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 Appuntamento a Central Park
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luisa camponesco
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Inserito - 01/02/2012 :  10:10:01  Mostra Profilo  Visita la Homepage di luisa camponesco Invia un Messaggio Privato a luisa camponesco


Appuntamento a Central Park

La Grand Central Station accolse Penny Lewis con la sua folla e il suo rumore, la ragazza si sentì confusa, lei, venuta da una piccola cittadina dello Jowa e proiettata in un mondo sconosciuto provò un senso di vertigine che la fece barcollare.
Una valigia poche cose e in tasca il biglietto con un indirizzo, 242 West End Av.
La giornata si preannunciava grigia, preludio dell’autunno, la ragazza s’incamminò incerta sulla direzione da prendere finché decise di chiedere informazioni ad una passante.
- Scusi potrebbe dirmi che via è questa?
- Non ce li hai gli occhi? – la donna indicò un cartello stradale sul quale era scritto Park Avenue, poi tirò dritta per la sua strada senza attendere altre domande.
Penny di domande ne aveva ancora molte da fare, sconfortata sedette su di una panchina stropicciando con le dita il pezzo di carta sul quale era scritto l’indirizzo.
- Ti sei persa?
Il giovane la osservava con gli occhi socchiusi, istintivamente Penny strinse la borsetta al petto.
- Tranquilla non intendo derubarti voglio solo sapere se ti serve aiuto. Ciao mi chiamo Hart
Penny non era ancora convinta, sua madre l’aveva messa in guardia sui pericoli della grande città, ma qualcosa nello sguardo del ragazzo le fece capire che era sincero, poi in fondo cosa poteva capitarle seduta su di una panchina in un luogo pubblico.
- Io sono Penny – ma non gli diede la mano.
- Immagino dalla valigia che tu sia appena arrivata. Aspetti qualcuno?
- No, dovrei recarmi a questo indirizzo - mostrò il biglietto.
- Mmmm è piuttosto lontano, potresti prendere la metropolitana oppure l’autobus M32, in entrambi i casi dovresti fare un bel pezzo a piedi, la soluzione più semplice e sicura è prendere un taxi.
Un taxi, ma quanto le sarebbe costato? Nel portafoglio aveva 94 dollari e 25 cents, tutta la sua ricchezza, i risparmi racimolati con fatica negli ultimi mesi.
Hart intuì la sua preoccupazione.
- Forza vieni con me! Non puoi rimanere qui tutto il giorno.
Penny esitava.
- Voglio solo darti una mano e nient’altro.
Su di una cosa Hart aveva ragione non poteva rimanere seduta su quella panchina per l’intera giornata in attesa di chissà cosa.
Si incamminarono sino a giungere al 301 di Park Avenue, Penny rimase a bocca aperta davanti all’imponenza del Waldorf Astoria.
- Io non posso….
- No, non devi prendere una camera qui, il motivo è quello lì – indicò un taxi parcheggiato davanti all’ingresso dell’hotel. – Vieni ti presento il marito di mia cugina.
Il taxista leggeva il giornale ma quando vide Hart si mostrò piacevolmente sorpreso.
- Ciao Paolo, come ti va?
- Va alla grande, tu piuttosto che ci fai da queste parti?
- Sono stato alla Stazione Centrale avevo bisogno di alcune informazioni, ma senti ho un favore da chiederti, lei è Penny, non conosce New York potrebbe perdersi, ha un indirizzo nella up town, la porteresti?
- Consideralo fatto, accomodatevi signurì
- Ah ! non ti ho detto Penny che lui è italiano, quindi stai attenta.
Paolo lanciò il giornale attraverso il finestrino centrando in pieno il viso di Hart mentre metteva in moto.
Seduta sul sedile posteriore, con gli occhi sgranati, la ragazza osservava il traffico intenso della metropoli, Paolo percepì il suo disagio e allora si mise a cantare.

Munasterio e Santa Chiara tengo o core scuro scuro…Ma pecchè, pecchè ogni sera penzo a Napule comm’era, penzo a Napule commèèè …….

Una bella voce armoniosa che contribuì ad allentare la tensione.
- Lo sa! La prima volta che venni a New York ero proprio come lei, spaventato. Questa città la si ama o la si odia, ma non lascia indifferenti.
- È da molto che vive qui?
- Saranno dieci anni il mese prossimo e pensare che non conoscevo una parola di inglese, almeno lei non ha questo problema. Poi ho conosciuto la mia Grace la cugina di Hart. Bravo ragazzo Hart, come ce ne sono pochi.
Così chiacchierando del più e del meno giunsero a destinazione, tolta la valigia dal bagagliaio, Penny estrasse il portafoglio augurandosi di avere abbastanza denaro per pagare la corsa.
- Lasci stare, metto in conto per la prossima volta. - Risalì sul taxi lasciando la ragazza ancora sbigottita sul marciapiede.
Adesso cominciava la parte difficile, presentarsi ai datori di lavoro. Al citofono rispose una voce femminile.
- Siiii!!
- Buon giorno sono Penny… sono Penelope Lewis.
Clic e la porta si aprì. L’atrio era poco illuminato, l’ascensore si mosse in quell’istante e Penny rimase in attesa.
Pochi minuti ma sembravano molti di più, è sempre così quando si aspetta qualcosa. La porta scorrevole dell’ascensore si aprì proiettando una lama di luce sul pavimento.
- Penelope?
- Sono io!
La donna le fece cenno di entrare nell’ascensore, Penny raccolse la valigia e la seguì. L’ufficio al 15esimo piano era modestamente arredato, una scrivania, un mobile schedario, un divano due poltrone e un pc che aveva visto tempi migliori.
- Come ben sai la nostra agenzia di collocamento è rinomata, il nostro motto “la persona giusta al posto giusto” la descrive benissimo, accomodati. –
Penny sedette con l’ansia di una scolaretta alla prima interrogazione.
- Il lavoro comporta impegno e attitudine a trattare con le persone, ogni comportamento ritenuto sconveniente avrà come conseguenza il licenziamento immediato. Il posto di lavoro si trova fra la 104esima e Amsterdam Ave. Il locale è frequentato per la maggior parte dagli studenti della Columbia University ed è diviso fra caffetteria e self service. Dovrai recarti sul posto alle sei del mattino e il tuo turno finirà alle 5pm, giorno libero la domenica. Comincerai da domani. A proposito sai già dove alloggiare?
- No, non conosco la città.
- Se ti va qui abbiamo una stanza libera all’ultimo piano ti costerà 165$ al mese almeno per i primi tempi poi si vedrà.
Penny fece mentalmente alcuni calcoli, certo sperava spendere di meno ma in quel momento non aveva scelta per cui decise di accettare.
L’ascensore si fermò al 52esimo.
- Le ultime due scale le facciamo a piedi.
Stanzette ricavate dal sottotetto, un corridoio illuminato da un lucernario mostrava una fila di porte da ambo i lati. La donna si fermò davanti a quella contrassegnata col numero 12C, prese le chiavi da un mazzo ed aprì. La camera odorava di chiuso e di polvere, Penny si mise a tossire, la donna spalancò la finestra e l’ambiente si rinfrescò.
- Bene, eccoti le chiavi, nel caso ci fossero problemi chiamami, io sono Rose. Un ultima cosa, niente ragazzi in camera.
Finalmente sola la ragazza esplorò la camera e fece il punto della situazione poi si lasciò cadere sul letto sollevando un nugolo di polvere.
Trascorse il resto del pomeriggio a pulire e spolverare fino a rendere l’ambiente accettabile.
Era quasi l’ora di cena, Penny pensò bene di uscire ed orientarsi, prendere dimestichezza con le strade così il giorno seguente avrebbe trovato più facilmente il posto di lavoro.
Camminò per un po’ annotando mentalmente il nome delle strade finché si trovò sulla Central Park West. Costeggiò per un po’ il parco indecisa sul da farsi.
- Non è il caso di passeggiare da sola a quest’ora in questa zona.
Penny si girò si scatto e con sua sorpresa si trovò davanti il viso sorridente di Hart. Davvero un caso singolare rivedere Hart a Manhattan fra tanti milioni di persone.
- Non ti stavo seguendo, mi trovavo da queste parti, anzi quando ti ho visto non credevo fossi tu. Se non sono indiscreto posso sapere cosa fai qui?
- Cercavo di orientarmi – rispose Penny rassicurata – Domani inizierò il nuovo lavoro a questo indirizzo. - Mostrò il biglietto.
- È qui vicino, andiamo!
I lampioni accesi creavano una atmosfera irreale accentuata dal rumore degli zoccoli di un cavallo che trainava una carrozza scoperta, sulla quale una coppia di turisti si teneva per mano.
- Tu abiti qui vicino?
- Non proprio, abito nel Qeens, non potrei permettermi di vivere a Manhattan, ma frequento la Columbia e stasera avevo una lezione. Guarda siamo arrivati!
Dal locale, una via di mezzo fra un pub e un ristorante, usciva un festoso chiacchierio, ragazzi e ragazze si affollavano attorno ai tavolini, brindavano, discutevano, ridevano. Una ragazza vide Hart e gli fece cenno di entrare.
- Coraggio – disse Hart spingendo Penny davanti a sé e furono subito attorniati da giovani che offrivano loro tartine e Coca Cola, Penny non avendo ancora cenato mangiò con appetito.
- Ragazzi mi spiace ma adesso devo proprio andare.
- D’accordo Hart ma prima presentaci la tua amica.
- Lei si chiama Penny e da domani la vedrete tutti i giorni. – poi si rivolse alla ragazza – Sapresti tornare a casa da sola?
- Credo di si, ma è tardi anche per me.
Uscirono insieme
- Vai sempre dritta, non puoi perderti, a Manhattan le strade sono tutte perpendicolari e parallele io prenderò la metropolitana proprio là.
Dall’altro lato della strada un cartello con la scritta “Subway” indicava l’accesso alla stazione.
- Ciao Penny a presto.
Lo guardò allontanarsi e per un attimo si sentì smarrita ma non poteva compiangersi e allora con passo lesto di avviò verso quella che, per il momento, era la sua nuova casa.
Il mattino arrivò troppo presto per la ragazza che non aveva chiuso occhio, l’acqua fredda le schiarì le idee e poi via di corsa al lavoro.
Il locale era ancora chiuso per cui bussò ai vetri. Un uomo venne ad aprire.
- Ma sei cieca? Non vedi che siamo chiusi!
- Sono Penelope la nuova cameriera.
- Sei in ritardo di mezz’ora - ripose facendola entrare. - Martinnnn – si mise ad urlare e da una porta laterale uscì di corsa un ragazzotto. – Questa è la nuova cameriera dille quello che deve fare. – detto questo tornò dietro il banco del bar ad asciugare bicchieri.
Martin guardò con sospetto la nuova arrivata poi sospirando le fece cenno di seguirla in cucina.
- Mettiamo subito le cose in chiaro, io sono qui da parecchio tempo perciò ho la precedenza su tutto e tu farai quello che ti dico. Lava questi piatti, asciugali bene e riponili in quello scaffale. – Le gettò un grembiule – questo dovrai pagarmelo.
Penny si fece forza e ricacciò il nodo alla gola, aveva bisogno di quel lavoro, a casa i soldi non bastavano mai. Casa che nostalgia, una lacrima rigò la guancia subito asciugata col dorso della mano. Quand’ebbe finito Martin le fece apparecchiare i tavoli per la prima colazione.
- Adesso delimitiamo le zone di competenza. I tavoli vicini alla porta di ingresso li curo io, tu hai tutti quelli interni, ognuno si tiene le proprie mance e ringraziami potrei pretendere una percentuale sulle tue.
Avrebbe dovuto abituarsi ai modi arroganti di Martin forse qualcuno aveva fatto la medesima cosa nei suoi confronti e adesso toccava a lui rifarsi su qualcun altro, solo che questo qualcun’ altro era lei.
I primi avventori iniziarono ad affollare il bar, caffè, brioche e panini, per lo più erano impiegati che guardavano l’orologio in continuazione, gli studenti arrivarono più tardi esuberanti e chiassosi. Penny sperò di vedere Hart. Quella mattina la ragazza prese la sua prima mancia, un dollaro e cinquanta centesimi, le parve di toccare il cielo con un dito.
- Se vuoi prendere più mance cura di meno gli studenti quelli consumano poco, il consiglio è gratis.
Il proprietario la stava osservando con un cipiglio meno burbero, anzi era quasi sorridente. – I tavoli vanno puliti ogni volta, ecco gli strofinacci.
La pausa pranzo arrivò come una liberazione, cercò una panchina, la gente le passava accanto indifferente, non succedeva nella sua città natale, Boone, Penny non si era mai sentita così sola.
- Ciao, guarda chi si vede!
Hart sedette accanto a lei.
- Sono in pausa pranzo
- Mmmmm cosa c’è di buono in quel sacchetto?
- Tramezzini pollo e insalata, ne vuoi uno?
- Grazie ma sto aspettando un’amica, oh eccola. Betty, Bettyyy.
La ragazza attraversò la strada correndo.
- Betty questa è Penny, lavora al Peter’s Coffea
- Molto lieta. Hart dobbiamo andare, la lezione inizia fra meno di mezz’ora.
Penny li guardò mentre si allontanavano con una punta di invidia e un po’ di delusione, ma doveva immaginare che un ragazzo come Hart avesse una compagna. La pausa era gli sgoccioli e doveva riprendere il lavoro.
Il primo giorno di lavoro fu piuttosto faticoso, anche perché doveva orientarsi nel nuovo ambiente, bar, cucina, self service, il tutto sotto lo sguardo vigile del proprietario che stava alla cassa e a quello meno benevolo di Martin.
Quella sera, seduta sul letto, contò le mance, nove dollari e venti centesimi per una giornata di 12 ore, doveva far meglio, altrimenti non avrebbe coperto le spese e tanto meno mandato qualcosa a casa.
Imparare in fretta, una necessità se si vuol vivere in una città come New York, col tempo avrebbe trovato una sistemazione più economica e magari più dignitosa.
I giorni passarono e Penny diventava sempre più disinvolta, si muoveva agilmente fra i tavoli aveva conquistato le simpatie di tutti diventando popolare e nel frattempo le mance aumentavano.
Penny aveva preso l’abitudine di passeggiare in Central Park durante l’ora di pausa e il proprietario chiudeva un occhio quando tornava al lavoro in ritardo, l’autunno con i suoi colori caldi dava un tono del tutto nuovo ai viali alberati e fu proprio in uno di quei pomeriggi che rivide Hart.
Era seduta sulla solita panchina ed osservava i bambini giocare e i ragazzi sui pattini a rotelle sfrecciarle accanto.
- Penny che sorpresa!
La ragazza si alzò di scatto con le gote arrossata, inciampò e grazie all’intervento di Hart non finì per terra.
- Non mi aspettavo tanto entusiasmo.
- Ed io non mi aspettavo di vederti all’improvviso.
Passato il momento di imbarazzo si misero a ridere e poi iniziarono a raccontarsi gli ultimi avvenimenti.
Da quel giorno i loro incontri divennero sempre più frequenti e loro passeggiate sempre più lunghe, la vita di Penny era davvero cambiata, ogni giorno una continua scoperta.
- Ehi Penny, di là c’è una signorina che ti sta cercando. - Negli ultimi mesi Martin era diventato più gentile non erano proprio amici ma almeno si rispettavano.
La ragazza si asciugò le mani in uno strofinaccio e uscì dalla cucina. Non la riconobbe subito ma ebbe una brutta sensazione.
- Ciao Penny ti ricordi di me? Sono Betty.
- Betty certo, è passato molto tempo ma cosa posso fare per te? -La invitò a sedersi
- Vedo che ti sei ambientata bene e non solo.
Quella frase in sospeso mise Penny a disagio
- Me la sto cavando, all’inizio non è stato facile.
- Non c’è nulla di facile, ma a proposito dimenticavo il motivo per cui sono venuta qui. Volevo darti questo. – estrasse dalla borsa una busta e gliela porse – Spero tu possa venire, in fondo gli amici di Hart sono anche amici miei. – il tono di voce però era ironico e per nulla amichevole. – Leggi pure con calma, io devo andare non hai idea di quante faccende mi devo occupare.
Penny rimase ad osservare la busta bianca indecisa se aprirla o meno, poi si fece coraggio l’aprì e rimase impietrita.

Hart e Betty
Annunciano il loro matrimonio
La cerimonia si terrà
Nella chiesa di San Nicolas
281Winchester Dr
Freehold (New Jersey)
Lunedì 14 gennaio 2006 alle ore 5pm

Martin le passò vicino urtandola.
- Brutte notizie?
- Un amico che si sposa, niente di importante.
Corse nel bagno per mascherare gli occhi rossi. Com’era possibile che Hart non le avesse detto nulla, una notizia come questa non si poteva tenere nascosta, quando avrebbe pensato di dirglielo?
Decise di incontrarlo al solito orario e alla solita panchina, un incontro chiarificatore e risolutivo.
Hart arrivò puntuale come sempre e Penny sperò di non palesare il proprio disappunto.
- Ciao Penny, ti andrebbe una visita al Gugghenheim?
Penny non rispose e il ragazzo si accorse che qualcosa non andava.
- Cosa c’è Penny? Non ti senti bene? Possiamo rimandare.
Si accorse di non potercela fare allora estrasse il biglietto dalla borsa.
- Ecco casa c’è! Quando pensavi di dirmelo?
Hart rimase senza parole, si lasciò cadere pesantemente sulla panchina, prese la tesa fra le mani e si mise a piangere silenziosamente. Penny, dal canto suo, si allontanò con passo deciso.

°°°

New York è una città che si trasforma anno dopo anno, nuovi negozi, nuovi palazzi, nuove prospettive, nuova gente.
Anche il Peter’s Coffea era cambiato.
- Signora Lewis è arrivato il camion dei rifornimenti.
- Bene falli scaricare sul retro.
Penelope Lewis era la nuova proprietaria, aveva portato dei miglioramenti rispetto alla precedente gestione con un notevole incremento degli utili, tanto da permetterle di abitare in una villetta a Long Island. Di strada ne aveva fatto davvero parecchia
Un bimbo di tre anni le tirò il grembiule.
- Gia Pepe, io fame.
- Martin junior lascia stare la zia Penny.
- Non importa Martin è così bello vederlo qui dovresti portarlo più spesso.
La moglie di Martin era stata chiamata a far parte della giuria in un processo e non poteva occuparsi del figlio quindi Martin se lo portava tutti i giorni al pub con gioia di Penny.
Nell’ora di punta gli studenti affollarono il bar animandolo con le loro risa e loro voglia di vivere. Ecco una cosa che non era cambiata, Penny li guardava con simpatia quando all’improvviso emerse un’ombra dal passato.
-Ciao Penny come stai?
Qualcuno che assomigliava ad Hart si era appena seduto davanti al bar. Smagrito, con qualche ruga sulla fronte ma gli occhi con lo stesso intenso color azzurro.
Penny stentò a riprendere fiato.
- Hart che sorpresa, non pensavo di rincontrarti. Grazie sto bene.
Hart si guardò attorno.
- Quanti cambiamenti in questo posto.
- Ho cercato di fare del mio meglio.
- Ti trovo bene Penny. Complimenti. Adesso devo proprio andare.
Si stava recando alla cassa per pagare il caffè quando…..
- Come sta tua moglie?
Hart esitò
- Non mi sono sposato.
La frase rimase a mezz’aria prima di essere recepita.
- Come hai detto? Non ti sei sposato?
- No, non avrei potuto, ma tu non mi hai lasciato il tempo di spiegarmi quel giorno, te ne sei semplicemente andata. Ti faccio tanti auguri, avrai successo. – rispose facendo cenno al locale.
Sembrava più vecchio quando se ne andò. Martin si avvicinò a Penny
- Se lo lasci andare non te lo perdono. Vai rincorrilo.
Penny esitò poi si tolse il grembiule ed corse fuori.
- HART, Hart – chiamò a gran voce, lui si girò sorpreso. – Stesso posto stessa ora?
- Ci sarò Penny, ci sarò.
Un aquilone sfuggito dalle mani di un bambino volava alto, chissà dove il vento lo avrebbe portato, chissà dove il vento avrebbe portato lei. Non era più andata al parco da quel fatidico giorno ed erano trascorsi quasi sei anni, adesso non poteva più aspettare, adesso era il momento di dare una svolta alla sua vita. Adesso doveva guardare avanti.






Luisa Camponesco

   
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