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 i filari di granoturco
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gattosilvestro
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Inserito - 08/07/2003 :  20:50:51  Mostra Profilo  Visita la Homepage di gattosilvestro Invia un Messaggio Privato a gattosilvestro
breve premessa:
posterò a puntate questo mio racconto..esso nasce dentro di me, in quelle profondità spesso sconosciute che raramente affiorano a pelle.
Non aggiungo altro..solo una dedica..a mio nonno.

“E’ inutile sperare che piova..profondamente inutile.”
Lo diceva sempre mio nonno guardando il cielo senza nuvole di quel luglio che arrostiva speranze e terra. Lo guardavo divertito mentre dialogava con Dio inviandogli tutte le maledizioni che conosceva. Aveva conservato il dialetto delle montagne. Duro e arcigno come le rocce sul quale si era formato.
Io provavo ad imitarlo seguendo con lo sguardo i filari di granoturco, centinaia di piante strette in un abbraccio soffocante, con le radici a pelo terra che uscivano quasi disperate in un’ultima richiesta di aiuto.
Ingiallivano le foglie prima di aver dato vita al frutto. Brutto segno.
Scuotevo la testa come facevo lui, disegnando un arco nell’aria di 180 gradi, più ampio era il movimento più grande la preoccupazione.
Soleva sedersi sul ceppo di noce tagliato anni prima, non ricordo la pianta ma ne conservo l’odore acre dei gusci verdi che mio cugino grande schiacciava sotto le scarpe divertito.
Non erano giorni felici ma sereni, dietro il paravento dell’estate comunque avanzata, si sentiva in lontananza il fragore delle bombe che cadevano su Torino. La guerra,non era lontana affatto, mio nonno alpino, ferito sul Carso durante i combattimenti del 17 cercava di tenerci al riparo ma dentro quel cuore ormai vecchio e malandato sapevo che il pensiero volava a mio padre.
Avevo tre anni quando partì per il fronte orientale e cinque quando andò in Russia. Non avevamo sue notizie da circa 10 mesi ormai.
Nessuno osava più nominarne il nome, nemmeno azzardare ipotesi sulle motivazioni di tale silenzio. Io sapevo che mio padre era morto, perché venne a trovarmi il giorno prima dell’arrivo della sua ultima lettera. Quella notte sognai il suo volto sorridente che mi diceva di stare tranquillo che ci sarebbe stato lui a proteggerci per sempre.
Raccontai il sogno a mia madre la mattina successiva creando confusione e pianto nelle sue parole, che uscivano frantumate dal un dolore che ormai non era più sopportabile. Ricordo che mio nonno quella mattina partì per le montagne, portava da mangiare ai partigiani, e in quello zaino carico di pane e formaggio potei annusare l’odore indimenticabile della morte. Portò via lei ed il dolore che arrecava.

   
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