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 LO STIVALE D'AMBROSIA
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zanin roberto
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Inserito - 22/07/2013 :  20:57:54  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a zanin roberto
LO STIVALE D'AMBROSIA

Il primo pomeriggio infuocato dal sole di Puglia si era inchinato al vento di tramontana che dal mare Adriatico soffiava portando refrigerio, l'automobile avanzava veloce insinuandosi tra le colline delle Murge, l'asfalto era molle, gli eucalipti intervallavano olivi, vigne dagli esagerati grappoli non ancora dorati, e fichi d'india verdi e spinosi, i muretti di pietra a secco disegnavano perimetri sempre nuovi e diversi, di tanto in tanto affioravano dei tronchi di trullo, costruzioni rurali al centro dell'appezzamento dove probabilmente si ricoveravano attrezzi agricoli o si preparava un fugace pasto spartano durante il duro lavoro rurale. Ecco comparire all'improvviso il segnale turistico a lungo inseguito e cercato da parecchi chilometri, così citava: - " DOLMEN DI SCUSI ", girai velocemente l'automobile in una stradina stretta e bianca, che ai lati si caratterizzava da filari di ulivi secolari a perdita d'occhio, poche centinaia di metri ed eccomi arrivato. Spengo il motore ma il rumore di fondo rimane assordante, mia moglie scende dall'auto e mi indica con l'indice della mano sinistra di ascoltare, rimango fermo, in silenzio e finalmente capisco cosa vuol dirmi, c'è un intenso frinire di cicale che ci riempie le orecchie, siamo in un bosco di ulivi nodosi e segnati dal tempo. I muretti a secco ci indicano l'area di interesse turistico, un viottolo segnato da massi allineati ci suggerisce l'ingresso del sito archeologico ma siamo prigionieri di un concerto infinito e surreale, l'incanto del posto ci ha sorpreso, nemmeno il nostro arrivo rumoroso ha infiacchito l'esibizione degli insetti, sembra di essere prigionieri di una natura insensibile all'uomo, per niente intimorita o asservita e ce ne stiamo alcuni minuti ad ascoltare rapiti, incapaci di rompere quell'equilibrio, ci pensa il vento incuneandosi tra gli alberi e le foglie a spettinarmi i capelli e a destarci dalla magia della musica, dalla luce che vira verdeggiante, dalla terra rossa vaporosa e chiazzata da colonne di formiche nere e grosse, dagli aromi intensi di flora che ci circonda. A pochi passi ecco ora il cartello della Sovraintendenza Archeologica di Puglia che ci annuncia l'imminente costruzione preistorica, dell'età del bronzo, architettura megalitica ben presente in regione, tracce della genesi dell'umanità, piccoli indizi di quando eravamo ai primordi della civiltà. Ci inoltriamo per una decina di metri lungo il vialetto rimasto a indicare la sepoltura. Sembra che l'orchestra delle cicale abbia attenuato il volume del coro, quasi ad adeguarsi al nostro approssimarci alla mistica del luogo, non c'è anima viva per chilometri, il caldo ora è davvero intenso e avvolgente, superato uno splendido melograno dai rossi fiori a coccarda l'orizzonte si riempie del dolmen, grossi lastroni di due o tre metri di lunghezza adagiati a casetta sfruttando il loro peso per rendere la costruzione stabile. Tre o quattromila anni fa qui si dava sepoltura a un uomo o a una donna cercando di dare solennità al rito, costruendo questi monumenti a ricordo di un essere vivente. Dolmen: Dol= tavola Men=pietra dal Bretone, tavola di pietra che si può trovare in Francia, in Inghilterra, quasi il rito avesse contaminato gran parte dell'Europa. Mi avvicino con grande curiosità, a passi lenti, è il primo che vedo di questo tipo mentre mia moglie si attarda ad ammirare la natura attorno. Mi inchino a toccare la terra, sento il cono d'ombra proiettato dal dolmen rinfrescare l'aria, il profumo dei fichi selvatici si fa intenso, le lucertole giocano tra i ciottoli sparsi, mi immagino le torce accese dagli uomini dell'età del bronzo, il cerimoniale funebre con le sagome vestite di pelli, i fuochi con essenze bruciate e rifletto sulla millenaria domanda irrisolta, del perché viviamo, chi siamo, dove andiamo e l'unica risposta che l'umanità ha tentato: è la fede. Questo monumento è nato per un sentimento, forse ancora non raffinato, certo non elaborato culturalmente ma probabilmente molto più intenso e doloroso, amore, pietà, rispetto, speranza di un ricongiungimento all'affetto perso. I secoli hanno nobilitato la tomba depositando il velo della storia e rimane lì come un faro, scoglio di memoria. Le Murge si stagliano all'orizzonte, chiudendo in un abbraccio protettivo questi luoghi, il sole illumina la valle silenziosa e avvolta nel manto di ulivi e quando risaliamo in automobile mi è doloroso staccarmi dal fascino del sito ma la Puglia ha ancora tanti altri richiami e come Ulisse superata la prova della maga Circe sento già il richiamo delle Sirene.

Arrivando dall'entroterra pugliese, ricco di ulivi, di colline pietrose, di profumi di essenze mediterranee, ti inebria l'azzurro quasi fiabesco del mare che contrasta con il bianco candido dei bastioni del castello d'Otranto. Il richiamo di questa città è un sospiro millenario di un martirio che non è solo la mattanza turca del 1480 ma è l'abbandono ameno a se stessa, di questo porto blù, di questo approdo misticamente proteso alla bellezza. Le genti passano e Otranto continua a irraggiare il magnetismo del suo respiro, fluorescenze solari, vicoli amicanti patinati di calce, cittadini avvezzi all'ospitalità, folate di maestrale appena pennellate dal salso che spazzolano la cattedrale dai superbi mosaici, le onde frangono orgogliose portando la musica del mare, lo stesso di Ulisse, lo stesso dei pirati Barbareschi, lo stesso delle navi Bizantine dalle vele dorate. Dall'alto la porta Alfonsina che giganteggia le piazze mai opprimente, invita l'ospite alla visita, lo introduce alla corte degli Aragonesi, lo avvolge di ricamato barocco, lo ingolosisce con le sue golose cibarie, tutto appare speciale, me ne resto incantato a scrutare lontano l'orizzonte, tra le vele sempre più piccole, là verso la madre Grecia, verso la dorata Costantinopoli e non so spiegarmi questo incanto che mi riempie gli occhi, mi sazia l'animo d'ambrosia.

di Zanin Roberto

zanin roberto

   
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