile veleno nei momenti di felicità che riusciamo a concederci. Anch’io, come te, desidero uscire da una situazione che non è certamente quella che vorrei che fosse, per gettare in faccia a questa gretta e stupida comunità la luce di una felicità che essi non avranno mai la fortuna neppure di sfiorare. Ma se tu oggi ti senti sicura e disposta a sfidare il mondo intero, devi essere preparata ad una sfida destinata a durare molto più a lungo di quanto non possa immaginare ed io non sono ancora completamente certo che saresti in grado di sostenerla. Dubito anche che il mio affetto, la mia amicizia, la mia vicinanza possano compensarti del male che gli altri inevitabilmente ti arrecheranno. Ma i dubbi riguardano anche me personalmente e mi fanno temere di non riuscire a battermi con la stessa determinazione che finora mi ha sorretto, avendoti vicina e quindi sotto il peso di una responsabilità nuova, che i mille problemi della vita in comune non contribuiranno in alcun modo a rendere meno complessa. Non si tratta di questioni insormontabili, tuttavia, nemmeno da sottovalutare del tutto. Ho la massima fiducia in te, ho avuto modo di apprezzare la tua dedizione ed il tuo coraggio, la tua grande capacità di sacrificio e non voglio affatto rinunciare a realizzare questo meraviglioso sogno. Ma, poiché, un mese più, un mese meno, significano ben poco di fronte alla vita che abbiamo ancora davanti a noi, ti chiedo semplicemente una riflessione più accurata, che ci consenta di partire col piede giusto, senza correre il rischio di esser costretti a tornare indietro.»
E’ facile comprendere come tali argomenti fossero difficili da esprimere per quel semplicione che, in fondo, era il ranocchio e come l’importanza della posta in gioco non contribuisse a renderli più facili. La risposta che egli dette suonò perciò quantomai confusa e di non facile comprensione e, anche se Pu diede segni di averla accettata per valida, nel suo animo qualcosa mutò ed ogni cosa divenne, sia pure impercettibilmente, più difficile di prima.
L’inverno trascorse senza grandi mutamenti e nessuno dei due riprese l’argomento, ma nel cuore della coniglia, il rifiuto, perché come tale l’aveva inteso, produsse una ferita che non si sarebbe più rimarginata ed introdusse nel rapporto preoccupanti elementi di reciproca incomprensione. La sua genuinità ne rimase offuscata a tal punto, da farla sentire in alcuni momenti come costretta in una specie di gabbia che, ogni giorno di più, ne soffocava slanci ed entusiasmi. Cu, incapace d’interpretare il cambiamento, nel quale avvertiva un pericolo incombente, fece ricorso a tutta la propria sensibilità e tenerezza, per mantenere aperta una breccia nella corazza della compagna e in parte vi riuscì, ma la tensione accumulata minacciò di sommergerlo, mutando in peggio quelle qualità di spavalda sicurezza e di capacità raziocinante, delle quali era sempre andato fiero. Non ci furono né litigi né contrasti, ma appariva ormai chiaro che il magico filo ideale, che aveva così saldamente unite le due esistenze, si andava allentando ed in lui subentrò per la prima volta la paura. Una paura senza volto, dai contorni indefiniti, ma non per questo meno carica d’angoscia, che popolò di incubi le sue notti e lo fece stare col fiato sospeso durante i periodi di separazione, coincidenti con le trasmigrazioni ricorrenti che il branco dei conigli faceva alla ricerca di nuovi e più fiorenti pascoli. E ad ogni ritorno di lei sulle rive dello stagno, questa paura, anziché diminuire, prendeva maggior forza, facendogli intravedere pericoli ovunque ed inducendolo a comportamenti sciocchi e contraddittori, che contribuirono ad appannare ulteriormente la stima che ella ancora nutriva nei suoi confronti. La saldezza del legame resse tuttavia un’altra estate ed un altro inverno, durante i quali i momenti felici, sempre più rari, si alternarono a fasi di acuto disagio per un rapporto che sembrava avviato ad una inevitabile, scontata conclusione. Nonostante tutto, Cu non si dava per vinto ed in mille modi tentò di ritrovare il bandolo di una matassa, che si andava ogni giorno di più arruffando. Escogitò le soluzioni più assurde, ipotizzò miracolistici avvenimenti in grado di riportare le cose al punto di partenza, cercò, nel corso di lunghi colloqui, di riaccendere un interesse che in lei si andava spegnendo. Dentro di sé era però consapevole che ogni fatica sarebbe stata inutile e che la situazione non presentava sbocchi.
Nel frattempo, quasi per un maligno scherzo del destino, la coniglia, fattasi adulta, risplendeva di una bellezza nuova, mentre egli avvertiva per la prima volta il peso degli anni. Durante un periodo di relativa serenità che fece seguito ad un ennesimo colloquio di chiarimento, in una notte buia e senza stelle, fece un sogno.
Sognò di essere tornato giovane, prestante e pieno di energie; la superficie del lago splendeva invitante sotto i raggi del sole d’agosto, che traeva da essa bagliori di fuoco. Pu saltellava sul prato e, per quel che la segretezza della loro relazione poteva consentire, lanciava verso di lui occhiate dolci e maliziose. Egli fu preso allora da una strana frenesia ed iniziò a gonfiarsi e pavoneggiarsi per mantenere desta l’attenzione di lei; salti, tuffi, piroette, lunghe immersioni…. Improvvisamente e senza una ragione, lo sguardo di lei mutò direzione disinteressandosi completamente di quanto egli andava facendo. Continuando ad agitarsi in quella strana danza, che ingenuamente aveva sperato potesse ricreare il clima di quello splendido autunno, non si accorse del subdolo avvicinarsi della grossa biscia, che, in men che non si dica, lo afferrò fra le sue spire, traendolo verso il fondo del lago. Cu si divincolò disperatamente, cercando di attirare l’attenzione della sua compagna, che si volse verso di lui, ma non fece assolutamente niente per cercare di aiutarlo, mentre veniva inesorabilmente inghiottito dalle acque. Anzi, un istante prima che queste si richiudessero sopra la sua testa, si allontanò con ostentata indifferenza risalendo il pendio erboso. L’angoscioso sgomento che lo aveva attanagliato cedette il posto alla rabbia, folle, incontrollata; non poteva finire così, non lo avrebbe consentito e d’incanto le sue forze si moltiplicarono, restituendogli le energie dei giorni migliori e, con uno sforzo sovrumano, si gonfiò sino al punto di fiaccare la forza con cui la serpe lo teneva avvinto, costringendola a mollare la presa. Con due rapidi movimenti degli arti posteriori, riguadagnò la riva e cominciò a risalire il colle in veloce progressione. Ma, per quanto si muovesse con rapidità, la distanza che lo separava da Cu non accennava a diminuire. Quasi senza avvedersene si trovò sulla cima della collina, dove si fermò per riprendere fiato. Giù in basso, a perdita d’occhi, le terre sconosciute di cui aveva sempre sentito parlare. La sua attenzione si concentrò su di un punto, qualche centinaia di metri in direzione della valle alla sua destra, dove un grosso branco di conigli stava pascolando. Tentò di individuare fra essi la candida pelliccia di Pu, il suo dolce musetto, ma da quella distanza, gli animali apparivano tutti uguali, impossibile distinguerli l’uno dall’altro. Si avvicinò ancora, ma tutto fu invano. In preda a ad una disperazione profonda, non sapeva più cosa fare, quando giunse provvidenziale il risveglio a liberarlo dall’incubo. Pur consapevole che si era trattato di un sogno, sentiva ugualmente su di sé il peso di una stanchezza innaturale, quasi che l’affannosa corsa fosse realmente avvenuta ed in cuor suo cominciava a farsi strada la sensazione che le immagini vissute nel sogno avessero un significato che non lasciava spazio alla speranza. Vide con chiarezza che il tempo delle illusioni era tramontato, spazzato via per sempre e nulla e nessuno avrebbero potuto più farlo rivivere.
Le prime luci dell’alba rischiaravano un paesaggio immobile e silenzioso; tra poco sarebbe ripresa l’animazione di sempre ed ognuno si sarebbe dedicato alle consuete attività. Solo lui non aveva assolutamente niente da fare, se non attendere. Fu una lunga attesa, che si protrasse per l’intera mattina ed una parte del pomeriggio; il sole cominciava a scottargli la pelle, resa asciutta dal prolungato periodo trascorso fuori dall’acqua. Ciononostante, seguitò a rimanere immobile, intento solo a seguire i tetri presentimenti che il sogno gli aveva lasciato e non accennavano ad abbandonarlo. Finalmente Pu fece la sua comparsa, sbucando dall’erba e si venne ad accovacciare al suo fianco. Iniziò fra i due uno strano dialogo, fatto di banalità e di cose senza importanza, poi si frappose fra loro un profondo silenzio che si prolungò per alcuni lunghissimi minuti.
« Non sembrano molte le cose che oggi abbiamo da dirci» Fece il ranocchio « E’ veramente un brutto segno quando due come noi non riescono ad andare oltre queste insulsaggini. C’è però un metodo per far salire il tono della nostra conversazione: dirci cioè, una volta per tutte, quello che abbiamo cercato d’impedire venisse fuori. Che è come dire, darsi atto del perché le cose fra noi non funzionano più. La verità, per sgradevole che sia, ha pur sempre maggior dignità degli artifici inutili, ai quali siamo costretti a ricorrere per colmare i nostri silenzi!»
E il tono questa volta salì davvero, ma rese evidente che l’evento tanto temuto, si stava purtroppo verificando, al di sopra della loro stessa volontà e non sarebbero più stati in grado di evitarlo. Nonostante l’ottima qualità, il cemento che aveva così
a lungo tenute insieme due creature tanto diverse, la barriera che li aveva protetti dal mondo esterno, non aveva resistito alle insidie che la realtà aveva disseminato lungo il loro cammino. Non aveva retto alle angustie del segreto, in cui troppo a lungo erano stati compressi i loro sentimenti, scricchiolando sotto il peso dell’abitudine; si era incrinato quando il coraggio iniziale, che aveva rintuzzato gli assalti del tempo, dello stacco generazionale, delle diversità di razza, era venuto meno. E proprio nel momento in cui ne avrebbero avuto maggiormente bisogno per affrontare i rischi di una scelta difficile. Aveva infine ceduto, sotto l’azione disgregatrice della falsa illusione, che da soli, l’affetto, la stima, la fiducia reciproca, potessero costituire un mondo in cui vivere a dispetto di tutti. Un complesso di cause, nessuna di per sé determinante e, meno che mai, tale da giustificare il verificarsi dell’evento, del quale erano costretti a prendere atto. Tant’è che nessuno dei due ardì affermare esplicitamente che, in quel momento, si chiudeva una fase, forse la più importante della loro esistenza e a nulla sarebbe valso tentare di richiamare in vita ciò che era morto, non esisteva più.

L’uomo tacque, interrompendo il racconto e rimase per alcuni istanti assorto, fissando un punto imprecisato davanti a sé. Il respiro regolare proveniente dalla poltrona nella quale stava rannicchiata la bambina, ne tradiva il sonno profondo. Si chinò su di lei, le carezzò lievemente la fronte e, adagio per timore di destarla, la prese tra le braccia avviandosi verso la cameretta. Qui giunto, la depose con cautela sul letto, rimboccandole accuratamente le lenzuola. Poi, in punta di piedi, fece ritorno in salotto, spense le luci e stette immobile a guardare attraverso i vetri della finestra. Fra poco i genitori della piccola sarebbero rientrati sollevandolo dall’incarico ed egli avrebbe potuto fare ritorno a casa, al riparo delle pareti del minuscolo appartamento,dove da anni, si era ritirato in completa solitudine e che non abbandonava quasi mai, se non in occasioni come quella.
« E’ strano,» si sorprese a pensare « quale straordinaria capacità d’intuizione posseggono a volte i bambini.»
Si era da poco avventurato nell’improvvisazione di quella strana fiaba, che già la piccola Laura aveva afferrato il nesso inesistente fra i personaggi della storia ed una fase, certo molto sofferta, della vita dell’uomo, cogliendone la sua indubbia somiglianza con il ranocchio. Il sonno fortunatamente era arrivato al momento opportuno, sollevandolo dall’obbligo di un lieto fine, che la bambina avrebbe certamente gradito, ma che per lui sarebbe stato difficilissimo inventare.
« Che storia triste nonno» aveva bisbigliato un istante prima di cedere al sonno « Quanta pena quel povero Cu… E tu quanto devi aver sofferto.»
Ed era vero, si era trattato di una sofferenza al limite della sua capacità di sopportazione e quella ferita, apertasi nel suo animo al culmine della maturità, non si era più rimarginata e ancora oggi, dopo tanti anni, la stessa sensazione di sgomento tornava a farla sanguinare. Come allora, quella domanda rimasta senza risposta continuava a tormentarlo, martellandogli nella mente: come era potuto accadere e perché. Si, è vero ogni cosa a questo mondo è inevitabilmente destinata a finire, anche ciò che appare indistruttibile, ma quando si verifica, non si può fare a meno di ricercarne una motivazione, che troppe volte non c’è. Aveva cocciutamente cercato di trovarla, dapprima nelle lunghe estenuanti discussioni con colei, che per tanto tempo aveva rappresentato il centro del suo mondo, il punto d’arrivo di una ricerca durata tutta la vita, poi, nelle elucubrazioni solitarie, che finivano inevitabilmente per ricondurlo al punto di partenza. Cioè un vicolo cieco, nel quale si dibatteva inutilmente senza riuscire a venirne fuori. Eppure, nonostante tutto, contro ogni ragionevole possibilità, aveva continuato a sperare, per mesi, per anni, che il fiore di quell’amore, così inspiegabilmente appassito, tornasse a fiorire. Finché un giorno, aveva deposto le armi e con l’ultimo residuo di dignità, si era strappata dal cuore l’assurda speranza e si era tratto in disparte, cercando nell’affetto della nipotina quel calore di cui il suo vecchio cuore sentiva ancora prepotente il bisogno. Era riuscito così a sopravvivere in qualche modo, ma, ogni giorno, qualcosa moriva dentro di lui e, quella sera, la favola improvvisata aveva riportato a galla il vuoto che non era mai riuscito a colmare e, con esso, l’amarezza di un sogno così assurdamente svanito. In fondo, il ranocchio della fiaba aveva su di lui un innegabile vantaggio: quello di una vita più breve, di un più rapido approdo alla dimensione senza spazio e senza tempo, dove al termine del viaggio, si placa ogni dolore, cessa ogni sofferenza. Provò ad immaginare quel momento: la mente, che piano piano si annebbia, il cuore che rallenta i battiti, la lingua impastata, incapace di pronunciare alcun suono, infine uno schianto, un bagliore accecante, a rischiarare, ma solo per un attimo, la voragine in attesa di inghiottirlo.
Ma ecco che, sul vetro della finestra, come su di uno schermo, si delinea l’immagine di due occhini sorridenti e pieni di dolcezza, che ammiccano maliziosamente nella sua direzione, un’espressione sbarazzina, invitante, una piccola radura ai margini del bosco, illuminata dal tiepido sole di settembre, le braccia di lei protese nel gesto dell’offerta…. Il volto dell’uomo s’illumina, negli occhi una lucentezza nuova, li accende di una gioia immensa, smisurata.
Lo troveranno così, più tardi, rannicchiato sotto al davanzale, sul viso un’espressione d’intensa serenità.
« Sembra che dorma» diranno « Che stia facendo un sogno stupendo.»

Viveva un tempo sulle rive di uno stagno un maturo ranocchio. Adesso che niente lo può più ferire, saltella felice e leggero su di un prato verde che non ingiallisce mai.
Accanto a lui, fissandolo negli occhi, sorride una piccola coniglia dalle zanne sbarazzine, dal manto soffice e candido come la neve.


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Inserito - mag 25 2002 :  23:32:37  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Beppe  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Beppe
Complimenti Adriano.. molto bello questo racconto, denso di poesia e di vita. Grazie.

Se vuoi l'unico misero suggerimento che vorrei darti e' solo per facilitare la lettura.. metti dello spazio.. una riga ogni tanto solo per riuscire facilmente a seguire la lettura che sullo schermo è un pochino meno agevole che su di un libro..

Grazie ancora!


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