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 L'arte nella polvere
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Roberto Mahlab
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"Presa sorridente", Artdust by Roberto Mahlab

Be', non è che si possa sempre buttare via tutto.

Tutto ebbe inizio a causa di una sete estiva. Oltre alle bibite, tenevo nello scomparto all'interno del frigorifero dell'ufficio anche un bicchiere di carta, lo presi, versai una aranciata e lo sollevai verso la bocca. Ma più lo sollevavo, meno riuscivo a fare arrivare sollievo alla gola riarsa dalla calura di quel giorno di estate. Stupito, scrutai il bicchiere, ma era vuoto. Scossi il capo, incredulo e lo riempii nuovamente, tenendolo stretto ai lati. Non una goccia attraversò le mie labbra e, muovendo il bicchiere, mi accorsi che era di nuovo vuoto.

Alzai gli occhi verso la mia segretaria e braccio destro e sinistro e mente pensante, il suo volto pareva in stato di profondo schock, ad un tratto compresi che gli episodi di "Ai confini della realtà", che avevo guardato il pomeriggio prima, appena lei era uscita dandomi istruzioni di concentrarmi sul lavoro, erano sicuramente rappresentativi di vita vissuta. Quanto stava accadendo sarebbe stata una prova che neppure la mia segretaria, scettica quando le raccontavo le mie fantasie di mostri spaziali, avrebbe potuto respingere.

"Forse è un gioco di luci, provo a spostarmi". Strano, la mia segretaria iniziò a tossire, come se le fosse andato di traverso il fiato per l'orrore di essere protagonista dell'evidente esistenza di civilità aliene che avevano invaso il nostro pianeta. Raccolsi la lattina di aranciata e il bicchiere di carta e, mentre versavo la prima nel secondo, mi spostai verso la grande finestra dell'ufficio. Posai la lattina sul tavolino e portai il bicchiere alla bocca. Ancora una volta nulla ne uscì.

"Vedi?, il bicchiere è vuoto, ma anche la lattina è quasi vuota e anche la mia sete è rimasta come era prima che tentassi di bere, come lo spieghi?", domandai, con sincera volontà di mettere in dubbio le mie certezze, alla mia segretaria che mi osservava a bocca aperta e senza riuscire a proferire parola. Le donne fanno sempre fatica ad accettare l'improvvisa comparsa di un mondo diverso da quello a cui erano abituate, un mondo senza più certezze né riferimenti, per questo servono gli uomini.

"Adesso riprovo al rallentatore, così non ci saranno più dubbi", cercai di usare il mio tono più calmo di modo che la mia segretaria potesse ricomporsi e ammettere che avevo sempre avuto ragione io sui misteri dell'universo. Riempii il bicchiere di carta con quanto rimaneva dell'aranciata e spostai casualmente una mano sotto al bicchiere e avvertii che essa si inumidiva. La tolsi e abbassai lo sguardo e notai che l'aranciata stava uscendo da sotto il bicchiere, fu un attimo e compresi con meraviglia :"il bicchiere ha un buco in fondo, chissà quando è successo", conlcusi con perplessità.

"Da quando lo hai tirato fuori dal frigorifero insieme alla bibita", mormorò la mia segretaria serrando gli occhi e i pugni, sembrava si trattenesse con fatica, "osserva le tracce di aranciata sul pavimento che partono dal frigorifero e che ti seguono fino alla finestra", aggiunse. Osservai e, in effetti, non aveva tutti i torti. "Credi che le formiche che abbiamo notato siano collegate alla scia di aranciata sul pavimento?", le chiesi con il mio usuale tono da scienziato la cui mente è all'improvviso illuminata da un'idea che potrebbe cambiare il nostro modo di comprendere il significato della vita sulla Terra. La mia segretaria annuì, devo dire a suo merito che, quando ho ragione, non trova scuse per contraddirmi.

"Per caso hai del nastro adesivo così riparo il bicchiere?", le domandai con tono da pratico uomo d'affari.

"Non... muoverti... dalla.. finestra...", scandì quelle quattro parole con esasperazione e prese dall'armadio una grossa spazzola e uno straccio. In pochi minuti cancellò la scia di aranciata che si estendeva per tutto l'ufficio dal frigorigero alla grande finestra. Ripose gli strumenti di pulizia e poi mi fissò :"senti, perché avevi il bicchiere nel frigrifero, perché non l'avevi buttato e perché non ne hai usato uno nuovo?". Mi sentii sollevato, non erano domande difficili, sapevo rispondere, di solito mi spaventavano altre questioni che mi poneva sul lavoro. "Non immaginavo che i bicchieri di plastica si potessero bucare, non ci sono mai stati precedenti, è sorprendente", risposi sicuro che fosse quanto si aspettasse di sentirsi rispondere.

"Se hanno inventato i bicchieri di plastica, significa che si usano una volta e poi si buttano!", esclamò, "ma secondo te, perché mai nel pacchetto che hai comprato ce ne erano cinquanta?", sembrava molto sicura delle sue argomentazioni.
"Be', per poterne lasciare una buona parte in eredità ai miei pronipoti, immagino, in fondo c'era scritto sulla mensola del supermercato che si trattava di una confezione risparmio", perché le donne desiderino ascoltare conferma di ciò che è ovvio, è un mistero che risale alla Creazione.

"Pensi che possiamo ottenere la sostituzione di quel bicchiere dalla ditta che li fabbrica?", proseguii e lei si mise a ridere.
Era una dibattito che avevamo già avuto, mesi prima eravamo stati costretti a rottamare una fotocopiatrice e io mi ero lamentato che fosse durata solo quindici anni e le chiesi di telefonare alla ditta che ce l'aveva venduta per reclamare la riparazione gratuita. "Non le fanno più da dieci anni fotocopiatrici del genere", anche allora la mia segretaria rispose ridendo alla mia serissima osservazione del tutto commerciale.

"Sei veramente sempre convinta che le cose che si rompono si debbano buttare?", le domandai. "Oh no, non solo le cose che si rompono, ma anche tu, tu sei da buttare!", e lo disse con fermezza e così tacqui, è inutile cercare di far cambiare idea ad una donna convinta dei suoi giudizi, gli uomini devono essere galanti e non insistere, anche se quello che dicono le donne appare sorprendente.

Sospirando, gettai il bicchiere bucato nel cestino e ne estrassi uno nuovo dalla confezione che tenevo nell'armadio, presi un'altra aranciata dal frigorifero e, facendo notare alla mia segretaria ogni gesto, la versai e la bevvi e poi gettai anche il secondo bicchiere nel cestino. "Eppure buttare via un bicchiere che non è rotto, non lo posso capire", borbottai molto piano, di modo che non mi sentisse. La lattina non era vuota e così la riposi nel frigorifero e la mia segretaria non ebbe nulla da ridire.

Fu pura casualità, i miei occhi caddero su un punto dietro l'elettrodomestico e rimasi senza fiato. Il mio dito si avvicinò al muro, descrisse un piccolo segno e poi mi volsi verso la mia segretaria, "e se anziché buttare via le cose, esse si trasformassero in forme d'arte?". E le mostrai il segno del sorriso sul copripresa ricoperto di polvere.

E' l'immagine che avete osservato all'inizio di questo racconto.

Quel giorno nacque la Art Dust, le maggiori società di architettura fecero a gara per disegnare progetti per arredare con la polvere. Il mondo artistico si divise, chi mi definì un precursore che finalmente aveva dimostrato che nulla si butta via e chi mi criticò per "aver gettato l'arte nella polvere".

Be', non è che si possa semrpe buttare via tutto.

Roberto Mahlab

(I racconti dell'ufficio)

   
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