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 Che fantastica storia è la vita
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Paolo Talanca
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Inserito - 09/08/2004 :  22:11:02  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Paolo Talanca  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Paolo Talanca
Pubblico questa analisi grazie alla gentile autorizzazione di Stefano De Martino, patron del Premio Lunezia che è il riconoscimento al valore letterario nelle canzoni italiane e che si svolge ogni anno nel mese di luglio ad Aulla, in provincia di Massa.

La seguente analisi non è solo opera mia. Per l'occasione del tributo ad Antonello Venditti in quanto vincitore del Premio Lunezia assoluto 2004 ho avuto il piacere di collaborare per lo studio analitico del pezzo con Fabiola Trivella, responsabile della sezione Autori di testo del Premio Lunezia.
Pressoché esclusivamente di Fabiola è l'analisi musicale.

CHE FANTASTICA STORIA E' LA VITA
(Antonello Venditti)

Mi chiamo Antonio e faccio il cantautore,
e mio padre e mia madre mi volevano dottore,
ho sfidato il destino per la prima canzone,
ho lasciato gli amici, ho perduto l'amore.
E quando penso che sia finita,
è proprio allora che comincia la salita.

Che fantastica storia è la vita.

Mi chiamo Laura e sono laureata,
dopo mille concorsi faccio l'impiegata,
e mio padre e mia madre, una sola pensione,
fanno crescere Luca, il mio unico amore.
A volte penso che sia finita,
ma è proprio allora che comincia la salita.

Che fantastica storia è la vita.
Che fantastica storia è la vita.
E quando pensi che sia finita,
è proprio allora che comincia la salita.
Che fantastica storia è la vita.

Mi chiamano Gesù e faccio il pescatore,
e del mare e del pesce sento ancora l'odore,
di mio Padre e mia Madre, su questa Croce,
nelle notti d'estate, sento ancora la voce.
E quando penso che sia finita,
è proprio allora che comincia la salita.

Che fantastica storia è la vita.
Che fantastica storia è la vita.

Mi chiamo Aicha°, come una canzone,
sono la quarta di tremila persone,
su questo scoglio di buona speranza,
scelgo la vita, l'unica salva.
E quando penso che sia finita,
è proprio adesso che comincia la salita.

Che fantastica storia è la vita.
Che fantastica storia è la vita.

E’ notevole la sinergia creata dal sodalizio tra le parole di questo testo e la musica: immediatezza, semplicità di struttura, costanza, spontaneità, speranza, coraggio e forza sul tema musicale scritto in tonalità di re maggiore (curioso leggere nella partitura un’armatura di chiave in la+ per segnalare la presenza costante di un sol#, mentre di fatto si è in re+ ; il risultato non cambia).
Strofa quaternaria ed inciso si alternano per 4 volte, tutte uguali, costanti, ripetitive a sottolineare la sorte comune, la stessa intensità di sacrifici, la stessa voglia di risalire, di sperare dei personaggi in esse contenuti. Intervallate poi, tra la 2^ e la 3^ da un assolo di chitarra, mentre alla fine della canzone possiamo ascoltare un assolo di sax, entrambe le parti strumentali impegnate nella missione di riprodurre gli alti e bassi della vita, sottolineando le parole appena concluse nei versi.
Nonostante non ci sia un preciso richiamo metrico al testo, emergendo quindi la forma libera con molti versi di 14 sillabe, ma presenti anche 11, 12, 15 sillabe nel tema, tuttavia la struttura musicale, in relazione alle battute, è tale da configurare nelle prime 8 una strofa e nelle 8 successive un inciso, riportandoci quindi ad una cultura e stile di comporre classico. Presenza di rima tra il 1^ e 2^ verso di tutte le strofe.
Ancora nella partitura troviamo l’esigenza di dare due scritture diverse nell’ambito della stessa battuta, con versi metricamente differenti, a seconda delle parole utilizzate, come in “mi-vo-le-va-no-dot-to-re” e “fac-cio-l’im-pie-ga-ta” (8 e 6), “nel-le not-ti d’e-sta-te” e “cer-co-la- vi-ta” (7 e 5) e altre presenti.
Ed è così che l’autore rende l’intera parte letteraria più libera, altrimenti condizionata; l’unica preoccupazione per il testo è di rispettare gli accenti forti del verso, che in Venditti non divergono mai da quelli naturali delle parole.
La relativa libertà metrica e di parola è una delle principali prerogative dei nuovi cantautori ed esprimono l’esigenza di non condizionamento.

“Che fantastica storia è la vita”: la vita oggetto della nostra analisi. E chi vive la vita? I nostri personaggi... La vita, la sua nascita, la sua continuità infinita, non nel singolo, ma nelle molteplici vicissitudini che l’uomo si tramanda, scorre come una rotativa di immagini che non si fermano mai; questo aspetto è sottolineato musicalmente dal tema introdotto dal pianoforte, sempre lo stesso dall’inizio alla fine come lo è il sound in 4/4 ma con accentuata esecuzione della batteria dei tempi forte e mezzoforte (tutto ricondurrebbe alla forza della speranza!).
La meravigliosa apparente monotonia, è invece un sistema pungente, impressionante, il giusto palco alle parole imperniate su una melodia, che non tradisce il Venditti di sempre, nella sua linea di oratore.
Sono solo quattro i nostri personaggi: essi però racchiudono le molte sfaccettature della vita come una specie di fenomenologia.
L’autore grida la sua canzone ed esorta; le sue parole scorrono senza domande portando alla soluzione più positiva di quest’ultima: la vita è una storia fantastica.
Il messaggio di speranza e forza dell’inciso trova sostegno nel linguaggio immediato e ripetitivo, con uso di stesse parole per stesse parti di musica: non può non essere un successo; ogni verso base va al suo verso espanso, tutti con senso affermativo. Non vi è domanda nel testo, perché le domande vanno verso l’incertezza, elemento perdente della speranza, della certezza di raggiungere una meta grande o piccola, del senso di affermazione dell’uomo.
Imprevisti, sacrifici, alti e bassi, cadute e risalite, sono l’ispirazione di suoni di lunga durata e tenuti, o dell’esibizione del sax finale che pare ripercorrere la vita con melodie ascendenti (la salita) cadenze fantastiche (virtuosismi strumentali) voli lenti discendenti e poi risalite melodiche fino a raggiungere la vetta con i suoni più acuti. A questo si aggiunga il timbro caldo e rassicurante della voce del cantautore stesso che completa l’azione del messaggio inviatoci.

Venditti farà dire al personaggio “Aisha”: sono la quarta di tremila persone; potremmo scorgere da una parte l’indicazione di accadimenti futuri, cioè come dire “sono solo la quarta di coloro che


tenteranno di farcela nella vita”, non sono l’unico a sperare di riuscire; dall’altra il semplice ordine di apparizione dei personaggi della canzone, ma col rammarico di non aver citato tutte le altre storie di vita (3000 e forse più).

L’autore ci dà però la sintesi della specie e ci presenta: un uomo, una donna, un umile pescatore di nome Gesù ed un algerino dal nome Aisha.

Nell’immagine di Antonio esiste il ricordo autobiografico; preoccupazioni e scelte non condivise da chi , spesso quando si è giovani, vorrebbe decidere per noi, mentre molti sono i sacrifici che affrontiamo per essere noi stessi, per realizzare le nostre passioni, il mestiere che ci piace.
Venditti non poteva non parlare della professione che conosce meglio, “il cantautore”. Così in 4 versi ci dà il quadro completo di un percorso ad ostacoli (il suo?!). In fondo, però, è il percorso di tutti in una magica sintesi di semplicità e schiettezza di termini.
“Mi chiamo Antonio e faccio il cantautore” non dice sono ma faccio : perché la gente oggi parla così e perché il “fare” testimonia la fatica, l’attività e l’impegno, mentre “l’essere” non è dato a tutti, è un privilegio che non spetta a tutti: ecco così l’universalità della canzone che il grande pubblico ascolta e ne accoglie la sottolineatura del “faccio. Tutto ciò potrebbe ricondurre al Venditti uomo di sinistra. Nell’album sono presenti altre canzoni di riferimento politico o di pensiero.

E poi arrivano le figure dei genitori, presenti o meno nella nostra vita per breve o lungo tempo: tutti hanno avuto un padre ed una madre. Il luogo comune “mi volevano dottore” dimostra quante difficoltà spesso si incontrano per essere quello che vogliamo, per essere noi stessi e non quello che ci chiede la società ola famiglia.
Ogni mestiere è nobile e per questo vale la pena di sfidare il destino per riuscire, fino a che il sacrificio ripaga con la prima canzone; quale più grande orgoglio come il figlio che si partorisce.
Lottiamo per esso, anche se per questo potremmo perdere cose e persone care, amici o amori, ma per tenere l’amore proprio, per noi stessi.

Il refrain “quando penso che sia finitaè proprio allora che comincia la salita” suscita interesse per i suoi versi che si pongono in un’ambiguità semantica: alla fine del primo verso ci aspetteremmo che quel “finita” sia riferito alla vita, ma in realtà dopo sembra riferirsi “alla salita”, così da capovolgere sensazioni e rimescolare le carte. Lo stesso si può dire nel rapporto tra titolo e testo: leggendo il titolo ci si può attendere un elogio alla vita; in realtà – pur essendoci l’elogio – per tutte le quattro strofe ciò che si descrive è la salita.
La principale sensazione, però, rimane quella della soddisfazione per essere in qualche modo sopravvissuti in questa vita, per il fatto che la paura di non farcela rimane solo un pensiero, un congiuntivo “che sia”; e poi ancora, il solo pensiero di perdere e di essere vinti ci dà nuova carica per affrontare ancora una salita, quasi stupefatti di noi stessi, per arrivare a dire che la vita è questo, ed è fantastica; quasi una storia incredibile.

Poi arriva Laura. Per le donne la vita non è diversa, e lei che è laureata non è certo in vantaggio e non è sé stessa, perché fa l’impiegata. Importante sottolineare il nome di questo secondo personaggio, Laura. E’ una specie di allegoria per descrivere chi possiede una laurea. E forse la laurea potrebbe essere il tema di confronto, l’argomento intorno al quale ruotano anche gli altri che non sono laureati. La sorte a quanto pare non è diversa per nessuno.
Troviamo bello il procedere delle strofe in cui ci sono stessi elementi per dare concetti diversi per cui “e mio padre e mia madre” di nuovo come nella 1^ strofa, questa volta per dare le condizioni di una famiglia che vive con una sola pensione, ma ciò nonostante fa crescere suo figlio, lei è rimasta senza un uomo, senza l’amore, suo figlio è l’unico. Forse una ragazza madre?

Scegliere un pescatore e chiamarlo Gesù ci suggerisce l’intento di ricordare che anche a Gesù non fu facile portare avanti la sua missione, se non con la morte finale e la sua “salita” al cielo secondo

gli Scritti Sacri. Non è un nome scelto a caso sicuramente, non sappiamo se Venditti sia religioso, ma una punta di malizia in questa strofa c’è. Forse l’autore ha voluto citare tutti coloro che si consolano nella speranza divina, ma che comunque sperano come chi non è religioso, non hanno privilegi sulla terra e lottano come gli altri personaggi.
Questo di Gesù forse è, dei quattro, il personaggio che meglio rappresenta le storie di tutti. Non fosse altro che per il suo sacrificio, fatto “per noi tutti” come recita il Credo.
Un pescatore, comunque, che “sente ancora l’odore del pesce” lascia intendere che, nonostante i sacrifici di questo lavoro, “questa croce” (chiaro riferimento al sacrificio supremo, quello di Gesù) per pochi guadagni, ancora oggi ama il suo lavoro e spera, riesce a sentire l’odore del pesce come il primo giorno, nel senso che non è vinto dalla noia della routine e lavora ancora ricordando i genitori e la loro voce, magari proprio quando essi gli insegnavano, essendo anche loro pescatori. Notare ancora la figura padre e madre.
Questo forse è, dei quattro, il personaggio che meglio rappresenta le storie di tutti. Non fosse altro che per il suo sacrificio, fatto “per noi tutti” come recita il Credo.

Il testo ora dimostra la sua contemporaneità citando il titolo di una canzone ascoltata pochi anni fa, e ci presenta Aisha (che in lingua africana significa vita) come riferimento a tutte le vicende di extracomunitari, a fughe di profughi, a problematiche di morte per fame e guerra. Siano esse dell’Africa come di altri paesi del mondo. Qui si rafforza il significato sono solo la quarta di 3000 persone che cercano di salvarsi. La sua croce è rappresentata da uno scoglio “di buona speranza”, (stessa idea laura/laureata) rappresentando un calembour per il famoso Capo di Buona Speranza in Sud africa: lasciare il proprio paese verso la salvezza per non morire di fame o di guerra. Ci viene forte di pensare ai profughi che fuggono dal mare, scoglio. In effetti parla di un Algerino ma può riferirsi ai profughi di tutto il mondo. Da notare che in questa strofa non si menzionano il padre e la madre.

In questa canzone come in altre Venditti ci chiede di vedere alla vita come storia, di tenerla presente, non dimenticarla… di ripercorrerla anche nel suo passato, perché sia esempio e forza per essere noi per darci il coraggio. Lui certamente ne è convinto ed in una sua affermazione dichiara di voler rappresentare qualcosa nella storia degli altri. Beh crediamo che lo stia già facendo da tempo. Come abbiamo cercato di spiegare, inoltre, l’opera ha un deciso valore letterario, accompagnato a una netta sinergia tra musica e parole. Tutto questo si sposa con i meriti da sempre riconosciuti dal Premio Lunezia.
Grazie Antonello.


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So che si può vivere non esistendo, emersi da una quinta, da un fondale, da un fuori che non c'è se mai nessuno l'ha veduto

Edited by - PaoloTalanca on 13/08/2004 01:26:33

Simone Fagioli
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Inserito - 10/08/2004 :  10:49:40  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Simone Fagioli
Faccio i miei più sinceri complimenti a Paolo Talanca e Fabiola Trivella per il bellissimo commento-studio sulla canzone di A. Venditti. Il “Faccio” iniziale non è a sproposito: il “faccio” piuttosto che il “sono” inserito nella canzone, secondo me stona un poco. Guccini avrebbe scritto “…sono un cantautore” o magari “…da sempre cantautore” o meglio non avrebbe mai usato l’appellativo cantautore riferito alla sua persona o attività (gli altri lo definiscono “cantautore”); De Andrè si sarebbe definito “poeta” come molte volte ha dichiarato. Il fatto poi che oggi la gente dice “faccio” non giustifica il suo uso nello scrivere; in filosofia è noto come le leggi, in senso lato, non partono mai da una constatazione della realtà, altrimenti ogni azione sarebbe giustificata. L’analogia è di facile intuizione. L’ uso di “faccio” è da rispettare, ma non lo condivido perché a mio avviso è una degenerazione che la canzone non dovrebbe concedere, la canzone deve rimanere il più possibile ancorata alla poesia.
In secundis non condivido gli usi arbitrari della lunghezza dei versi: è facile notare che per risolvere questo problema, Venditti quando canta i versi più lunghi corre e si mangia quasi le parole, mentre sillaba o quasi i versi più corti. Forse anche questa è una caratteristica della canzone.
Mi piace tantissimo la struttura ripetuta ( A,A- B,C( con assonanza o consonanza) – D,D) D e poi da capo… è bella anche l’ intuizione dei personaggi. E’ anomalo ma vincente il ripetersi “e mio padre e mia madre”.

La musica è veramente bella. Una bella canzone.

Simone Fagioli


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Paolo Talanca
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Inserito - 10/08/2004 :  12:16:25  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Paolo Talanca  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Paolo Talanca
Grazie per la risposta Simone!

In effetti è il termine stesso di "cantautore" ad essere ambiguo. Ricordo di aver letto un'intervista proprio a Guccini del 1982. Lì disse che il termine "cantautore" non gli piace molto: (cito a memoria): "è stato inventato da giornalisti che avevano fretta, un pò come quando le prime giraffe venivano chiamate cammellopardo" .
Disse che il cantautore è colui che "scrive canzoni slegate da schemi puramente commerciali, cioè con un testo che non è fatto per l'estate, per l'inverno o per la neve ma significante per la gente e che parli di storie, problemi".

Per quello che riguarda De André, io credo che lui fosse di gran lunga cosciente di far parte di una certa tradizione di chansonniers che, partita in sordina già dal primo ottocento in Francia, è arrivata fino a noi, a volte incontrando la strada (comunque diversa) del melodramma, altre volte incrociando strade dela musica d'uso, quelle cioè che appunto Guccini definisce "per l'estate, per l'inverno o per la neve", con la consapevolezza però di essere "cosa altra".

Il rapporto con la poesia credo sia quello ovvio di usare un mezzo espressivo comune, cioè le parole. Siccome, poi, De André si rendeva conto di saperle usare in modo poetico (e mi limito qui alla pura accezione etimologice del termine: dal greco poìesis che deriva dal verbo poiéo = io creo), è naturale l'aspirazione umana e narcisistica verso qualcosa come la poesia che la gente riconosce arte superiore rispetto alla canzone d'autore, ma che poi, a mio avviso, superiore non è affatto.

Per quello che riguarda la lunghezza dei versi, sostanzialmente mi trovi d'accordo.
Io apprezzo molto di più una canzone scritta in versi misurati, per rimanere in tema direi un pò alla Guccini (ma non solo, naturalmente).
In sede di studio con Fabiola ci si è accorti che la canzone di Venditti ha una base settenaria, come una tonalità musicale. Alla base settenaria, poi, Venditti allunga e accorcia in alcuni punti, probabilmente per rendere più immediato e diretto il rapporto testo/concetto/creatività.

Per quello che riguarda la presenza delle figure di padre e madre, abbiamo fatto una lunga chiacchierata proprio con il cantautore romano e lui ha molto apprezzato la nostra segnalazione. In effetti è il filo comune delle quattro storie, ed il concetto esplode in Aisha, dove le figure dei genitori sono assenti, in una assenza più significativa della stessa presenza.
D'altronde già in Gesù queste figure assumono una valenza fondamentale: sono il ricordo di un Gesù ancora e per sempre attaccato alla propria umanità.

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Inserito - 10/08/2004 :  14:12:43  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Admin  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Admin
Parlando a nome di Concertodisogni (di cui rappresento una buona parte del peso societario di fatto) ringrazio Paolo per la splendida trascrizione di questo lavoro del premio Lunezia (cui in piccolissima parte anche noi abbiamo contribuito dando a Paolo la visibilita' che meritava) e ringrazio anche Simone Fagioli per questa dotta risposta che eleva il livello di tutta l'area musicale.. vi viene bene che manchi la professoressa Elena ma appena torna dalle vacanze vedremo anche il suo prezioso commento!
Ciao
Concertodisogni

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Elena Fiorentini
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Inserito - 17/08/2004 :  16:04:59  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Elena Fiorentini  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Elena Fiorentini

Ancora sui cantautori

Non ne so molto, non avendo studiato a fondo l'argomento, ma posso fare alcune considerazioni a braccio. L'epoca di De André era l'epoca dei 45 giri sulle cui note i giovani ballavano in spiaggia o in montagna,nel salotto di famiglia...
Usavano piccolissimi "mangiadischi portatili", così si chiamavano i "lettori".
Le canzoni, anche le più belle e struggenti,venivano scritte con lo scopo del ballo.
Si stampavano a 45 giri e, oaltre ai mangiadischi, erano destinate alla distribuzione presso i juke box dei bar di tutta Italia.
Credo che l'origine del "Festivalbar" fosse legato a questo tipo di pubblico e di produzione: 45 giri, ballabili. Ho spesso sentito canzoni di festivalbar molto più belle, simpatiche e allegre di quelle tetraggini,(una buona parte!!!) proposte a S. Remo!!!!!

De Andrè comparve in modo totalmente diverso, anomalo e con una diffusione incredibilie, se si pensa che non ha venduto in seguito ad una intensa campagna pubblicitaria, nè attraverso i soliti canali.
Catturò l'attenzione dei giovanissimi delle scuole superiori, che si scambiavano le notizie dei primi brani di De Andrè. Era anche possibile che durante una riunione di ragazzi in cui si ascoltavano i vari Celentano, Gianni Morandi, Mina ecc. qualcuno portasse il grande 33 giri di De Andrè e tutti si fermassero ad ascoltare interessati. I ragazzi bevevano letteralmente questi dischi, assetati di novità, incantati e stupiti di ciò che veniva cantato.
I primi dischi erano in vinile, ma nel formato lp. Si trattava di long paying a 33 giri, che contenevano un certo numero di brani musicali e, non ultimo particolare trascurabile, erano abbastanza costosi e non venivano distribuiti nei juke box. Si trattava di un genere di musica al quale non si era ancora abituati.
Innanzitutto ci si incantava ad ascoltare, fermi ed immobili, senza accennare ad alcun movimento del corpo. Si ascoltavano il testo, le storie, le poesie, cantate dalla voce suadente e incantevole di De André, che divenne popolare velocemente.

Credo che il moderno cantautore, il cantautore del Novecento per intenderci,
- non fa musica fine a se stessa, ma è sempre legato ad un testo
- non scrive musica per essere ballata
- non esegue musiche di altri autori
- è un narratore e poeta che racconta in prima persona.

Molti poi si "fregiarono" del titolo di "cantautore", quasi a mettersi in testa un serto d'alloro, ma pochi, ahimè molto pochi, degni di portarlo.

***
Quanto all'ultima canzone "Che fantastica storia è la vita", da parecchi mesi la sento ogni volta che salgo in auto con mio figlio!!!
Che altro aggiungere?
La so a memoria.
Quanto alla lunghezza delle sillabe, con la musica si aggiusta tutto, no? Basta prolungare o accorciare un suono. Se si vuole una rigida struttura simmetrica, si cerchi la regolarità del verso musicale, che si ottiene ...studiando la musica...
.......
attualmente ho sentito autentiche brutture, accenti tonici non coincidenti con gli accenti musicali. Perchè impazzire ad aggiustare?
Il "cielo" si trasforma in " cielò" , il "mare" "marè" e via dicendo.
Ciao a tutti
Elena Fiorentini


Edited by - Elena Fiorentini on 20/08/2004 10:33:33Vai a Inizio Pagina

Simone Fagioli
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Inserito - 26/08/2004 :  23:10:12  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Simone Fagioli
Sono d'accordo con Elena Fiornetini nel commento ma vorrei ribadire un concetto a costo di essere ripetitivo: la prassi esperenziale non può mai decidere il modo generale in cui si agisce. E' giusto impazzirsi ad aggistare perchè lo richiede una detrminata regola formale. Vicersa non si parla di caznone ma di casualità o di cose fatte solo per essere vendute. Credo però che ciò sia dovuto ad una certa dose di incapacità nascosta. E' difficile scrivere canzoni come De Andrè, Guccini, Battisti-Mogol, De Gregori, Ligabue, Vecchioni...Nessuno dei gioveni cantautori attuali è alla loro altezza: loro o hanno ripreso dai francesi o dalla poesia novecentesca o mitica(Guccini,Vecchioni)o da Dylan o hanno inventato un loro modo di fare canzoni. Oggi nessuno dice niente di nuovo e di ISPIRATO. SI', UNA CANZONE (COME UNA POESIA) NASCE DA UNA ISPIRAZIONE: TUTTO IL RESTO E' UNA FORZATURA ED ESERCIZIO.


Simone Fagioli

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Elena Fiorentini
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Inserito - 06/11/2004 :  10:43:51  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Elena Fiorentini  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Elena Fiorentini
Notizia triste.
Alcune settimane fa mio figlio ha parcheggiato l'auto sotto casa, troppo stanco per portarla in garage, che è a circa 10 minuti di strada a piedi.
La notte era molto scura e i ladri hanno avuto vita facile. Con un piede di porco hanno divelto la portiera dell'auto e hanno rubato, l'auto no, non ci sono riusciti!
Il piumino, l'autoradio, ma perchè hanno inventato il frontalino se poi lo si lascia in macchina,un gratta e sosta, le quattro ventose delle tendine,lasciando le tendine e udite-udite i cd, tra cui il cd di Venditti, acquistato regolarmente in negozio.Ad ogni modo stiamo ricompeando i cd rubati.
Mal comune mezzo gaudio. Non siamo stati danneggiati soltano noi.
***
Anche questa notte sotto casa nostra un inferno, un'autoradio ha imperversato da mezzanotte alle due con urla e schiamazzi vari.
Non chiamo più la polizia, tanto non serve, ma un urlo l'ho fatta davvero, e , miracolo, se ne sono andati.
Ciao
E. F.

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