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 La gabbia
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nevy
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Inserito - 17/01/2004 :  22:06:58  Mostra Profilo  Visita la Homepage di nevy Invia un Messaggio Privato a nevy
Aveva davvero creduto di farcela, a lasciare la gabbia: prima o poi.
Si era detta: “Domani.”
Si era detta: “L’ anno prossimo.”
Ci stava ancora dentro, serrata da lance rugginose saettanti fino alle nuvole, ogni attimo sempre più alte. E i domani s’ erano accumulati, gli anni erano trascorsi e lei era rinchiusa dentro al cerchio insieme a tanti altri che pure non parevano sentire il peso della limitazione, mentre i pochi, i pochissimi che stavano fuori, passavano lì accanto e neppure li vedevano.
Dentro - Fuori. Così stavano le cose.
Una mattina lo vide. Dentro. Anche lui. Nella folla del mercatino rionale.
Lui, no, impossibile. Lui doveva essere fuori, libero, un palloncino che vola, la funicella strappata di netto dal macigno che lo frenava, di un blu acceso. O forse verde. Uno dei colori che dipingono i sogni. Così.
Vecchio, ingobbito, zoppicava. Lei lo fissò incredula (è lui, no, non è lui), lui alzò lo sguardo dal banchetto di libri usati. I loro sguardi si incontrarono. Di scatto lui si girò, dandole le spalle. Si allontanò a passo strascicato. A lei parve che si lasciasse dietro una scia come fa la lumaca.
L’ incontro, se così poteva chiamarsi, la scosse. Rimase testardamente attaccata all’idea:
“ Non è lui. Non può essere lui. Mi sono sbagliata.”
Lui apparteneva al passato. Lontano: quando i sogni si destavano guizzanti nell’ aria del mattino e s’ accompagnavano ad ogni suo passo. Perché, sapete, mica è vero che i sogni si fanno solo di notte e svaporano con l’ alba. Nossignore. Ci sono dei momenti nella vita, momenti di gioventù, di forza, di speranza cocciuta, in cui i sogni ti stanno appiccicati tutto il santo giorno. E sono sogni, proprio, non pie illusioni. Con tutto il loro seguito di aspettative, di sorrisi e di “vedrai!”. E in quei momenti mica si mente a se stessi, sognando sogni così, perché i sogni pare che vivano di vita propria e non sei certo tu a metterli in piedi, e sono fatti di cose vere che aspettano solo dietro l’ angolo che tu le vada a cogliere. Ben radicati, ben definiti. Chiari come la luce.
Ma quando la vita si colora di grigio, si opacizza e tu speri un po’ meno, sempre meno, ecco, loro se la danno a gambe e una mattina ti svegli nuda dei tuoi sogni. Solo allora incominciano le illusioni, tristi travestimenti, burattini colorati che non fanno ridere e tu compri l’ abito nuovo, cambi look e ti danno dieci anni di meno di quelli che hai, sì e poi? sei sempre tu, sola, su una strada deserta. Alla fine, quando è tardi, ti accorgi delle cancellate ed allora capisci: “ Ci sono dentro.”
Onestamente alcuni si chiedevano il perché, il come c’ erano cascati lì dentro. Magari lo trovavano oppure lo inventavano come per avere una giustificazione. Altri non si davano pace e finivano per uccidersi, altri ancora dovevano venir rinchiusi in luoghi dalle pareti bianche, con luci tenui e fiale ben sistemate su tavolini di acciaio. Ma i più erano fortunati e non se ne accorgevano, scambiavano le illusioni per i sogni veri e credevano che tutto andasse per il verso giusto.
Così stavano le cose quando lei lo aveva visto al mercatino, chino su vecchi libri.
Era tornata a casa, camminando lentamente. Aveva posato la spesa, lattuga, carote e formaggio, sul tavolo di cucina, aveva appoggiato le mani sul bordo del secchiaio e aveva incominciato a piangere.
Dio, come ne era stata innamorata.
Era stato il suo sogno più bello, quello che era stato lì lì per realizzarsi. E se non era accaduto, era dipeso dal fatto che i Sogni, quelli con la s maiuscola che lui sognava, la spaventavano. Ecco, sì. Lei aveva sogni piccoli, lui grandi sogni che comportavano scelte definitive. Ne aveva avuto paura. Gli aveva detto addio anche se il cuore le faceva un gran male da come batteva forte, impazzito. Gli aveva anche chiesto scusa per non essere coraggiosa e forte come lui. Si era sentita un verme. L’ aveva lasciato seguire i suoi Sogni.
Lui l’ aveva avvertita che con sogni piccoli non sarebbe arrivata da nessuna parte: avrebbe finito per svolazzare intorno alla luce in circoli sempre più larghi, fino a rimanere, cieca, senza più luce. Infatti la luce s’ era spenta e lei, che non aveva grandi occhi luminosi a guidarla, aveva perso la strada e tutto quanto. Questo era accaduto a lei. Ma a lui? che aveva creduto potesse cavalcare i Sogni, realizzare il canto compiuto di se stesso, a lui che era accaduto? E perché?

La settimana successiva ci fu ancora il mercatino con le sue bancarelle un poco sghembe colme di verdura, di frutta, di fiori, di vesti svolazzanti nell’ aria, di vecchie riviste e di libri. Lei lo cercò fra la gente, ma non lo vide.
Solo tempo dopo ed era ormai trascorso un mese e il caldo affogava le strade e dal cemento si levavano ondate di calura tremolanti nell’ aria, eccolo: “E’ lui.” si disse.
Su una panchina in uno sputo di verde, fra alberi infiacchiti dallo smog e dalla polvere.
Si avvicinò. Proprio lui. Senza dubbio: manco l’ ombra di un dubbio.
D’ improvviso sentì un sussulto dentro: un battito sfarfallante, un attimo di confusione, un rigurgito di passato.
Dio, l’ amava ancora. E poiché l’ amava, gli si fece vicina, gli sedette accanto e, gentilmente, per non farlo fuggire, lo prese per mano, gli sorrise e non gli chiese come mai anche lui fosse finito lì, con tutti loro. Non era così importante, in ultimo.

****

Due vecchi, un lui e una lei, su una panchina in quattro metri di spazio ritagliato nel traffico, mano nella mano. Nessuno li nota. Nessuno s’ accorge che un cancello s’ è aperto, una porta scricchiolante sui cardini si è spalancata e da lì occhieggiano un filo di luce, l’ ala di una rondine, una goccia di pioggia, una bava di ghiaccio: un sogno, in ultimo, s’ è realizzato. Un piccolo sogno.


   
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