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 L'ULTIMO ROMANO
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zanin roberto
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Italy
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Inserito - 26/10/2013 :  19:09:52  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a zanin roberto
Dalla collina scendeva il profumo dei forni che cucinavano il pane, l'aroma si perdeva giù nel pianoro che era attraversato dalla strada romana, il buio della notte si era appena attenuato dall'imminenza dell'alba e la bruma densa bagnava le foglie dei castagni e dei noccioli. L'autunno così pigro e così nobile aveva ingiallito la natura e la prossimità dell'inverno rendeva l'atmosfera carica di tensioni, impercettibili scariche di pulsioni addensate, improvvisi lampi di sentimenti forti e potenti. Il cavaliere procedeva piano a cavallo, il suo respiro era un rantolo alternato a profonde e sorde lamentazioni soffocate, il suo mantello color rosso porpora era bruciato in più punti e annerito dal lungo logoramento, macchie di ruggine chiazzavano i pantaloni di pelle, un braccio penzolava inerte, il cavallo allo stremo si fermò, il soldato scivolò di lato e cadde come un sacco di sale scaricato al porto.
La città di Urbs Salvia iniziava appena a destarsi, le colline picene erano ancora avvolte dal buio, l'officina d'un maniscalco accendeva la fornace e il rumore del martello sull'incudine riempiva l'aria di rumori metallici e ritmici, dall'uscio della bottega usciva un cono di luce rossastra che si proiettava sul lastricato della strada, uscì un uomo alto, massiccio, un vero gorilla, si stiracchiò poi disse con una voce roca e decisa:
- " Servilia, figlia mia, vai a prendermi dell'acqua al fiume, eccoti il secchio ! " -
- " Eccomi padre, così sia ... mi ci vorrà un attimo ... sapete che io sono più veloce di un maschio ... " - rispose una fanciulla di dodici anni con un orgoglio del tutto inaspettato.
- " Non vantarti tanto, prima o poi farai arrabbiare qualche ragazzo e io non sarò vicino da poterti proteggere ... " -
La madre che all'interno della casa, stava scaldando del latte aveva sentito tutto e dopo aver riso e scosso la testa affermò con soddisfazione:
- " Marito mio ti ho dato una figlia che è quasi un maschio ... non era quello che volevi ? " - pronunciò la frase con buon umore e rise.
- " Oh ... donna ... voi, voi .... sapete che gli voglio bene come a un figlio ... ma capite che io invecchio e il lavoro è pesante ... se ... voi ... oh, ma e io che vi bado anche! " - brontolò l'uomo ringraziando gli dei in cuor suo di avere quelle due donne che amava.
- " Brontolone d'un gallo Senone .... che gli dei ti mantengano in salute per tanti anni " - ribadì la moglie.
Con il mantice, il grande fabbro intensificava il fuoco che ora si era infuocato con violenza, la moglie lo raggiunse con una scodella fumante di latte proprio mentre udirono un grido di paura provenire dalla strada. Servilia gridava disperata:
- " Padre, padre ... per tutti gli dei ... accorrete, presto ! " -
- " Servilia, cosa succede ? " - i due genitori uscirono e corsero incontro alla figlia finché la raggiunsero sul bordo della strada dove era accovacciata vicino al corpo d'un uomo caduto da cavallo che brucava accanto.
- " Galliano chi è quest'uomo ? ... è morto ? " -
Avvicinando l'orecchio alla bocca dello sventurato e tastatogli i polsi il fabbro rispose.
- " No, no ... è ancora vivo ... sembra un soldato ... dell'armata imperiale d'Oriente ... io ho fatto il soldato, riconosco le insegne che porta, per Giove è davvero mal ridotto ... su, su, adesso lo riscaldiamo, aiutatemi, Servilia porta il cavallo " -
Sollevatolo con estrema facilità il colosso lo portò fino in casa, lo adagiò su un pagliericcio, ravvivò il fuoco mentre la moglie preso uno straccio e imbevutolo d'acqua fresca gli bagnava le labbra riarse. Lo lavarono, lo cambiarono con indumenti asciutti, gli unsero le ferite con una crema, un impasto di erbe e grasso, passò il giorno e la notte successiva dormendo, Servilia di tanto in tanto passava a verificare che non si fosse svegliato, gli inumidiva la bocca e poi raggiungeva il padre per aiutarlo. Quando stava ad ammirarlo posava gli occhi sulla spada dall'elsa lavorata e sul pugnale che usciva dal fodero di ossa finemente inciso e decorato con oro e argento. Dopo due giorni arrivarono dei carri da lontano, si diceva che erano profughi dell'Illirico ma non riuscivano ad avere maggiori dettagli, una catastrofe doveva essere successa ma la lunga distanza era un ostacolo insormontabile, qualche cosa di eccezionale, per sentire gli effetti fin nel centro dell'Italia. Quel mattino le cornacchie avevano cominciato a volare basse come infastidite, la nebbiolina si infiltrava tra le cose, l'uomo finalmente si svegliò, aprì gli occhi e si mise di scatto in piedi poi svenne e dalla spalla uscì del sangue nero, lo soccorsero e solo allora si accorsero che aveva un frammento di freccia conficcato nella carne. Chiamarono Venanzio che era il medico della città, lo operò con bravura e lo fasciò come si conviene poi consigliò a Vecelia di gettare bacche di eucalipto sul bracciere che riscaldava la camera e di somministrare miele e corteccia di salice pestata due volte al giorno. Ritirò una bella cintura di cuoio come compenso e se ne andò tracollando soddisfatto. In città non si parlava d'altro, lo straniero attirava la curiosità di tutti, si facevano mille congetture, si scomodavano gli dei che potevano aver deciso di inviare un loro emissario per verificare la scarsa devozione del popolo, qualche altolocato aveva addirittura fatto congetture con quel nuovo Dio, di quella setta che si chiamavano cristiani e che si andava diffondendo con grande rapidità, ma qualcuno asseriva che forse si trattava di uno sventurato che era scampato a qualche disastro in terre lontane. Il clima si stava incrudendo e l'inverno era ormai vicino, i giorni passavano lenti e monotoni in quelle lande di abili agricoltori e di capaci allevatori, lo straniero sembrava essersi ristabilito ed iniziava ad alzarsi e a camminare per le vie della città sempre accompagnato da Servilia che ormai si era affezionata a quell'uomo cupo e taciturno. Un giorno, nel primo pomeriggio, la grande figura di Galliano apparve alla soglia dell'orto che si allargava dietro la domus, lo straniero era scaduto su una panca di legno sotto un albero di cachi che era carico di frutti arancio, il sole filtrava ormai tiepido e l'aria era pregna di odori di legna bruciata nei focolari. Il fabbro lo guardò con intensità, sollevò lo sguardo al cielo, pensò che era giunto il momento di sapere la verità, lo straniero guardava rapito un ramo carico di cachi maturi infastiditi da vespe inebriate, il viso solcato da una smorfia di dolore infinito, i movimenti delle sue mani sui suoi capelli facevano intuire modi patrizi, non certo di volgo. Le sue armi non erano comuni, il suo portamento tradiva un alto lignaggio. Senza voltarsi dando la schiena a Galliano disse con garbo e misurata pronuncia:
- " Vi devo la vita, fabbro ... ho un debito di riconoscenza che non ha prezzo ...ma forse era meglio se ...." - non finì la frase ma il senso drammatico e fatale delle sue parole era palese.
- " Straniero ... io ho fatto solo quello che mi suggeriva la mia coscienza, la coscienza di buon romano ma ... vorrei poter capire ... non ti farò domande ma non sono uno sciocco, ho prestato servizio nella XXIII legione pannonica come centurione e so riconoscere un ufficiale, un alto ufficiale ... " - il silenzio cadde per un tempo che sembrò eterno. Il volo di anatre selvatiche pronte alla migrazione passò radente il grande albero e si perse oltre le colline come un oblio forzato.
- " Mi chiamo Galliano e so riconoscere ... il dolore, lo strazio che lacera ogni certezza " - aggiunse il fabbro con sapienza. Si era avvicinata al marito anche Vecelia e la figlia Servilia, un gatto bianco a chiazze nere saltò dal muretto di pietre e si accucciò vicino ai piedi dello straniero, che calamitava l'attenzione, lontano si sentiva il canto di fanciulle intente a lavare i panni alla fontana, il rumore delle ruote dei carri che passavano sulla strada lastricata che lacerava l'aria, il vocio dei primi avventori alle terme, le risa dei bevitori delle taverne, poi il galoppo di una pattuglia postale che recapitava i rotoli e le missive in tutto l'impero.
- " Ecco. sentite ... questa è la civiltà del nostro vasto impero romano, la pace, l'organizzazione statale, l'ordine, il commercio garantito, la sicurezza sociale, le leggi, la lingua latina che governa lo scambio di idee, ecco sentite i rumori della vostra città... sentite la vostra città pulsa e vive ... ohhhh dei dell'Olimpo perché è successo ? ... che sarà del domani? " - pronunciò quelle parole come un un'estasi ipnotica, in un delirio esploso improvviso, il tono era così disperato che metteva i brividi. Galliano strinse Vecelia e Servilia ad un cenno del padre corse a porgere un bicchiere di vino rosso, all'uomo che sorrise distratto a quel gesto d'umanità, bevve d'un fiato e strinse a sé la ragazza come un padre amorevole e protettivo. Poi di scatto si alzò e si girò verso di loro, si mise dritto, come un ufficiale di fronte al suo imperatore, gli occhi brillavano di un orgoglio potente e secolare, sentiva dolore ma era sopportabile.
- " Sono Caio Flavio Vissinius, comandante delle milizie al servizio del generale Sebastiano, ucciso nella disastrosa battaglia di Adrianopoli, dove il nostro imperatore d'Oriente l'augusto Valente è morto arso in un rogo eroico ... " - ora le lacrime solcavano irriverenti quel viso rigato dallo strazio, erano passati quattordici mesi dalla disfatta ad opera dei Goti e ancora non riusciva a togliersi l'odore acre del sangue, delle mosche, delle urla, delle viscere di uomini e animali sparsi sul terreno, quarantamila romani e federati erano morti nel tentativo di ricacciare oltre il Danubio i barbari.
- " Roma sta morendo, là nella piana tracica è iniziato il nuovo corso, gli dei hanno deciso che il tempo delle tuniche rosso porpora è finito, ho perso tutto, amici, ideali, fiducia, la speranza mi è sfuggita dalle mani come sabbia stretta tra le dita, quanta morte, quanti tradimenti, defezioni, incapacità, dove sono i nostri Scipioni? ... in un giorno l'esercito d'Oriente non c'è più, niente può fermare ora quei barbari sanguinari e assetati di vendetta ..." - Galliano si era avvicinato a Vissinius, incredulo e sconvolto dalla verità finalmente svelata, gli aveva stretto le spalle con la forza e il sentimento della solidarietà, cercava le parole per consolare quell'infelice o forse per rassicurare la sua famiglia sui pericoli che erano ancora molto lontani.
- " Amico mio, Vissinius, non tutto è perduto ... qui in Occidente siamo al sicuro, Roma è pur sempre ... caput mundi! " -
- " Oh, nooooo .... allora non hai inteso centurione ... là oltre il fiume Danubio c'è una moltitudine di popoli che vogliono la nostra rovina, il nostro mondo è il passato ... loro sono il futuro ... Unni, Sarmati, Alani, Goti ... la forza " - Il gatto si allontanò indispettito e una brocca di terra cotta cadde a terra e andò in frantumi ... l'acqua si sparse come sangue in una pozza sempre più grande mentre Vissinius fissava inebetito il liquido che si allargava. In quel Ottobre 379 dopo cristo ancora la portata di quella infausta sconfitta, là in Oriente, in Tracia non lontano da Costantinopoli non era di dominio pubblico, voci, leggende che correvano di paese in paese, ma una grande massa di barbari Goti, Unni, Sarmati, erano liberi di distruggere, saccheggiare, incendiare, violentare, ogni angolo dei Balcani senza essere più controllati da eserciti romani, un dilagare che in pochi decenni coinvolgerà tutto l'impero. Servilia si era alzata dalla panca e aveva stretto le braccia intorno al collo di Vissinius, la sua giovane età non gli aveva impedito di capire quali nubi scure si addensavano sull'immediato futuro.
- " I miei soldati cadevano eroicamente, combattendo stretti in una radura secca e afosa e insanguinata, le lance cadevano con frequenza impressionante dall'alto, la nostra cavalleria era scappata e quelle di Fritigerno, il comandante Goto, ci bersagliavano in continuo, abbiamo resistito fino a sera ma ormai l'aria odorava solo di sangue e il pianto dei morenti era una litania macabra e fievole, Dei degli inferi ... venne una staffetta a comunicarci che l'imperatore Valente era stato arso vivo in un capanno, le insegne imperiali erano cadute in mano ai barbari. " -
Galliano soffriva in silenzio, diede una pacca sulla spalla a Vissinius che fece cenno alla moglie di prendere del vino speziato e forte, sentiva la drammaticità di qui momenti e ora finalmente capiva tutte quelle voci sentite negli ultimi mesi, che riferivano di una sconfitta romana epocale.
- " Ma dimmi Caio Flavio da dove vieni, dove stai andando, cosa pensi di fare ? "
- " Io sono nato in una grande città della Venetica, immersa in grandi boschi di olmi, frassini, querce, ricca di risorgive e di fiumi con tanti salici, Aquileia è la mia città natale, tornato dopo essere scampato alla battaglia ho trovato mia moglie morente di febbri malariche e l'ho seppellita. Sono ripartito alla volta di Ravenna con l'incarico di documentare alla corte la situazione in Oriente, di là con una missiva dovevo raggiungere Roma per raccogliere truppe, ma sono stato intercettato da una banda di ribelli Alamani sulla via e sono stato ferito da una freccia, il resto lo conoscete" - Il vento si era alzato e in lontananza oltre le colline picene si vedevano fulmini temporaleschi, era imminente la pioggia. Vecelia con grande sensibilità versò del vino e lo porse con un sorriso complice al romano, gli baciò la fronte e gli sussurrò:
- " Forse il mondo cambierà ma la cultura latina rimarrà, gli uomini passano ma le opere rimangono, bevi comandante e vivi con orgoglio il tuo credo" - Vissinius alzò il calice in alto e bevve con determinazione, Servilia nel frattempo gli stava avvolgendo le spalle con un mantello di panno, Galliano la moglie e la figlia si scostarono un paio di passi all'indietro. aspettando che l'ufficiale si alzasse, finalmente in piedi Vissinius avanzò guardando l'indumento appena indossato, era una mantella rosso porpora quella indossata da 800 anni dai soldati romani.
Guardò quella famiglia di Urbs Salvia sorrise con gli occhi rossi e gonfi di gratitudine, sapeva che non tutto era perduto.

Zanin Roberto

zanin roberto

   
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