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leda cossu
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Inserito - 22/08/2003 :  21:18:08  Mostra Profilo  Visita la Homepage di leda cossu  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a leda cossu

La mia città è Mestre. Ai tempi dei Romani era attraversata dalla via Annia che congiungeva Padova ad Altino, toccando fruscianti canneti e paludi della pescosa laguna Adriatica e proseguendo per Aquileia. Nella seconda metà del 1° millennio Mestre era un borgo medioevale sotto la giurisdizione vescovile di Treviso. Tratti di antiche mura e vie, la Torre con i laici merli ghibellini di Piazza Ferretto, sono sopravvissuti alla colata di cemento dell’ultimo dopoguerra quando hanno raso al suolo i giardini in Centro, interrati sinuosi canali lambiti dai salici e l’antico approdo di barche in Piazza Barche, dipinto dal Canaletto.
Per alcuni, oggi Mestre è come Berlino dopo la guerra, una città che non c’è, da ricostruire con alti palazzi. Solo una scusa per costruire ancora in una realtà minuscola, che a differenza di Berlino non è stata rasa al suolo, ma solo rosicchiata a se stessa, le cui vie minuscole senza più accoglienti slarghi ristoratori e i cui marciapiedi stretti non reggerebbero ulteriore intensità abitativa. Nei primi anni ‘90 finalmente 2 bei Parchi: il Piraghetto e Parco Albanese, ma chi li ha resi possibili sta ancora espiando il fio della sua colpa.
Abito in casette a schiera con giardino sorte nella prima metà del novecento in un toponimo chiamato allora Bachmann (uomo del bosco). Fra vicini c’è ancora una civilissima dimensione orizzontale. Dalla primavera all’autunno più in giardino che in casa. Con un colpo d’occhio mi accorgo dal volto del vicino quando gli si alza la pressione o è felice. Molto meglio che subirne i rumori nella vita in caseggiato. Mediamente ogni vent’anni, con un colpo di mano, qualcuno vuole fare una banca, od altro, al posto delle casette. C’è chi persegue affari e chi Comunità.
Ecco per me Mestre non è solo Terraferma ma un organismo vivente. Una città è tale quando diventa comunità. Nella repubblica delle casette i nostri cari sono morti a casa loro, assistiti da più mani solidali. I nostri figli hanno fatto pacchettini con dolci, bamboline e disegni per accompagnarli nell’ultimo viaggio ed hanno pregato perché la loro anima, per la finestra socchiusa, si librasse verso il Cielo sulle ali dello stesso Angelo che li aveva accompagnati sulla Terra. Nelle narici il profumo dell’olio accarezzato sulla cute in un ultimo antico gesto di rispetto.

La mia famiglia. Ho radici sarde da parte di padre e Veneziane e delle Rive del Brenta da parte di madre, dove la mia nonna dai 6 anni, a fine ‘800 traghettava il fiume da una sponda all’altra, compresi i soldati della 1^ guerra mondiale. Negli intervalli cuciva pantofole. Come sua madre sapeva fare punture, clisteri, dare buoni consigli. Tagliare e cucire il collo di un’oca quando si ingozzava di troppo cibo. Come lei sua figlia, mia madre. “Se qualcuno ha bisogno, si spegne la pentola e si va”, “Prima le persone e poi le cose”, mi hanno sempre detto con calma quando recalcitravo, “Non esiste valore più grande di una persona”. Dei primi tre anni sardi ho un’acuta nostalgia delle montagne e dei gesti femminili essenziali, legati alla vita.

Mi presento. Con l’esperienza di una sorella disabile e di un figlio fortemente prematuro e fragile ....nel mezzo del cammin “di mia vita” ho cercato di trasformare quello che si potrebbe definire “sfortuna” e sono diventata infermiera. A domicilio però, per evitare ad altri l’esperienza invalidante che avevo fatto con mia sorella, per la cui malattia i saperi famigliari non erano sufficienti. Per aiutare a mantenere facoltà ed autonomie residue in ogni condizione, per indicare ai famigliari quante luci sono ancora accese in ogni persona anche quando sembra tutto spento.
Penso che il dialogo fra le persone sia importante. Che esiste fra le persone un “giusto spazio” che occorre riconoscere. In questo spazio costruiamo ponti da attraversare a volte di corsa, ma più spesso in punta di piedi. Penso che ciascuno abbia in tasca molti talenti ed il regalo più bello che possiamo farci è aiutarci reciprocamente a riconoscerli e spenderli. Mi riconosco così tanti limiti da non credere nella perfezione, ma perseguo ugualmente la buona qualità nelle cose che faccio. Ho imparato che il dolore è più leggero se non si è soli e che ci sono molte strategie per ridurlo, a cominciare dalle giuste cure, una carezza paziente ed un sorriso. Che pensare ed agire sono estremità la cui guida salda deve rimanere al centro, nel cuore.
So che non mi posso sostituire a nessuno, che ogni viaggio è personale e si può solo accompagnare. Ed anche che il primo compagno da incontrare siamo noi stessi e che il viaggio è più importante della meta. Buon viaggio nella vita ai Concertisti dei Sogni, Leda


(l’acquerello di Mestre primi 900 è tratto da un testo del Centro Studi Storici di Mestre)


Leda

falug
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Inserito - 15/01/2004 :  21:25:44  Mostra Profilo  Visita la Homepage di falug  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a falug
Dici cose molto giuste. Tutti siamo in viaggio, ma certo è meglio poter viaggiare in buona compagnia, anche nel dolore. Essendo egoista, pur se capace di grandi rinunce cui la vita mi ha obbligato, ammiro il vero altruismo.

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