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 Flup e l’orso
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Cri
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Inserito - 15/05/2006 :  10:05:31  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Cri Invia un Messaggio Privato a Cri
Al di là di tutti i monti e di tutti i mari esisteva una terra misteriosa in cui viveva il grande popolo dei Tartt. Altissime conifere delimitavano con la loro maestosa imponenza un vasto territorio in cui sorgeva una città di incredibile bellezza: Falin. Alti palazzi colore del cielo, giardini fioriti di mille colori, strade sinuose come fiumi. Dovunque aleggiava il silenzio della pace ed il suono dell’armonia. Ognuno svolgeva i propri compiti con letizia e la serenità era nel cuore di tutti. I Tartt erano pacifici, ma nel loro passato c’erano state guerre e distruzioni. Un ricordo che si tramandava di padre in figlio per non dimenticare e preservare così la tranquillità raggiunta. Erano passati tanti anni dall’ultimo conflitto ed i racconti assomigliavano ormai più a leggende che a fatti realmente accaduti e così, come purtroppo accade dalla notte dei tempi, anche nel pacifico mondo dei Tartt fece nuovamente capolino l’ombra del male. All’inizio fu quasi impalpabile, piccoli disagi che, col tempo, divennero sempre più esasperanti, fino a che, un brutto giorno, accadde l’inevitabile. Una banale discussione si trasformò in litigio per sfociare poi in un efferato delitto. La notizia si diffuse in un attimo in tutta la città e da quel momento il popolo dei Tartt tornò indietro di centinaia d’anni. Falin perse la sua magica atmosfera e i suoi brillanti colori. Furono messe chiavi alle porte di casa, i parchi vennero bruciati, e ogni disguido divenne fonte di forti tensioni. L’era d’oro dei Tartt sembrava proprio finita. Era difficile vivere in questo clima di scontento e molte famiglie che ancora ricordavano la splendida atmosfera della loro città prima dell’arrivo della paura, decisero di allontanarsi e di migrare oltre i limiti della foresta. Falin sarebbe rimasta nei loro cuori per sempre, ma ora non c’era spazio per i sentimentalismi e il presente esigeva nuove scelte. E così un gruppo di un centinaio di persone lasciò la terra natia e si avventurò verso il futuro. Tra loro c’era un bambino di quattro anni di nome Flup. Benché fosse piccino, Flup era molto dispiaciuto perché sentiva che i suoi genitori erano tristi. Quel giorno sarebbe sempre rimasto nel cuore del bimbo. Dopo giorni e giorni di cammino, superata da tempo la foresta di conifere e varcate le montagne innevate, le famiglie in fuga raggiunsero una valle, in cui scorreva placido un fiume, e decisero che quella sarebbe diventata la loro nuova patria. Grazie all’operosità insita nel popolo dei Tartt, ben presto sorsero graziose casupole di legno circondate da freschi giardini ricchi di fiori. Il mito di Falin fu la fonte di ispirazione per gli abitanti del nuovo villaggio e nel giro di pochi anni la mestizia che aveva accompagnato l’esodo lasciò il posto ad una ritrovata allegria. Flup cresceva sereno, i suoi genitori lo coprivano di amorevoli attenzioni e nel loro sguardo scomparve tutta la tristezza di quel brutto giorno. Nessuno però voleva dimenticare le proprie origini e nelle sere d’estate, quando si ritrovavano tutti nella piazza del villaggio a ballare e cantare, arrivava immancabile un momento molto atteso. La musica cessava, grandi e piccini si prendevano per mano e il grande anziano recitava una sorta di preghiera. In realtà era come una favola, il racconto della città fantastica di Falin e del fiero popolo dei Tartt. Ogni volta il vecchio aggiungeva particolari e aneddoti, ma alla fine concludeva sempre con un messaggio di speranza, la speranza di poter un giorno tornare a vedere la sua terra e respirare il profumo delle conifere e dei mille fiori di Falin. Flup ascoltava ammaliato queste storie e quando, al termine della preghiera, si sollevava un coro di voci che cantavano gioiose la gloria del popolo dei Tartt, si commuoveva sempre e riusciva a malapena ad accompagnare con il movimento delle labbra quello splendido inno. La musica riprendeva, e la gente iniziava nuovamente a ballare, con più forza ed energia, come spinta da una potente carica di amore.
Non lontano dal villaggio dei Tartt, a pochi giorni di cammino, si trovava un altro villaggio abitato dal popolo degli Iri. Questi erano per natura diffidenti e bellicosi ed inizialmente si sentirono minacciati dalla presenza dei Tartt. Tuttavia compresero presto che non avrebbero avuto nulla da temere da quelle persone così stranamente contente e serene, anzi, ne erano incuriositi perché non potevano comprendere come si potesse vivere senza regole severe, punizioni esemplari e, soprattutto, senza violenza. Così, poco a poco, trovando la scusa che il fiume attraversava entrambi i villaggi, si trovarono spesso ad incrociare i Tartt e ne divennero amici fedeli. Era bello vedere i bambini Iri giocare a nascondino con i bambini Tartt e finire tutti insieme a ridere e scherzare. Le donne Iri erano famose per la loro grande arte culinaria e le donne Tartt per la grande maestria nel cucire tessuti variopinti. Un mantello per l’inverno veniva così scambiato con un lauto pranzo per tutta la famiglia e gli uomini uscivano insieme a cacciare e a pescare. Il sogno di Falin stava diventando nuovamente realtà: persone che vivevano in pace le une accanto alle altre. Ma Falin era lontana e, ahimè, questo sogno l’aveva dimenticato.
Quando gli Iri appresero la storia dei Tartt ne rimasero molto colpiti. Non avrebbero mai pensato che per difendere la propria libertà non fosse necessario costruire barricate, e che, anzi, fosse assurdo parlare di libertà nel momento stesso in cui si viveva dentro una prigione fatta di sospetto e aggressività. Eppure era così chiaro, ora che l’avevano provato, era bastato alzare le braccia al cielo e respirare a pieni polmoni il profumo dell’aria per sentirsi parte dell’universo. Gli Iri e i Tartt erano la dimostrazione vivente che era possibile. Flup lo sapeva, lo sentiva, ma era comunque inquieto. Nel suo cuore aveva il profumo della sua casa di un tempo e il ricordo della malinconia negli occhi dei suoi genitori. Il giorno del suo diciottesimo compleanno decise quindi di lasciare il villaggio e di tornare a Falin. A nulla valsero i pianti della madre e gli ammonimenti del padre. Aveva preso la sua decisione e non si sarebbe fermato davanti a niente e a nessuno. La pietra che pesava da anni sul cuore doveva essere sgretolata e l’unico modo era toccare con mano la realtà. I racconti delle sere d’estate non bastavano più. I genitori si rassegnarono e, con il benestare di tutti, fu deciso di tenere una grande festa in onore di Flup per propiziare la buona sorte. Venne allestito un grande banchetto per il quale le donne Iri prepararono ogni bendiddio, dappertutto furono stesi splendidi drappi tessuti dalle donne Tartt e tutti aiutarono ad imbandire in modo suntuoso e imponente la grande tavolata a ferro di cavallo. Flup non riusciva a contenere l’emozione, ogni membro dei due villaggi gli fece un dono, chi un coltello per cacciare, chi una coperta per proteggersi dal freddo, chi un cavallo per viaggiare, chi un piccolo otre da viaggio. Alla fine della serata Flup era completamente sommerso di oggetti più o meno utili, ma tutti carichi di amore. Per ultimo si avvicinò il grande anziano. Questi sapeva che non avrebbe potuto esserci al ritorno di Flup perché ormai il suo tempo sulla terra stava per scadere e presto avrebbe raggiunto le stelle del cielo. Si avvicinò a Flup e gli porse un’ampolla di alabastro contenente un liquido viscoso di un bel colore ambrato, e disse: “Flup, il tuo sarà un viaggio lungo e difficile. Incontrerai mille ostacoli e potrai contare solo sulle tue forze. Segui sempre te stesso, fermati e ascoltati. La tua voce ti dirà sempre la cosa giusta. Non lasciare che la paura, il dubbio, l’ansia si impadroniscano della tua mente, la vita è saggia e se ti lasci guidare da lei, troverai le tue risposte. In questa ampolla c’è una sostanza preziosa, proviene da Falin e l’ho conservata tutti questi anni in attesa di donarla a chi ne avrebbe potuto fare l’uso migliore. Portala con te, respirane il profumo e assimila l’energia che emana. Tienila cara, ti sarà d’aiuto quando penserai che tutto è perduto. Ora vai, Flup, e vivi la tua splendida esperienza.” Con queste parole il vecchio si congedò e si allontanò. Flup prese l’ampolla e la legò al petto con un laccio di cuoio. Quindi si diresse verso i suoi genitori. L’abbraccio con la madre e il padre sembrò durare all’infinito, ma poi venne il momento della partenza e, raccolti gli oggetti essenziali per il viaggio, Flup partì alla volta di Falin.
Quando quattordici anni prima aveva fatto quel viaggio con i genitori in fuga da una città diventata a loro estranea e ostile non aveva potuto rendersi conto di quanto fosse stato faticoso e pericoloso. Dovette attraversare fiumi tortuosi e valli incuneate tra alti monti, le cui vette parevano insormontabili. Le notti erano fredde e di giorno il cammino era reso difficile dalla mancanza di sentieri precisi e spesso non era possibile proseguire a cavallo. Il grande nemico di quei giorni non fu però la stanchezza, né lo scoraggiamento, bensì qualcosa di più sottile che si insinuò lentamente nei sogni di Flup e avvolse i suoi pensieri di giorno. La solitudine. Flup si sentiva sempre più solo. Certo, c’era il suo cavallo, ma col tempo la compagnia dell’animale non gli bastò più. Cominciò a sentire la mancanza dei suoi genitori, dei balli e dei canti, degli Iri e dei Tartt. Piano piano si ritrovò a dubitare delle buone motivazioni che lo avevano spinto a partire. Si chiese se il suo non fosse solo un capriccio, finché un giorno decise che aveva commesso una sciocchezza e decise di tornare indietro. Avrebbe passato la notte nella radura in cui si trovava e poi il giorno dopo avrebbe ripreso la strada per tornare al suo amato villaggio.
Quella sera Flup accese come sempre il fuoco e si sedette a guardare le fiamme che guizzavano verso l’alto. Sì, ormai ho deciso, tornerò a casa e riprenderò la vita di sempre. Piccole faville si staccavano scoppiettanti stagliandosi nel buio del cielo. Ma certo, non ha senso continuare con questo inutile sogno. Il fuoco lentamente perse vigore e si spense. Meglio sdraiarsi e riposare, il viaggio è lungo. Il cielo era illuminato da miliardi di stelle, sembravano anche loro scintille nel buio. Chiudo gli occhi. Che meraviglia. Lassù, già, proprio là, guarda che bella quella stella, pare ancora più luminosa delle altre. Mi sembra quasi di poterla toccare, anzi, posso sentirla. Non è possibile, è il grande anziano. Allora lui è… “Flup, hai smesso di ascoltare la tua voce. Non ti perdere, io sono qui, insieme a tutte le altre stelle del firmamento per guidarti. Non sei mai solo, Flup, mai. La vita è amore, e dove c’è amore c’è sempre qualcuno. Una stella, una fiamma, un fiore, che cantano la felicità di essere qui. Segui te stesso….”
La mattina arrivò accompagnata da un fulgido sole. Flup aprì gli occhi. Era stranito. Non sapeva bene cos’era successo. Le stelle erano sparite, forse aveva sognato. Chissà. Ma non poteva negare di essere più sereno. Guardò il suo cavallo che si abbeverava al fiume, poi volse lo sguardo verso la cenere del fuoco della sera precedente, quindi si soffermò a guardare alcune grosse nuvole bianche che attraversavano lente il cielo. E sentì che voleva ritrovare se stesso, fare pace con il passato, guarire la ferita del suo cuore. Doveva completare il viaggio, doveva seguire la sua voce. Dietro una nuvola gli parve di scorgere un puntino luminoso, una stella. Sorrise, mentre il vento prese a soffiare più forte, come a ricordargli che era arrivato il momento di rimettersi in marcia. Prima però aprì l’ampolla che teneva sempre legata al petto e ne annusò l’inebriante profumo. Si era sempre chiesto cosa fosse tale sostanza, ma col tempo aveva dimenticato di averla con sé e non aveva più aperto l’ampolla. Ora che aveva risentito la dolce fragranza si sentì rinfrancato e pronto per completare il suo percorso.
Il vecchio aveva avuto ragione, le difficoltà erano enormi. Non solo quelle fisiche, ma anche quelle più insidiose della mente. Ma ce l’aveva fatta, quella notte aveva ridato linfa alle sue energie. Flup pensava che nulla avrebbe più potuto fermarlo. Non aveva considerato che la serenità non si recupera in una notte, e che va coltivata, come le piante e i fiori di cui amava prendersi cura quando era al villaggio. E così arrivò la prova più difficile.
Era passato da poco il mezzogiorno e Flup stava riposando sotto un albero, mentre il suo cavallo si era allontanato alla ricerca di erba fresca e giovane da brucare. Un rumore di fronde svegliò Flup dal suo torpore, fu una questione di un attimo. Davanti a lui comparve improvvisamente un gigantesco orso bruno. Era veramente enorme, le zampe terminavano con lunghissimi artigli affilati e dal muso digrignante uscivano denti acuminati. Lo sguardo dell’orso era carico di paura e di odio. Flup capì subito di non avere alcuna possibilità di combattere contro l’immenso plantigrado e rimase atterrito in attesa della fine. Sembrava proprio tutto perduto. Tutto perduto. Questo pensiero folgorò la mente di Flup che si ricordò le parole del grande anziano quando gli aveva donato l’ampolla. “…Ti sarà d’aiuto quando penserai che tutto è perduto…” aveva detto, e così, senza indugiare, con un gesto rapido della mano strappò il laccio che teneva legata l’ampolla e la gettò verso l’orso. Tutto avvenne in pochi secondi. L’ampolla finì proprio sul muso dell’animale, si aprì e ne fuoriuscì il liquido ambrato. L’orso si leccò istintivamente e, di colpo, i suoi occhi cambiarono espressione. Si sedette di colpo a terra e prese con le zampe l’ampolla che si trovava ai suoi piedi cercando di succhiarne tutto il prezioso contenuto. Quando ormai l’orso aveva sorbito tutto il nettare gelosamente custodito da Flup per così tanti giorni, si alzò e lemme lemme se ne andò da dove era arrivato. Flup non ci poteva credere, era salvo. Il vecchio aveva avuto ragione. Raccolse l’ampolla vuota e istintivamente emise una sonora risata. Qualunque cosa vi fosse contenuta, non avrebbe mai pensato che sarebbe servita per placare un orso inferocito. Si stava rialzando per andare a cercare il cavallo e ripartire, quando l’orso ricomparve. A Flup mancò il fiato. Cosa poteva fare, cosa sarebbe successo? L’orso si avvicinò, questa volta camminando sulle quattro zampe, con aria sorniona e quando fu vicino a Flup fece un ampio sorriso. Era visibilmente soddisfatto e, sedutosi di fronte al ragazzo, cominciò a raccontare: “Giovane uomo, da numerosi lustri vivo in questa foresta, da quando la vita accanto a quelli della tua specie si è fatta impossibile. Un tempo, tanti anni fa, trascorrevo le mie giornate nei boschi senza dovermi preoccupare di nulla. Di tanto in tanto mi avvicinavo al luogo dove vivevano gli uomini, era un posto meraviglioso, le case erano blu come il cielo e i fiori coloravano i balconi e i giardini. A me e alla mia famiglia piaceva guardare gli uomini e le donne che vivevano lieti e spesso andavamo alla periferia della città, dove si trovavano tante minuscole casette gremite di api ronzanti che depositavano un dolcissimo liquido che veniva regolarmente raccolto da mani sapienti per essere poi imbottigliato e distribuito a tutti gli abitanti della città durante le feste. Noi ci avvicinavamo silenziosi e ne rubavamo un po’ direttamente dalle casette. Era una vera prelibatezza. Poi, un giorno, tornando alla città, ci rendemmo conto che qualcosa era cambiato. Non c’erano più fiori alle finestre, era scomparso il verde e le persone invece di camminare tranquille, correvano nervosamente. Ci dirigemmo comunque alle casette per vedere se almeno quell’angolo di paradiso si era salvato, ma, ahimè, anche lì era tutto cambiato. Non c’erano più api ed era tutto in uno stato di desolante abbandono. Improvvisamente ci accorgemmo che un gruppo di uomini si era avvicinato a noi. Capimmo subito che non avevano buone intenzioni e tentammo di fuggire. Purtroppo però solo io riuscii ad allontanarmi, la mia famiglia fu catturata e da allora, non ne so più nulla. Ho giurato vendetta a tutti gli esseri umani e, quando ti ho visto, ho sentito tutta la paura e l’odio che avevo coltivato in questi anni. Poi mi hai gettato sul muso quell’ampolla, e ho risentito quel sapore, quel profumo….non ho potuto più fare nulla. E’ stato come rivivere un momento felice della mia vita e te ne sono grato. Non posso credere che tu sia una persona malvagia, perché quel gustoso nutrimento è sinonimo di dolcezza e amore. Quindi dimmi, tu, chi sei, dove stai andando?” Flup aveva ascoltato tutto con grande attenzione. Aveva subito capito che l’orso parlava di Falin, la sua città, e fu rapito dal racconto che ne fece. Non era più spaventato e si apprestò a rispondere all’orso, raccontandogli a sua volta tutta la sua storia, da quando era un bambino in fuga dalla sua casa, fino al giorno in cui decise di tornarvi per vedere con i suoi occhi cos’era successo. Certo, la storia dell’orso non gli lasciava molte speranze, ma in ogni caso avrebbe completato il suo viaggio. Quando finì di parlare, i due si strinsero in un morbido abbraccio e si salutarono. L’orso augurò ogni bene al giovane Flup, raccomandandosi di fare molta attenzione. Il ragazzo, commosso, fece un ultimo cenno con la mano e, raggiunto il suo cavallo, si apprestò a concludere il suo lungo viaggio.
Dopo ancora un giorno di cammino, arrivò alla foresta di conifere che delimitava l’area in cui sorgeva Falin. Ce l’aveva fatta, finalmente era arrivato. Attese la notte, lasciò il cavallo al sicuro e si diresse verso la città. Tutto pareva tranquillo, ma era evidente che era solo un’apparenza. L’atmosfera era pesante, per le vie si vedevano vigilantes muniti di manganello che giravano con aria minacciosa, i cani ringhiavano nei cortili. Flup si rattristò. Quello che vedeva superava la sua immaginazione. Fu preso dallo sconforto e fece per tornare ai bordi della foresta per prendere il cavallo e tornare sui suoi passi, ma la ferita del suo cuore chiedeva di essere guarita, non poteva andarsene così. Si diresse quindi verso il centro della città, stando attento a non farsi vedere dalle guardie armate che percorrevano incessantemente le strade cittadine. Vide il palazzo del sindaco, chiaramente riconoscibile in mezzo agli altri per le bandiere e gli stendardi che ne adornavano la facciata ed escogitò in un lampo un piano. Riuscì ad entrare da una finestra aperta e, dopo aver girato alcune stanze, trovò finalmente l’appartamento del sindaco. Adesso arrivava la parte più difficile. Si recò nella camera da letto del sindaco e gli sussurrò all’orecchio: “Sindaco, la tua città sta morendo. La gente ha paura, il male è diventato il vero padrone. Devi fare qualcosa per ridare splendore a Falin. Annuncia ai tuoi concittadini che presto potrai dimostrare che il bene è più forte del male e che l’amore vince su tutto.” Così detto, Flup uscì di soppiatto e corse verso il bosco. Il giorno dopo il sindaco si sentì un po’ strano, e si stupì lui per primo della dichiarazione che fece pubblicamente quella mattina, parlando, per la prima volta dopo tanti anni, di pace. Gli abitanti di Falin erano confusi, ma nei loro cuori si riaprì un’antica speranza. Il seme era stato gettato, ora però bisognava agire. Flup nel frattempo era andato a cercare l’orso per chiedergli aiuto e portare così a termine il suo piano. L’orso era abbastanza perplesso, ma confessò a Flup che non aveva più voglia di portare rancore verso gli uomini e, così, accettò di seguirlo. Mancava ancora un dettaglio. Flup si assentò per qualche ora e, al suo ritorno, si dichiarò pronto all’azione. Era giorno di festa a Falin, l’occasione ideale per tentare il tutto per tutto. La gente era tutta raccolta nella piazza principale, le guardie vigilavano che non vi fossero risse, l’aria era ancora pesante. Improvvisamente si udì un urlo atterrito. Una donna correva gridando parole sconnesse e facendo segno verso un’area abbandonata. Tutti andarono nella direzione indicata dalla donna bloccandosi di colpo quando videro in mezzo ad un’area in cui una volta c’era uno dei più bei parchi cittadini una scena sconvolgente. Un orso di dimensioni incredibili rincorreva un giovane indifeso. Persino le guardie non sapevano cosa fare, la ferocia dell’animale aveva terrorizzato tutti e, al massimo, qualcuno riuscì a pregare per l’anima ormai perduta del ragazzo. Flup salì in cima ad un fortino mezzo distrutto in cui un tempo giocavano i bambini di Falin, mentre l’orso continuava ringhiare e ad agitare con furia le zampe per cercare di afferrarlo. Flup guardò verso la folla che si teneva a debita distanza, quindi raccolse tutto il fiato che aveva in gola e urlò: “Gente di Falin, guardate cosa ne è della vostra città. Un ammasso di sterpi bruciate, case luride e tanta paura. Un tempo era diverso. Io lo so. Il sindaco ha ragione, abbiamo dimenticato per troppo tempo che il bene è molto più forte del male. Un tempo non era così. Un tempo c’era amore, dolce e vigoroso, come il nettare di cui ci nutrivamo nei giorni di festa e che tanto amavano anche gli orsi.” Mentre parlava, Flup estrasse la sua ampolla. Era di nuovo piena. Aveva ritrovato le amiche api in un luogo segreto dove potevano continuare a vivere indisturbate. Erano state ben liete di aiutare Flup e in men che non si dica avevano fatto in modo di riempire l’ampolla del grande anziano. Così, ora, davanti agli abitanti di Falin, Flup fece cadere alcune gocce del liquido sul muso dell’orso che, con grande stupore dei presenti, si mise seduto come un grosso pupazzo di peluche in attesa di riceverne dell’altro. Flup scese dal fortino, consegnò l’ampolla nelle zampe dell’orso e concluse: “Le api producono questo nettare con tanto amore, ed è per questo che è così dolce e aromatico. Non chiedono niente in cambio, a parte il rispetto delle loro fragili vite. Noi abbiamo dimenticato il significato di un gesto spontaneo, disinteressato, altruista. Abbiamo dimenticato l’amore. Abbassate le armi, dimenticate il bieco orgoglio che vi ha reso ciechi, aprite i vostri cuori e rifate di Falin la città di un tempo. Fate risplendere la gloria dei Tartt.” Ci fu un attimo di silenzio e poi, all’unisono, cominciarono tutti a battere le mani. Il sindaco fece un lungo discorso sulla rinascita dei Tartt, e, poco per volta tornarono tutti verso casa, mentre parlavano di cosa, come e quando cominciare a sistemare i parchi, le case, le strade. Ma le sorprese non erano finite. Quel giorno fu memorabile anche per l’orso. Il sindaco, ancora un po’ timoroso, andò verso Flup e gli confidò che la famiglia dell’orso era ancora viva e che si trovava nello zoo cittadino, dalla parte opposta della città. Non fece in tempo a finire di parlare che Flup e l’orso già correvano verso le gabbie che, ben presto, vennero aperte per lasciare liberi tutti gli animali. Il bene aveva vinto con impeto e decisione. Negli anni seguenti Falin tornò ad essere la splendida città di un tempo e si riprese la cura delle api e la raccolta del miele, come era chiamato il gustoso liquido che aveva addolcito il cuore dell’orso. Alcuni dei Tartt che erano fuggiti tornarono nelle loro case, altri rimasero a vivere insieme agli Iri con cui fondarono una nuova grande città che chiamarono Flup, in onore del ragazzo che riportò la pace e che da quel giorno visse felice e contento con il suo popolo.
Nei secoli a venire gli anziani tramandarono la storia della grande amicizia tra un giovane uomo e un orso, ma nessuno seppe mai cosa ne fu veramente di loro. Alcuni raccontavano che Flup si sposò ed ebbe tanti figli, altri che di notte usciva di casa per raggiungere l’orso e andare con lui a guardare le stelle, anzi, pare che ne guardassero una in particolare che pareva brillare più delle altre, mentre gustavano il miele contenuto in un’ampolla di alabastro. Chissà, ormai era passato tanto tempo e la realtà si era trasformata in mito. Il mito di un mondo che fu e che, forse, un giorno, ancora sarà.


   
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