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Roberto Mahlab
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I - se fosse andata così ...

L'ultimo giorno dell'anno 1942 il presidente degli Stati Uniti lasciò cadere sul pavimento di marmo della sala ovale il fascicolo e si accasciò sulla poltrona, i suoi occhi erano velati di lacrime mentre osservava dalla vetrata la neve cadere fitta nel giardino della Casa Bianca. Eppure Franklin Delano Roosvelt non era uomo che si arrestasse di fronte alle difficoltà, era riuscito a prendere tra le braccia un intero paese e a staccarlo dalle cupe tenaglie della più rovinosa depressione economica della Storia moderna, il soffio della democrazia non aveva mai cessato di sospingere fieramente al vento la bandiera stellata e gli ideali della libertà, della cultura, della musica e della letteratura attraversavano gli oceani e trovavano focolare, spesso in segreto, in tanti cuori cinti d'assedio.

L'Europa intanto, anno dopo anno, era scivolata nelle maglie soffocanti delle dittature, la stridula agghiacciante retorica di Hitler, l'uomo con i baffetti aveva sovvertito ogni umanità in Germania che dal 1933 si era trasformata in un mostruoso accampamento militare proteso alla conquista del mondo, l'Italia aveva calpestato la fiera Storia che ne aveva fatto il faro di tante civiltà e si era piegata all'ossessiva schiavitù di un dittatore, Mussolini, affascinato solo da se stesso.
In Spagna le coraggiose brigate internazionali non erano riuscite ad impedire la presa del potere da parte di un altro tiranno, il generale Franco. L'Unione Sovietica era un campo trincerato agli ordini di Stalin, l'uomo che dirottò una intera ideologia per trasformarla in macchina di morte. L'oriente non era risparmiato dalla caduta verso l'inferno, la giunta militare del Giappone aveva imboccato una politica di aggressione e di sterminio, la Cina per l'oriente fu l'equivalente della Spagna per l'occidente, il banco di prova per la guerra totale delle dittature alla conquista del pianeta.

Due governi amici potevano forse ancora operare il miracolo, ma la Francia e l'Inghilterra non intervennero per impedire l'annessione dell'Austria al terzo reich e cedettero senza proferire parola la Cecoslovacchia ad un Hitler sempre più affamato nel settembre del 1938, il demonio che lo possedeva comprese di avere il via libera per qualsiasi nefandezza, i frantumi delle vetrate di cristallo dei negozi che appartenevano agli ebrei in Germania ricoprirono le vie mescolati al loro sangue.
A breve, i tentacoli soffocarono il continente europeo, il patto nazisovietico per la spartizione della Polonia dette il via alle armate naziste e, l'anno dopo, caddero il Belgio, l'Olanda, il Lussemburgo, la Norvegia, la Danimarca, la Francia, come la Grecia e la Jugoslavia e i paesi balcanici, uno dopo l'altro.
Ad oriente l'avanzata giapponese non si arrestò neppure di fronte alla sfida verso la potenza americana e Pearl Harbour passò alla Storia come il giorno dell'infamia. Caddero Hong Kong, Singapore, la Malesia, la Birmania, le Filippine, la strada verso l'India si aprì agli eserciti del sol levante.

"Presto Hilter invaderà anche l'Unione Sovietica", era uno degli allarmi che gli esperti segnalavano nel rapporto che il presidente Roosvelt aveva appena finito di leggere, "l'Inghilterra resisterà fino a che sarà un immenso cimitero devastato dagli attacchi dei bombardieri tedeschi".
"I generali raccomandano che lasciamo cadere ogni speranza di riequilibrare la situazione, non potremo mai mobilitare abbastanza forze per bloccare l'avanzata dei nazifascisti e dei giapponesi, quante centinaia di migliaia di ragazzi americani dovrei mandare a morire inutilmente!", tutti i ministri del governo americano tenevano la testa china, schiantati dall'enormità del disastro che il presidente stava loro illustrando, "dovremo barricarci sul nostro territorio e sperare che il nemico non raggiunga mai la potenza necessaria a conquistare anche noi".

Tra il 1942 e il 1944 la guerra subì alterne vicende, sia gli inglesi che i russi ebbero successi parziali in controffensive che però li dissanguarono, alla fine del 1944 i tedeschi sfondarono il fronte orientale e si congiunsero con le armate giapponesi che avevano travolto le residue resistenze occidentali in Indocina e si erano spinte oltre il confine mongolo a nord, aggredendo alle spalle le truppe sovietiche impegnate contro quelle naziste.

Le radio tedesche trasmisero al mondo un discorso di Adolf Hitler nella notte di capodanno del 1944 :"La pace! Il Reich e i suoi alleati hanno sempre cercato con tutte le loro forze la via della pace, raggiunta piegando le demoplutocrazie e la congiura giudaica. Ora la pace è finalmente alla portata dei nostri popoli superiori a cui la Storia ha affidato il compito di guidare il mondo. La Russia è in ginocchio e le nostre gloriose armate stanno stanotte festeggiando la vittoria con i valorosi alleati dell'imperatore d'oriente. L'Inghilterra..." e rise satanicamente, :"ho un messaggio per quello che rimane dell'Inghilterra, avete voluto difendere gli ebrei? avete avuto quanto vi spettava, sangue, sudore e lacrime, esattamente quanto vi aveva promesso il vostro Churchill, solo che li avrete per sempre il sangue, il sudore e le lacrime!".
In sottofondo esplose l'urlo di milioni di voci assiepate nei viali di Berlino, così come altri milioni gridarono dai campi di battaglia e dai paesi occupati :"Sieg Heil! Sieg Heil! Sieg Heil!"
"E l'America?", riprese il Fuhrer con voce che sputava disprezzo, :"dove è l'America? dove sono le promesse di democrazia per il mondo intero? dove è Roosvelt, l'amico degli ebrei, sulla sua sedia a rotelle, dove è, tremante, nascosto dietro un oceano, pallido per la consapevolezza che presto, molto presto, anche i suoi Stati Uniti dovranno arrendersi all'evidenza del grande Reich!"
"Sieg Heil!, Sieg Heil! Sieg Heil!", il delirio era inarrestabile, da Mosca a Parigi, da Tunisi a Roma, da Tokio a Singapore, quel giorno sarebbe stato ricordato come il "giorno della pace definitiva".

E i camini costruiti dal 1942 continuarono a fumare ceneri di corpi, le teorie naziste della razza si estesero dovunque giunsero i conquistatori : i subumani, gli untermenschen, gli ebrei, i negri, poi toccò ai gialli, il progetto di modificare la composizione umana del pianeta, a figura e misura dell'immaginario della follia, non conobbe piu' intralcio alcuno, il mondo divenne preda e possesso del demonio.
I laboratori tedeschi furono i primi a raggiungere il risultato della fissione nucleare e le fabbriche del reich promisero a Hitler che presto sarebbero state pronte le ogive per trasportare al di là dell'oceano un esplosivo di devastante potenza.

"Sai untermensch", il colonnello Adolf Eichmann fece un gesto di fastidio verso l'uomo ricoperto di sangue e riverso sulla pietra fredda della cella della camera delle torture della Gestapo di Vienna, "siete buffi voi, nascondervi fino ad ora, bravo, ma alla fine vi abbiamo trovato e... interessante il contenuto dei tuoi armadi, vediamo, le prime pagine dei giornali con le notizie delle gloriose avanzate della Wermacht..", scaraventò a terra alcuni fascicoli che il suo attendente gli aveva porto, "e questo registro, gli orari dei treni verso l'est e i racconti di chi sfuggiva, dimmi "herr" Wiesenthal, veramente eri convinto che un giorno questa collezione di carta sarebbe stata usata come prova dopo che il reich avesse perso la guerra?".
Estrasse un sigaro dal taschino dell'uniforme e si rivolse all'attendente, "major, mi dia del fuoco, per il sigaro e per questo registro". I fogli si piegarono in cenere, :"visto herr Wiesenthal? abbiamo risolto anche il problema della Memoria".
Adolf Eichmann si volse di scatto e uscì dalla cella facendo un cenno del capo al maggiore. Scese i gradini del comando della Gestapo e aspiro' a pieni polmoni la brezza della primavera in arrivo. I piccioni della piazza si levarono in volo al risuonare del colpo di pistola proveniente dall'interno della prigione.

Roberto Mahlab
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II - ma invece andò così ...

"Non cederemo mai, fino alla resa senza condizioni delle dittature", non era neppure una dichiarazione, era pronunciata come fosse una constatazione, Franklin Delano Roosvelt non si era mai spaventato di fronte alle difficoltà, non si tirava indietro neppure davanti agli ideali all'apparenza impossibili. Le scie degli aerei giapponesi non si erano ancora diradate dai cieli delle Hawaii sconvolte dall'attacco di Pearl Harbour quel 7 dicembre 1941, che il presidente aveva affiancato gli Stati Uniti ai popoli che ancora resistevano alle armate nazifasciste in Europa e agli eserciti dell'imperatore in estremo oriente. Gli Stati Uniti furono mobilitati per la seconda volta in poco più di un decennio, la prima volta per sconfiggere la depressione e ora per la battaglia più grande di tutte, la posta in gioco era l'esistenza stessa del futuro dei popoli del mondo.
Aerei e armamenti precedettero i combattenti, gli strazianti arrivederci e molto spesso gli addii di uomini che partivano per riportare la liberta' in terre lontane. "Quanti dei nostri ragazzi non torneranno, quale sarà il prezzo che pagheremo?", era il pensiero fisso di milioni e milioni di americani, mentre un sospiro di ringraziamento si levava da milioni e milioni di esseri umani divenuti schiavi.

La guerra non si riequilibrò che nel 1942, furono le prime sconfitte degli eserciti dell'Asse, dall'Africa al fronte russo alle isole del Pacifico. "Non basta, dobbiamo rimettere piede sul continente europeo", fu l'ordine che i generali alleati ebbero dalla Casa Bianca.

Anzio, 22 gennaio 1944

Lee Williams chiuse gli occhi come ogni volta che si sorprendeva ad essere calato nell'irrealtà, gli scoppi dei cannoni tedeschi scuotevano la carena della sua lancia da sbarco che correva verso la spiaggia italiana. L'anno prima si era arruolato nell'esercito a Tucson, come milioni di giovani americani. Aveva lasciato gli studi di medicina, come sognava adesso la routine degli esami!, aveva paura ogni volta che doveva affrontare il professore, paura, già, sorrise tra sé e sé, "ora so che cosa è veramente la paura". Katherine non gli aveva rinfacciato nulla, gli scriveva ogni settimana con le notizie da casa, l'incidente dello zio Luke, l'apertura del nuovo negozio di parrucchiere all'angolo con la Sesta, i progressi a scuola del nipotino, il rinnovo della piccola chiesetta dove, al suo ritorno, si sarebbero sposati.
Quei pensieri servirono a far passare il tempo fino al grido del maggiore :"coraggio ragazzi, fuori!" e la corsa sulla spiaggia, zigzagando, sparando, assiepandosi dietro una piccola roccia per riprender fiato, un compagno cadeva e Lee correva a soccorrerlo, "una barella qui, presto" e parole di conforto anche quando sapeva che il conforto non sarebbe servito.
Molti mesi erano trascorsi dal primo sbarco in terra europea, in Sicilia, il luglio dell'anno precedente, l'accoglienza festante della popolazione, il crollo del regime fascista in settembre, l'arresto di Mussolini, la vendetta dei tedeschi e la corsa degli alleati verso Roma.

Il 4 giugno del 1944 Lee Williams guidava una jeep nelle vie del centro storico della capitale italiana, non fece a tempo neppure ad accorgersene fino a che se lo ritrovò al collo, frenò bruscamente e cercò di raccogliere il fucile dal sedile di fianco, :"amico!, sono Giovanni, amico!, grazie!, grazie!", in pochi istanti la via fu invasa da una folla piangente, Lee non riusciva a contare quante mani lo stavano toccando e quante persone lo stavano abbracciando.
"Liberi, siamo liberi!", "vieni americano, vieni, ti porto nella mia casa, il Signore ti benedica, potrai riposarti, berrai il nostro vino, insieme!".

Omaha Beach, Normandia, alba del 6 giugno 1944

Protetti dal buio di una notte senza luna i mezzi da sbarco depositarono sulla costa la compagnia di genieri con il compito di far saltare le mine tedesche disperse sotto la sabbia.
Il soldato Benjamin Lewis era cresciuto a Brooklyn, frequentava la sinagoga ogni sabato e ogni mattina vestiva i tefilin, i filatteri comandati dalla religione ebraica, otto mesi prima il rabbino era scoppiato in lacrime a metà di un sermone, i presenti rimasero senza parole, alcuni si levarono e gli si avvicinarono per chiedergli che cosa avesse, ma la disperazione dell'uomo di religione non conosceva pause, singhiozzò fino a che non ebbe più lacrime, poi si alzò e si recò di nuovo al piccolo banco da cui riprese a parlare ai convenuti :"i nostri fratelli, le nostre sorelle in Europa, vengono rinchiusi in vagoni piombati, macellati come animali, i nazisti stanno mettendo in pratica quanto aveva promesso il loro folle capo, io non so, non lo so, se i nostri soldati arriveranno in tempo per salvarne qualcuno, chissa' se ancora esiste qualcuno in vita! O Signore nostro, dove sei, aiutaci!".
Benjamin tornò a casa, salì le scale e entrò nella stanza illuminata solamente da una fioca luce, rimase in piedi ad osservare l'amato padre che leggeva, fino a che lo sguardo del vecchio si levò sul figlio, :"sei pallido Benjamin, te lo dico sempre", l'affetto e il timore nel tono della voce, "dovresti chiedere al rabbino di trovarti una brava ragazza che ti porti a spasso, al sole, a divertirti senza i soliti libri". Il giovane lo guardò con tenerezza, si inchinò e si allontanò verso la porta, corse dall'altra parte della strada, al centro di arruolamento.

Una luce si accese e si spense, poi altre in sequenza, "sono i partigiani", bisbigliò Benjamin agli altri soldati, e avanzarono silenziosamente verso la boscaglia.
"I tedeschi non vi aspettano, abbiamo poco tempo però prima che si accorgano che sta avvenendo lo sbarco, questa è la mappa di dove si trovano le mine". Posero le cariche nei punti indicati, sarebbero esplose appena prima dell'arrivo del corpo di invasione.
Si appoggiarono agli alberi per riposare e Benjamin si accorse nella penombra che la voce che li aveva guidati era di una donna, era infagottata in un pesante vesito da uomo, :"io sono Benjamin, vengo da Brooklyn", sussurrò l'uomo. Ma la donna non rispose, un raggio d'alba le illuminò il viso e il soldato non riuscì a trattenersi dal dirle meravigliato sottovoce :"sei bella anche al buio". Uno sguarcio nell'oscurità indico' il primo scoppio, il mare, videro che il mare era pieno di navi di ogni tipo e poi l'artiglieria tedesca cominciò a sparare.
"Presto seguitemi", la ragazza prese per un braccio Benjamin e lo trascinò verso una radura, "appena arrivano le jeep dovete partire a tutta velocità verso Cherbourg, ci saranno altri dei nostri ad attendervi e a guidarvi fino alle fortificazioni della città. L'americano annuì e fece per andare, ma la voce della donna lo fermò :"mi chiamo Rebecca, Rebecca capisci? se fallite e se mi prendono, salirò su un treno, come tutta la mia famiglia, li ho visti, capisci?".
Benjamin portò la mano sotto la divisa e ne trasse una catenina, una piccola Stella di Davide in argento, "esiste una Terra, al di là di un altro mare, dove tutto questo non potrà più succedere, se vorrai, ci andremo insieme, dopo che la guerra sarà finita". Lei lo accarezzò, :"torna vivo, per me".

Ardenne, 16 dicembre 1944

Pesava, quanto pesava. Il radiotelegrafista Samuel Sheridan si tolse dalle spalle lo zaino contenente l'ingombrante radio da campo e lo appoggiò sul terreno innevato. Ansava, in quel gelo, sudava e gli venne da ridere :"ma guarda, non sudavo così neppure in agosto a New Orleans!".
Amava la sua città, il quartiere francese dove era nato, il coro della congregazione di cui era la voce più intonata e più ammirata, il suo inno preferito era "Jerico, Jerico, Jerico", la sua famiglia aveva lontana origine africana, furono venduti come schiavi e le generazioni successive crebbero in quelli che sarebbero diventati gli Stati Uniti.
Il giorno della sua partenza per l'Europa, il reverendo Jackson lo aveva preso da parte, : "figlio mio, discendente di oppressi, ora già devi partire per liberare altri popoli, che il Signore vegli sempre su di te".
Un fruscio lo fece paralizzare, estrasse la pistola e si aqquattò dietro delle sterpaglie, sentiva un respiro veloce a pochi metri, punto' l'arma. "No!", il dito si arrestò un attimo prima di premere il grilletto, era una voce di bambina. Un fagottino si alzò in piedi, un volto impaurito, un corpicino tremante. Apparve crollare, pallida, la mano di Samuel la sorresse, "chi sei?", le chiese nel francese che aveva appreso nella sua citta'. "Liliane...", i brividi la scuotevano, l'americano si frugò nelle tasche e le offrì della cioccolata, la bambina dapprima gli lanciò uno sguardo spaventato, poi una piccola mano prese la barretta e la portò alla bocca con voracità. "Da dove vieni?", le chiese Samuel con la voce più gentile che poteva.
La bambina indicò con il mento una direzione alle sue spalle, Samuel si avvide di un filo di fumo che si levava a non più di duecento metri in linea d'aria. Corse allo zaino, ne tolse la radio e un binocolo, lo puntò verso la zona del fumo e fu percorso da un brivido.
C'era una casa che bruciava e di fronte ad essa dei carri armati e degli uomini, mise a fuoco un poco di più e scorse le divise dei corpi speciali tedeschi a terra e gli uomini in punto di indossare delle divise del colore... della sua!
"Comando, qui Sheridan, comando rispondete!", l'altoparlante della radio gracchiò in risposta, "Sheridan, dove sei? è in corso una controffensiva tedesca, alcuni reparti dicono che le nostre truppe stanno sparando sui nostri soldati!", "i gruppi speciali tedeschi, sono nei boschi, si sono travestiti da americani, ne ho una compagnia davanti a me, no, non è una compagnia, è... sono tantissimi, comando, comando, appoggio d'artiglieria immediato, partono da qui, dalla mia posizione!".
La neve divenne rossa in quei giorni nelle Ardenne, l'ultima pericolosa offensiva tedesca venne arrestata dagli alleati, e i carri armati di Patton ripresero la corsa verso la Germania.
Liliane teneva il capo di Samuel nel suo grembo, lo aveva vegliato per tutta la notte, un cecchino tedesco lo aveva colpito mortalmente appena dopo che ebbe lanciato l'allarme che permise la controffensiva alleata nella zona. Un soldato americano si staccò da una colonna in marcia e si chinò verso la bambina e la abbracciò con tenerezza, "Jerico, Jerico", la sentì mormorare, le parole che Samuel Sheridan aveva sussurrato per tutta quella notte, per tutto l'ultimo tempo della sua vita che lo abbandonava.


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Roberto Mahlab
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III - e fu per sempre la Memoria...

Roma, giugno 2004

"E poi attraversammo la linea Gotica, tuo nonno e io, insieme", Lee raccontava muovendo i bicchieri, i piattini di bruschetta e la bottiglia di vino sul tavolo come fossero divisioni corazzate. "E in men che non si dica, Lee e io vincemmo la guerra!", rideva Giovanni, un bell'uomo con un paio di baffi curati e dalle spalle possenti nonostante gli anni.

Erano seduti ad un tavolino all'aperto di via Veneto, insieme a Katherine, la moglie di Lee, a Ottavio, il figlio di Giovanni, a sua moglie Paola e a Roberto, il loro bambino di otto anni, che ascoltava a bocca aperta i racconti di guerra dei due vecchi amici. Lee tossiva spesso, il tempo non era stato generoso con la sua salute, per camminare doveva appoggiarsi ad un bastone, ricordo di una ferita al ginocchio durante una battaglia con i tedeschi a Bologna.
Insieme a sua moglie viaggiava spesso in Europa per affari e sempre risparmiava del tempo da mettere a disposizione per incontrare Giovanni ed era come se per loro gli anni non fossero mai trascorsi, l'uno per l'altro era sempre il viso di quel giorno del 1944 a Roma.
"Ti ricordi quella sera ai castelli romani?", sospirò Giovanni con nostalgia. "Eccome se me la ricordo, facevi di tutto per presentarmi tua cugina!". L'italiano riuscì ad arrossire e galantemente si rivolse a Katherine, :"e sono contento di non essere riuscito a tentare il tuo Lee, non mi sarei mai perdonato di staccarlo da una bellissima donna come te!".
Katherine lanciò uno sguardo affettuoso ai due anziani uomini e chiese al piccolo Roberto :"ti raccontano a scuola la storia di quei giorni?". "Oh sì, e poi quando torno a casa il nonno Giovanni me la racconta ancora e ancora!", tutti risero, ma il piccolo Roberto rimase serissimo e proseguì :"e io gli chiedo di raccontarmela ancora e ancora".

Rimasero in silenzio, a godersi il sole del pomeriggio romano, una brezza leggera, una fine di primavera clemente e fresca come non era da anni. Un fischio acuto spezzò l'aria, delle auto della polizia si erano arrestate in mezzo alla via poco lontano dal tavolino del locale e degli agenti si erano posizionati in linea, protetti da caschi e scudi. Gli avventori iniziarono ad alzarsi e a raccogliere borse e giacche, un ufficiale si avvicinò al tavolo di Lee e di Giovanni e li salutò con rispetto : "sono dolente di dovervi chiedere di mettervi al riparo altrove, la manifestazione deve passare proprio per questa via". Non aveva neppure finito di parlare che delle grida si udirono a duecento metri di distanza, un piccolo gruppo ordinato avanzava, c'era del fuoco sull'asfalto, :"stanno bruciando una bandiera americana!", Giovanni si era alzato per osservare con attenzione e riferire ai suoi amici e famigliari. Dai megafoni giungevano grida inquietanti e ritmate, :"America, vattene!", "Abbasso l'America!".
"Direi che ce l'hanno con noi", fece Lee alzando rassegnato le spalle e contemporaneamente terminando il contenuto del bicchiere. Giovanni lo osservò pensieroso :"chissà se qualcuno ha insegnato loro che possono comportarsi così grazie a te".
Si avvicinò all'amico e gli mise un braccio attorno alla vita e lo sollevò dalla sedia, :"amico mio, prendi il tuo bastone per appoggiarti, andiamo, credo che sia necessario rinfrescare la memoria a qualcuno".
"Ma Giovanni, siamo solo due vecchi, guarda loro, scommetto che non hanno mai sofferto il mal di mare su un mezzo da sbarco o la paura che un nazista gli sparasse nel ginocchio!".
"E tu avevi paura Lee?", "eccome se ne avevo Giovanni", rispose l'americano convinto.
"Anche io, anche adesso".

I due uomini si sorressero a vicenda e camminarono affiancati fino a che raggiunsero il centro della strada, si fermarono lì, gli occhi verso i manifestanti, le spalle alte, erano due vecchi, colmi di Memoria, il corteo urlante si muoveva verso di loro.


Roberto Mahlab

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