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Roberto Mahlab
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Gerusalemme, dicembre 2001

Le svolte, momentanee o meno che siano, hanno un momento decisivo, di partenza. Certo le vicende umane sono complesse al punto che non si puo' predire che avverra' nel futuro, ma si puo' solo verificare una tendenza e forse e' interessante allora concentrarsi sull'ascolto documentaristico degli avvenimenti d'attualita'.

Nel tardo pomeriggio del 13 settembre fu trasmessa negli ambienti interessati l'informazione che Arafat aveva appena parlato in arabo chiedendo alle varie correnti delle organizzazioni palestinesi di rispettare la tregua che di li' a poco sarebbe stata concordata tra lui e il ministro degli esteri di Israele, Shimon Peres. Questo discorso fu preso sul serio e parti' la maratona diplomatica che avrebbe condotto ad una ripresa di timide trattative. Fu preso sul serio per la ragione che era estremamente raro che Arafat avesse o il coraggio o la volonta' di imporre o proporre l'osservanza del cessate il fuoco e per la ragione che era sua abitudine fino ad allora fare dichiarazioni moderate in lingua inglese di fronte alla stampa internazionale e non farle o farle con parole opposte in lingua araba di fronte alle diverse correnti delle organizzazioni palestinesi.
In questi giorni la pressione internazionale ha spinto Arafat ad intervenire nuovamente in lingua araba per ordinare alla sua polizia di tentare l'arresto dei militanti delle fazioni del fondamentalismo islamico, responsabili delle stragi suicide all'interno di Israele.
Questi tentativi si sono scontrati gia' con la reazione violenta delle milizie della Jihad islamica e di Hamas, le milizie cioe' che intervengono sistematicamente con le loro stragi ogni volta che il riavvicinamento tra le posizioni diplomatiche di Israele e dei Palestinesi prende corpo.
In queste ore difficili cioe' sia Israele che i Palestinesi sono chiamati ad una scelta di campo che dovrebbe evitare complicazioni ulteriori nel corso dell'intervento internazionale contro i gruppi del terrore organizzato.

Gli stessi ambienti suggeriscono oggi una visione piu' comprensiva del mancato accordo di Camp David dello scorso anno, mancata firma che fece andare su tutte le furie dirigenti arabi come il presidente egiziano e il re giordano e che provoco' di li' a breve, come riportarono gli articoli di fondo dei giornali dei paesi arabi dell'epoca, la cessazione per stanchezza delle manifestazioni pubbliche negli stessi paesi a sostegno della causa palestinese, un quotidiano ufficiale egiziano parlo' nel suo fondo addirittura di "disgusto" di fronte all'occasione mancata. E' verosimile che le minacce alla vita di Arafat in caso di firma sarebbero state messe in pratica, sono oggi note le azioni preventivate dai gruppi fondamentalisti per uccidere la famiglia reale giordana, le stragi di New York e Washington sono l'onda lunga di una operazione criminale in progressione gia' da anni e solo la capacita' della polizia dei paesi europei e le fonti di informazione interne nei paesi arabi moderati avevano impedito al gruppo di terroristi di avere un territorio controllato da cui partire per la conquista dei pozzi di petrolio e dei reami del golfo, probabilmente la successiva cacciata dal territorio afgano sara' sufficiente per evitare che il paese divenga nuovamente in futuro base di partenza per mettere in pratica le mire di potere, gli errori di startegia di Bin Laden non vengono considerati rimediabili.

Nel corso degli incontri tra le delegazioni israeliana e palestinese la scorsa estate, uno dei negoziatori isrealiani rese noto durante una relazione di essere stato turbato dall'approccio di Arafat di vedere le "cose o bianche o nere" (testuale come e' stato riferito). Ne' il governo israeliano ne' la dirigenza palestinese hanno oggi interesse a mostrarsi minimamente impegnate dalle parole di Bin Laden che ha proposto un linkage tra le sue attivita' criminali e il conflitto locale in medio oriente, in effetti la reazione e' stata piuttosto di incredulita', un conto e' un conflitto locale da cui uno alla volta buona parte degli antichi protagonisti sono riusciti ad uscire con soddisfazione, dall'Egitto alla Giordania e che oggi rimane limitato alla pur difficile risoluzione delle divergenze territoriali sul futuro stato palestinese, un altro conto e' pretendere di utilizzare questo conflitto come base per attivita' ad esso del tutto scollegate.
Negli ambienti si fa' presente che Arafat si trova di nuovo di fronte alla decisione di rischiare la propria vita e di appoggiarsi alle risoluzioni per risolvere la questione mediorientale, oppure di aspettare ancora, un'attesa, si sottolinea, che ha portato alla perdita di un anno di tempo e di molte vite, semplicemente perche non esiste modo di arrivare alla pace se non con reciproche e soprattutto pratiche concessioni.
A differenza di osservazioni ideologiche presenti in occidente, la situazione israelo palestinese non avra' mai uno sbocco se non a seguito di un accordo diretto tra le due parti, un conflitto armato o strisciante senza incontri diplomatici non portera' mai alla modifica della situazione sul campo, questo e' lo sforzo degli intemediari seri e che sia Israele che i Palestinesi ascoltano.

In oriente di solito si e' fatalisti, il fatalismo consiste nell'accettare sia i momenti bui, sia quelli sereni e chi conosce l'oriente sa che e' sufficiente un momento sereno per cancellare dagli animi tutti i momenti bui e anche viceversa con una velocita' che meraviglia, qundi dovrebbe essere relativa la preoccupazione quando vengono enfatizzate dalla stampa posizioni limitate che possono apparire estremiste o indicare un pericoloso avvicinamento al limite di non ritorno. In oriente non e' cosi', ogni atto e' una mossa su una scacchiera.

Bob Porter - Cns - Concerto News System - @2001





   
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