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 LA TUNICA ROSSO PORPORA
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zanin roberto
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Inserito - 18/09/2003 :  20:11:31  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a zanin roberto
LA TUNICA ROSSO PORPORA

L'estate della Tracia era un'esplosione di colori, i roseti selvatici chiazzavano di gioiose roselline rosse il verde della pianura, odore di foraggi aromatici si spandevano e i fuochi dell'enorme accampamento militare si mescolavano con violenza al paesaggio.
Adrianopoli era sullo sfondo a guardia di un orizzonte che si perdeva sulle placide acque del Mar Nero, adagiata sulle sponde del fiume Maritza, città romana fondata da quello splendido imperatore che fu Adriano.
Il vasto pianoro era completamente coperto da tende d'un grande esercito cosmopolita, che l'imperatore d'Oriente Valente, aveva radunato per ricacciare i barbari Goti oltre il Danubio.
Usci dalla sua tenda Vissinius, alto, biondo, forte, maturo legionario, nella sua tunica rosso porpora, divisa di cui andava orgoglioso, erano nove secoli che quella uniforme romana veniva indossata dagli eserciti che avevano soggiogato tutto il Mediterraneo.
Ripuliva con zelo la sua daga, guardava malinconico l'elmo rotondo appeso mutuato ai barbari come pure quella grossa borchia che teneva il mantello sulla spalla, segno dei tempi.
Mentre si immergeva seminudo sul fiume per lavarsi, la sua mente andava alla sua terra natia, lontana, veniva dall'agro Concordiese,da un villaggio che era immerso nel bosco di quella zona di risorgive, aveva fatto la preparazione ad Aquileia e ora riandava al toccante pensiero di Prumezia, sua moglie, lasciata da sei mesi per questo incarico che si profilava difficile e pericoloso.
Il caldo e l'arsura, quel mattino 9 agosto 378 d.c., non si sarebbe fatto aspettare tanto, di colpo il suono delle trombe richiamò l'adunata, tutto l'esercito imperiale fu in preda alla concitazione, si schierò con ordine e precisione come la tradizione voleva.
La luce sulla piana era dorata, cornacchie nere gracchiavano irriverenti in cielo, Vissinius era in retroguardia, leggermente rialzato da un terrapieno, vedeva ora il luccichio sterminato degli scudi al sole, ammirava le antiche insegne, si lasciava incantare dalla geometria dello schieramento e sorrideva orgoglioso, a perdita d'occhio un campo di "papaveri" rossi porpora chiazzavano la piana verde clorofilla.
-" Non poteva essere così maestoso un esercito che portava morte, eppure..." si disse, si guardò la tunica e gonfiò il petto.
Di colpo un tuono lacerò lo spazio aperto, i brividi lo colsero all'improvviso,le daghe sbattevano sugli scudi, ritmando un'indomita volontà, l'eco sordo si perdeva nei timpani dei preoccupati Goti a loro contrapposti.
Solo alle ali dello schieramento romano,le cavallerie di Germani,Unni,Arabi loro alleati erano colorate e variopinte ma Vissinius alzando le spalle diede segno di tollerarle.
Due giorni di scontri feroci, sangue e un fetore insopportabile ora portavano al delirio Vissinius, scampato alla carneficina perchè creduto morto.
Lacero, insanguinato, spossato, sfiduciato, si era nascosto in una cava di pietra, osservava il lento spegnersi dell'ultima armata romana. Prima l'onda rosso porpora si dilui, si smembrò, poi come un fuoco offeso dalla pioggia si ridusse, ora il rosso era solo del sangue sparso.
L'imperatore Valente morto, arso vivo, tre generali,Vittore,Sebastiano,Ricomero uccisi,l'impero d'Oriente era senza difesa e lo sconforto prese il legionario che bagnata una pezza di stoffa si deterse le sporche ferite.
Il tramonto scese sulle ultime grida come un narcotico atteso, sperato, il pianto di dolore era alternato alla rabbia per quell'immane disastro, il tempo aveva sgretolato il mondo civile e ora Fritigerno coi suoi barbaro Goti aveva libero dominio.
Vissinius aspettò giorni, finchè visto l'orizzonte libero usci, si lavò, si medico applicando del muschio sulle piaghe, trovò delle mele selvatiche per sfamarsi.
Guardava vinto il suo aspetto, considerava ormai vana ogni riflessione di speranza, la tunica rosso porpora era una bandiera passata, il caldo lo faceva sudare, camminava immerso in un fitto bosco finchè raggiunse un villaggio di pastori.
Lo guardarono con pietà, lui legionario romano, si inginocchiò e li scongiurò di sfamarlo. Il latte non mancava e quando lo stomaco smise di contrarsi cadde vinto dal sonno.
Non era lontano il Mar Nero dove con un pò di fortuna avrebbe potuto imbarcarsi per l'Egeo e forse di là per Tergeste e così riabbracciare la sua bella Prumezia, dolce sposa.
Quel mattino il sole infuocava la natura, una brezza leggera saliva dal bacino lacustre, di lontano un suono di liuti ingentiliva l'umore, i pastori erano già scomparsi dietro le colline di erbe polifite. Vissinius si tolse con ricercato gesto la tunica rosso porpora, la piegò delicatamente, lacrime scendevano lente, nel fuoco d'una piccola pira erbe speziate emanavano toni di aspro profumo, alcune donne a cerchio asservavano lo strano rituale e colpite dalla sensibilità dei gesti ne assecondavano l'opera con complicità.
Il legionario alzò gli occhi al cielo, sollevò le braccia che tenevano misticamente il panno e consumata l'ultima preghiera pagana gettò alle fiamme la sua bandiera, una vampa aranciata violò l'atmosfera, si era consumata l'ultima divisa romana, da quell'agosto di Adrianopoli più nessun soldato avrebbe vestito la tunica rosso porpora.
Il fumo saliva lento con il ricordo epico di Scevola,Scipione,Cesare,Traiano e il cielo della Tracia disperdeva un sentimento che aveva unito nel bene e nel male gli Iberi ai Galli, i Bratanni ai Daci, i Greci ai Numidi una nuova era s'affacciava inesorabile.
Vissinius salutò i suoi salvatori vestito di brache di pelle e da un mantello di canapa scura, aveva in cuore solo il volto della sua donna e un sogno non più confessabile : un aquila forte volare nell'alto cielo dove solo i potenti rapaci osano.


di Zanin Roberto

   
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