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 Una mano per chi?
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lori
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UNA MANO PER CHI?

La ragazza era sul letto completamente vestita e con le scarpe ancora ai piedi, sembrava che si fosse sdraiata per un piccolo riposo. La leggera coperta di cotone era zuppa di sangue. Il corpo sembrava integro e non si capiva da dove fosse venuto tutto quel sangue. Si mise i guanti e si accostò al letto. Era il primo caso di omicidio per l’ispettrice Bacci. Omicidio. D’istinto aveva scartato ogni altra ipotesi. Un incidente non era davvero, a meno che non fosse caduta di spalle su un coltellone conficcato sul letto. Naturalmente dalla parte della lama. Suicidio? Ma perché suicidarsi con tanto spargimento di sangue? Lei non l’avrebbe fatto. Un bel flacone di sonniferi era il suicidio perfetto. Ma quella sdraiata sul letto non era lei, anche se avevano all’incirca la stessa età. Poteva essersi tagliata le vene. Si avvicinò per osservare i polsi. Sembrava la mano di una Barbie, le dita rigide e innaturali. Artigli protesi ad acchiappare la morte attraverso una lametta?
Sfiorò con i guanti di lattice le dita esangue, fece per voltare la mano per osservare i polsi ma la mano restò tra le sue, completamente staccata dal braccio. Chiuse gli occhi e ricacciò in gola l’urlo che affiorava. Le avevano mozzato una mano. Forse tutte e due.
“Venite a vedere” – chiamò i colleghi che stavano facendo il sopralluogo.
Anche l’altra mano era mozzata, di netto. “ E che era musulmana? Legge del taglione?” disse con cinismo Micheli.
“Micheli, chiami la scientifica e il procuratore, questa poveretta è musulmana quanto noi”, ordinò decisa. I colleghi non avevano accettato di buon grado la sua nomina a Ispettore della squadra mobile. Ogni atteggiamento umano sarebbe stato giudicato “da femmina”. Ma dovevano prendere atto che i tempi erano cambiati, era l’ora di smettere di pensare che nella polizia la massima aspirazione per una donna fosse fare l’agente motociclista.
Ora la mano non era più accostata al braccio. Il taglio era stato preciso, sicuramente una mannaia oppure un accetta da boscaiolo. Dovevano essere già passate diverse ore, le vene si erano ritirate e solo i tendini bianchi schizzavano tra la carne rossa granellata di bianco. Se un’amica troppo ansiosa alla quale aveva dato buca ad un appuntamento non avesse avvisato la polizia chissà quando l’avrebbero trovata.
Conosceva solo il nome della ragazza che giaceva sul letto: Fabiola Artieri. Aprì la borsa appoggiata su una sedia e prese la carta d’identità. Aveva 32 anni, era nata tra le montagne del Pistoiese e forse si era trasferita a Firenze per lavorare. L’amica aveva detto che viveva da sola, nessun legame affettivo importante, un giro ristretto di amicizie. Sfogliò l’agendina, infatti pochi numeri di telefono, nessun appuntamento segnato. Il cellulare era spento. Provò ad accenderlo ma chiedeva il pin.
Entrò in cucina, nell’acquaio c’erano due bicchieri. Probabilmente in uno aveva bevuto l’assassino. Con la tecnica moderna bastava un goccio di saliva per risalire al DNA. Ma con chi confrontarlo?
Questo sarebbe stato il lavoro più difficile, trovare gli indizi che portassero ad un nome, ad una faccia. Ma non sarebbe stato il suo lavoro, non sperava che il Procuratore affidasse a lei un’indagine su un omicidio. Dei rumori la scossero dagli ambiziosi pensieri. Era arrivata la scientifica, carica di apparecchiature. In 5 minuti la scena del delitto si era trasformata in un set cinematografico, lampi di flash intermittenti e le telecamere che riprendevano ogni cm quadro dell’appartamento.
Era arrivato anche il Procuratore.

***************************


Fu svegliata dallo squillo del telefono e come aprì gli occhi si tastò le mani. C’erano.
Non doveva farsi prendere così da questo caso, non era per niente professionale.
Il telefono continuava imperterrito a suonare: “ Pronto” rispose, con la voce impastata di chi è appena stato svegliato. “stava dormendo dottoressa Bacci?? “ esclamò la voce ironica del Procuratore. In un colpo fu completamente sveglia “buongiorno dottore, ieri sera abbiamo fatto tardissimo in casa dell’Artieri e approfittavo della mattinata libera” . Ma perché si giustificava, era la sua mattina libera, e nessuno le aveva affidato il caso Artieri, quindi poteva dormire. Il caso Artieri, la telefonata del procuratore poteva significare …..”Dottore a proposito, chi si occuperà dell’omicidio di ieri sera?” “Le ho telefonata per quello, stavo pensando che potrebbe occuparsene lei.” “fra dieci minuti sono in ufficio”. E riattaccò, meglio non dargli il tempo di ripensarci.
Dall’ufficio chiamò subito la scientifica per richiedere il materiale fotografico e gli altri reperti.
Aveva notato un computer su di un tavolo in salotto. Chiese se avevano cominciato a lavorare su quello, ma ancora non lo avevano fatto, però avevano chiesto il tabulato delle telefonato sul telefono di casa e sul cellulare. Aveva anche una linea adsl, segno che si collegava a Internet per molto tempo, o che scaricava file pesanti. Elena non era un genio del pc ma se la cavava e le era venuta un’idea. “Potrei avere una copia dell’hard disk? Ho un pc in disuso in ufficio potresti istallarmelo, così comincio a lavorarci anche io”. Le risposero che avrebbero chiesto a chi si occupava del pc, ma era fattibile.
Chiamò il medico legale per sapere quando avrebbe avuto i risultati dell’autopsia. Avevano iniziato a lavorarci, era morta verso le 18, quindi 5 ore prima che la ritrovassero, lo stomaco era vuoto eccetto per un po’ di limoncello, nessuna violenza sessuale. Per il resto un po’ di pazienza.
Era facile a dirsi “pazienza”, non aveva in mano niente, da dove cominciare? Sicuramente erano arrivati i familiari, poteva andare alla camera mortuaria e parlare un po’ con loro. Oppure in ufficio a vedere cosa faceva, parlare con i suoi colleghi. Optò per la seconda possibilità. In fin dei conti passava più tempo con i colleghi che con la famiglia che abitava a 100 e passa chilometri. In verità non le sembrava molto delicato interrogare i parenti della ragazza mentre nella stanza accanto stavano facendo l’autopsia.
Chiamò un agente della sua squadra e controllò l’indirizzo dell’ufficio. Salirono in auto senza dire una parola. Faceva parte dell’ammutinamento dei suoi uomini, non rivolgerle la parola se non costretti. Se non finiva questa storia, non sarebbe venuta a capo di niente. Da sola sarebbe andata poco lontano.
Attraversarono i viali in un caldo soffocante. Le insegne segnalavano il livello di ozono nell’aria, come sempre ai limiti. Si trovò ad invocare a voce alta la pioggia. Una bella pioggia che facesse abbassare la temperatura, il livello di ozono e le tensioni con i suoi uomini. Questo non lo disse, tanto l’agente Panfi nemmeno le aveva risposto. Come invidiava la bella Arcuri che faceva la carabiniera nella serie televisiva, tutti ai suoi piedi.
Nessuno stava lavorando nell’ufficio dell’Artieri, erano in “riunione” e l’ordine del giorno era la fine che aveva fatto Fabiola. Avrebbe partecipato anche lei alla riunione, qualcosa ci avrebbe ricavato.


Non le dissero niente di nuovo di quello che già sapeva. Pochi amici, alcuni anche tra i colleghi, nessun fidanzato. Una persona tranquilla, aperta di carattere, nessuna inimicizia.
Chiese se avevano notato cambiamenti nel suo comportamento. Sul lavoro era la solita, pronta allo scherzo e affabile, però non usciva più con nessuno. Prima ogni tanto usciva con qualche collega, un cinema, una pizza. Erano un paio di mesi che non accettava più nessun invito. Visto che comunque era sempre gentile e tranquilla, non si erano preoccupati e avevano solo smesso di invitarla.
L’accompagnarono alla sua scrivania. Il suo lavoro consisteva prevalentemente nel rispondere al telefono e archiviare documenti, quindi non c’era molto nei cassetti. Accese il computer. Cliccò sull’icona della posta elettronica. La cartella della posta era completamente vuota, nessun messaggio in arrivo, nessuno in posta inviata. Fece scorrere il mouse sulle impostazioni, voleva vedere il suo indirizzo. Ne trovò uno sul server della società per cui lavorava, ma ce ne erano altri. Scorse tutti gli account. Aveva ben 5 indirizzi con nomi di fantasia e tutti con la password. Ma che razza di nomi erano?
Tornarono in ufficio e trovò la bella sorpresa del dossier Artieri . Cerano le foto dell’appartamento, del cadavere. I bicchieri erano in laboratorio per le analisi del dna. Ecco un’altra cosa utile, la rubrica telefonica del cellulare. C’erano diversi nomi ma senza un legame ci avrebbe fatto poco. Chiamò un collega e gli chiese di occuparsi della richiesta ai vari gestori telefonici. Rispose un gelido ok e mentre se ne andava si voltò, come se ci avesse ripensato:” quelli della scientifica le hanno preparato il computer”.
Bene, ora cominciava ad avere un po’ di materiale. Accese il pc e ripetè la stessa manovra fatta in ufficio. Gli indirizzi corrispondevano, ma cosa ci faceva con tanti indirizzi? Anche qui l’archivio era vuoto, nessuna traccia. Guardò la rubrica. Questa non era vuota ma piuttosto consistente. Confrontò i nomi con quelli della rubrica telefonica. Alcuni corrispondevano e ne fece un elenco. Chiuse il programma e cominciò a sbirciare nella cartella documenti. Un po’ di corrispondenza, varie foto. Trovò un paio di file protetti, ad aprire questi ci avrebbero pensato i tecnici.
Guardò l’ora nella barra delle applicazioni, aveva passato il pomeriggio sul computer di Fabiola Artieri. Passando il mouse sulla barra fece capolino un icona con due occhiolini . E quella cosa era? Cliccò e si aprì una finestra. Era l’icona di una chat line. Sfiorò la tendina sul nick name e comparvero dei nomi. Bibi, Aldebaran, Faby, Bamby, Artif. Erano gli stessi nomi degli indirizzi della posta elettronica.


Elena Bacci non ne poteva più. Era una settimana che di giorno svolgeva le normali indagini e di notte scopriva lo strano mondo della chat. Dopo vari tentativi aveva superato la pass di Fabiola ed ora aveva la lista degli amici di chat della ragazza..
Era stata contattata da uomini di età compresa tra i 16 e i 90 anni. Anzi per la precisione 84 anni. C’era l’esibizionista che voleva farsi vedere nudo in cam, chi voleva odorarle i piedi, chi chiedeva un pacchettino regalo con le sue mutandine. Aveva ricevuto più proposte in quei pochi giorni che in tutta la sua vita. Proposte sconce, proposte ambigue, proposte di matrimonio e via di seguito Ma era stata contattata anche da uno dei nomi della lista di Fabiola. Ed era su questo che lavorava. Quel nome era anche nella rubrica della posta ed anche in quella del telefono. Quindi uno con cui aveva contatti frequenti. Il suo nome era Umberto, alias Ultimomistero.
Nei primi contatti era stato gentile ed interessante ed Elena lo aveva incoraggiato. Aveva tante cose da raccontare, amava la fotografia e le mandava delle foto molto belle ma mai suoi ritratti. Però non si stancava di chiederne uno di Elena che era diventata Siria. Sera dopo sera era diventato possessivo e morboso. Aveva cominciato a fare domande intime, pretendeva che parlasse solo con lui, ogni tanto lampeggiavano sul monitor frasi sibilline tipo “potrei farti paura”.
Quando lui propose un incontro lo accettò immediatamente. L’eccitazione per essere vicina alla soluzione dell’omicidio, le faceva perdere anche la cognizione del rischio che poteva correre.
Due giorni dopo prese un treno per Bologna senza dire niente ai suoi colleghi. Aveva lasciato solo una relazione sulle indagini fatte dopo l’orario di lavoro.
Avrebbe incontrato Ultimomistero davanti alla biglietteria e tutti e due avrebbero tenuto in vista una guida di Firenze. Il treno arrivò in ritardo e Elena appena scesa si precipitò dentro alla stazione affollata, travolgendo un passante e tirandosi dietro un paio di insulti.
Si ricompose aggiustandosi il top scollato. Non si sentiva a suo agio vestita così, ma non poteva presentarsi in tailleur e camicetta bianca. Doveva gettare un po’ di fumo negli occhi, ora era Siria.
Davanti alla biglietteria c’erano diverse persone ma nessuna aveva in mano la guida di Firenze. “Se ne è andato” pensò disperata, “ho perso un omicida per un ritardo del treno”.
“Siria, Siria” sentì chiamare. Si voltò verso la voce che teneva in mano la guida e si pietrificò.
La carrozzella si era avvicinata e l’uomo vedendo la faccia stravolta continuò tutto di un fiato “ Ti avevo avvertita che avrei potuto farti paura, lo so che non è piacevole vedermi. Se non te la senti di stare un po’ con me, puoi andartene. Mi spiace, avrei dovuto dirtelo”. Aveva davanti a se in una carrozzina per invalidi uno dei peggiori risultati di chissà quale difetto genetico. Da un corpo minuscolo e informe emergeva una testa enorme e asimmetrica. Quel corpicino di bambino che non poteva stare in piedi non avrebbe ucciso nemmeno una mosca, figuriamoci una ragazza. Si sentì un imbecille, aveva sbagliato tutto ed ora doveva anche deludere questo povero Cristo che la guardava adorante. Una mattinata poteva dedicargliela, gliela doveva. Sorrise e con aria scherzosa disse “ Ma dobbiamo stare tutta la mattina qui? Spingo io o hai la patente?”
“Ho la patente” rispose finalmente sorridendo e si avviarono a fianco verso il bar.


Scorreva i tabulati telefonici e abbinava nomi e indirizzi reali ai nomi della rubrica telefonica ma non riusciva a togliersi dalla testa Umberto. Come poteva aver pensato che fosse lui l’assassino. Era un giovane disperatamente solo con il quale pochi amavano farsi vedere in giro. Nella chat aveva trovato un modo per evadere dalla sua vita. Parlavano con lui senza vederlo e Ultimomistero poteva inventarsi mille storie, mille identità. Aveva un corpo mostruoso ma i suoi desideri erano gli stessi di qualsiasi essere umano. E la chat ogni tanto poteva essere un palliativo per esaudire quei desideri che nessuno avrebbe condiviso in un letto.
Il telefono la scosse dal ricordo dell’incontro con Ultimomistero.
“pronto, volevo l’ispettore Bacci”
“Sono io chi parla?”
“Ahhh mi scusi non sapevo che fosse una donna”. Elena soffiò fuori l’aria dai polmoni e fermò in gola una parolaccia.
“Sono l’ispettore Fazi, di Frosinone. Lei si occupa della ragazza trovata con le mani tagliate vero?” appena Elena emise un si continuò “stanotte è stata trovata un’altra ragazza morta, stessa procedura.
I due omicidi potrebbero essere collegati”.
“Se non ha niente in contrario nel pomeriggio sono da voi”.


Sembrava un delitto in fotocopia, stesso tipo di ragazza, stessa morte.
Ecco un nuovo serial killer sui cui presto avrebbe sguazzato la stampa, anticipando notizie e bruciando tutti gli indizi.
Anche Sabina Sacchi aveva un computer nel suo appartamento. C’era anche una piccola video camera. Elena chiese di poterlo accendere e i suoi occhi cercarono subito gli altri occhietti maliziosi dell’icona della chat. C’erano! Aprì frenetica il collegamento , non c’era pass di accesso e subito apparve la lista dei net friends, gli amici del net. Prese il suo elenco e lo confrontò. Klaid65, ecco la chiave. Il nome era sia nella lista di Fabiola che in quella di Sabina. Una coincidenza?
Doveva tornare in ufficio, Klaid corrispondeva anche a un numero di cellulare. E lei aveva gli intestatari dei numeri, con tanto di indirizzo.
Il numero di Klaid era intestato a Simona Fucini, via della Pergola Firenze. Era li, nella sua città, vicino a lei. Fece il numero del cellulare, ma la segreteria rispose che l’utente era irraggiungibile.
Chiamò due uomini della sua squadra “Andiamo in via della Pergola, forse ci siamo”.
Mentre facevano i pochi chilometri mise al corrente i suoi uomini delle sue indagini notturne. Avrebbero suonato il campanello di Simona Fucini come se fosse un normale colloquio informativo. Niente irruzioni, non avevano un mandato di arresto.
Aprì la porta una giovane ragazza che rimase sorpresa alla vista dei poliziotti.
Elena chiese se potevano farle alcune domande e la giovane li fece accomodare in salotto, scusandosi del disordine. “Sa fra una settimana mi sposo e sto facendo il trasloco”.
“Solo un paio di domande, stiamo facendo delle indagini su delle truffe telefoniche. Appartiene a lei il numero 3475876439? “ . Simona rimase un attimo perplessa “ ma no!!! È di Paolo il mio ex fidanzato. Forse la scheda era intestata a me, sa come succede, si comprano i cellulari in promozione poi per non cambiare numero, la scheda nuova finisce a qualche altro”.
“Potrebbe dirmi qualcosa di lui?”
“Si è messo in qualche guaio? Me lo immaginavo, è un pazzo! Siamo stati fidanzati un paio di anni, pretendeva che non uscissi di casa e sa come è finita? Io stavo si in casa ma ho cominciato a entrare nelle chat line. Lì ho conosciuto il mio futuro marito e appena mi sono sentita abbastanza forte da affrontare Paolo l’ho lasciato e sono rinata.”
“quando ha parlato l’ultima volta con Paolo?”
“un paio di settimane fa l’ho chiamato io per dirgli che mi sposavo, ho preferito farlo io , non mi andava che lo sapesse da altri. Quando ha capito che sposavo l’uomo conosciuto in chat sa cosa mi ha detto? “Avrei fatto meglio a tagliarti le mani”.


   
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