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 La donna, chiave dell'integrazione
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Roberto Mahlab
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Inserito - 04/12/2011 :  18:09:00  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Roberto Mahlab Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
Il progetto di Concerto di Sogni sul primario contributo sociale ed economico delle donne allo sviluppo del mondo ha avuto eco su diversi media e organizzazioni all'estero. Pochi mesi fa anche un importante quotidiano italiano ci ha proposto una intervista che non è stata pubblicata perché considerata di troppo spessore rispetto all'informazione che i nostri media desiderano veicolare ai propri lettori. E così la pubblichiamo noi su Concerto di Sogni, con le domande dei giornalisti e le mie risposte.

1) Come nasce il progetto di aiuto alle donne islamiche?

Nasce da una domanda che mi è stata posta da una donna musulmana, quale fosse il segreto delle donne ebree di integrarsi nelle società di immigrazione senza perdere sia le tradizioni di origine, sia la tutela legale di tutti i loro diritti nelle società di accoglimento. Ho riconosciuto che si trattava di comprendere la chiave per il successo dell'integrazione. Dopo una lunga e sofferta immersione nelle diverse realtà delle donne immigrate, sono giunto alla conclusione che il segreto dell'integrazione risiedeva nella persona stessa che mi aveva posto la domanda, proprio in quanto donna, se le donne hanno gli stessi diritti degli uomini, l'integrazione di una immigrazione ne è una conseguenza immediata, altrimenti l'integrazione è impossibile. Di conseguenza la chiave risiede anche nell’intelligenza, o meno, degli uomini.

Il progetto è dedicato ad approfondire quali siano le vie per affiancare la nostra società alle donne oppresse, perché ho riconosciuto che i valori di cui sono portatrici sono i medesimi di chi desidera costruire una società di aspirazioni condivise, la mia proposta si discosta dal semplice aiuto, ma si trasforma in una alleanza e in una condivisione.

La realtà che ho osservato è variegata, quello che conta è il numero rilevante di donne a cui vengono negati dai famigliari i diritti che noi riconosciamo ovvi, allo studio, al lavoro, alla semplice libertà di vestirsi e di dialogare al di fuori di tradizioni forzate.
All’inizio mi rivolgevo alle donne musulmane per ascoltarle, ora mi rivolgo a tutti gli altri per raccontarlo e testimoniarlo.


2) Che realtà esiste a Milano e, più in generale, in Lombardia?

Lo scorso ottobre è comparsa su uno dei più autorevoli giornali marocchini una inchiesta sulle 150.000 donne di origine marocchina in Italia e riportava che nella sola città di Milano, tra il giugno del 2009 e il giugno del 2010, 624 hanno subito violenze domestiche e 54 violenze sessuali, altre statistiche che riguardano tutta Italia indicano migliaia di donne provenienti da tante immigrazioni da paesi musulmani recluse in casa senza possibilità di educazione scolastica, costrette ad accettare la poligamia e addirittura migliaia costrette a subire l’infibulazione. Credo che sia importante che si parli sempre di numeri e non solo di percentuali che potrebbero essere accolte da chi ascolta come un problema di ordine pubblico limitato e non, come è, un problema di ordine sociale dalle conseguenze distruttive.

3) Che riscontro ha un uomo ebreo che si rivolge soprattutto a una platea di donne musulmane?

Ho ascoltato come le donne musulmane oppresse abbiano una visione spirituale della tradizione e delle scritture e un approccio universalistico che si avvicina alla mistica ebraica, una visione del mondo distinta da quella chiusa dell’integralismo. Proprio in quanto donne e portatrici di vita e consce dell’ingiustizia che devono patire, molte non accettano la visione maschilista camuffata da precetto religioso e si staccano dalle famiglie, altre corrono rischi nel farlo, altre soffrono, altre si adeguano per non avere problemi.

4) Le reazioni delle istituzioni locali?

Sono una persona comune e i miei referenti non sono le istituzioni, ma le altre persone comuni, cioè la maggioranza di chi agisce perché è etico farlo. Il progetto è stato ascoltato principalmente da titolari di azienda che ne hanno condiviso gli obiettivi, non è un caso, perché le aziende sono le naturali interlocutrici interessate a comunicare e risolvere i problemi sociali, dato che evidentemente tali problemi hanno un impatto negativo sulla libertà dei mercati e dei consumi. A mio avviso le istituzioni, informate di quanto accade e desiderose di ottenere la collaborazione dell’opinione pubblica, dovrebbero rivolgersi anch’esse alle aziende, che a loro volta sarebbero artefici della diffusione di idee che condividono completamente.
A riprova vorrei sottolineare la presentazione, insieme al coautore Beppe Andrianò, della parte economica del nostro progetto, intitolata “il volto nascosto della luna” (www.othermoonside.it), ad una importante associazione di industriali in Piemonte. Siamo partiti dalla considerazione che sui media americani la proposta che la soluzione alle sfide dei nostri tempi sia la donna, è discussione quotidiana e sempre in prima pagina. Gli studi che mostrano come le società più bisognose sono quasi esclusivamente sostenute dal lavoro delle donne sono illustrati da tabelle e grafici, la ragione dell’arretratezza delle società e dei paesi in cui le donne non hanno garantiti i diritti umani viene presentata con argomentazioni evidenti, la capacità delle donne di gestione del denaro rispetto all’uomo è sostanziata da numeri e percentuali, l’evidenza che il novanta percento del microcredito viene utilizzato dalle donne è ormai un dato di fatto storico, la proposta che costruire scuole per le ragazze sia la vera arma letale contro l’integralismo è una consapevolezza comune in tutti i settori amministrativi americani, la relazione diretta tra incremento del prodotto interno lordo e partecipazione delle donne al lavoro è base ovvia di qualsiasi analisi economica e finanziaria. Noi abbiamo illustrato queste realtà alle aziende e la loro risposta è stata attentissima, tante si sono proposte di collaborare ed alcune si sono impegnate, di loro iniziativa, senza alcun sollecito, a segnalare alle associazioni che si occupano della salvaguardia delle donne immigrate, casi di violenza di cui erano venute a conoscenza. Questo è il punto fondamentale a mio avviso, la convinzione che chi colpisce una donna, colpisce ciascuno di noi, non dobbiamo semplicemente narrare alle donne i loro diritti, dobbiamo pretendere che chi colpisce questi loro diritti è esattamente come se colpisse i nostri.

5) Da dove nasce l'idea che dalle donne può arrivare il vero cambiamento nei rapporti con il mondo islamico?

Ho ascoltato donne arabe e africane, le donne del Marocco, della Somalia, della Guinea e del Senegal e il messaggio è stato sempre lo stesso : le donne immigrate rafforzano i valori della società di accoglimento, sono la chiave dell’integrazione e trasmettono la raggiunta uguaglianza dei diritti alle donne che ancora vivono nei paesi di origine, diventando così veicolo di informazioni e di idee che svilupperanno le società di origine. Se nel mondo islamico l’integralismo degli uomini viene sostituito dalla spiritualità delle donne, il risultato sarà l’isolamento delle dottrine che calpestano la donna proprio in quanto portatrice di autoanalisi psicologica e quindi di democrazia. I diritti della donna e la democrazia sono due facce della stessa medaglia, ecco perché hanno i medesimi avversari.
Una società che accoglie le donne immigrate, non deve essere semplicemente tollerante, non deve solo spiegare alle donne i loro diritti, non tutte hanno la possibilità di farli rispettare, non serve confortarle nelle loro aspettative, troppe volte le loro aspettative saranno di convinzione che il presente non sarà diverso dal passato, quello che è utile invece è mostrare come una società libera ha a cuore le aspirazioni delle sue componenti. Nel progetto ci sono una serie di considerazioni su come sia possibile affiancarci alle donne colpite non considerandole “malate”, i malati da curare sono semmai quelli che le hanno colpite, ma considerandole risorse da riaccendere per il bene loro e della società in cui dobbiamo reinserirle.


6) Raccontami qualche aneddoto.

Uno su tutti, la donna ebrea osservante a cui ho raccontato le testimonianze che avevo raccolto sulle sofferenze e sul coraggio delle donne musulmane e la sua risposta :”come donna mi sento solidale con le donne musulmane”.
Mi è venuto in mente in quel momento che anche io, ebreo italiano, mi sento solidale con un ebreo colpito in qualsiasi parte del mondo e ho avvertito una similitudine, come se anche nelle donne, in tutte le donne, esistesse una memoria collettiva, un sentimento di condivisione e di solidarietà che supera qualsiasi confine geografico, identitario, di origine, di tradizione e di fede religiosa.

Una signora italiana, cattolica, del profondo nord del nostro paese,a cui raccontavo pure le mie testimonianze, all’improvviso mi pone una questione, :”vedevo spesso una ragazzina musulmana vestita di abiti allegri correre e ridere e cantare insieme alle altre ragazze durante e dopo le ore della scuola, poi non l’ho vista più in giro per un po’ e un giorno l’ho scorta da lontano vestita di scuro e con un velo attorno al capo, era triste, mogia, la gioia di vivere spenta sul suo viso, credi che la ragazza che conoscevo prima sia cambiata, abbia deciso di trasformarsi, di cancellare tutta la sua esuberanza e voglia di partecipare e di imparare, oppure che sia stata obbligata ad allontanarsi e dentro di sé sia sempre la ragazza che avevamo conosciuto?”. La risposta evidentemente è che la ragazza sa bene di essere obbligata a non essere più quella che era, sa bene che si tratta di una gabbia in cui è rinchiusa, sa bene che fuori da essa c’è il mondo di cui ha sempre voluto e saputo essere parte. La prigionia non cancella nell’animo del prigioniero la consapevolezza dell’ingiustizia che subisce, ogni donna sa di avere il diritto di essere parte della società.

Ho ascoltato una donna che si confidava con me, :”perché sei orientale, con te posso parlare perché mi comprendi”, mi diceva. Mi raccontava di come fosse arrivata in Italia da oltre mare insieme al marito e questi avesse cominciato a maltrattarla, poi scoprì che aveva un’altra moglie al paese di origine, gli sfuggì, lui la inseguì per prendersi i figli, lei si rivolse ad un tribunale e un giudice italiano le rispose :”questi sono i vostri usi e costumi”, mi disse che ad ascoltare le parole del giudice, le era parso di ascoltare le parole di scherno di suo marito.

Ho ascoltato donne dirmi che quando si recavano in ospedale a farsi curare dai medici per le percosse ricevute dai famigliari, dopo essere state curate, veniva raccomandato loro di non dire nulla in casa, altrimenti sarebbero state colpite ancora.

Ho ascoltato il racconto di miei amici che si sono visti cadere contro la vetrina del loro negozio una ragazza coperta dal velo e dal suo sangue, l’uomo che l’aveva colpita si era nascosto in un locale vicino, all’arrivo delle forze dell’ordine era uscito e aveva sibilato alla donna, in arabo, di non dire chi fosse stato a colpirla.

Ho ascoltato la storia della figlia di un uomo islamico molto osservante che ha dovuto abbandonare gli adorati studi appena diventata adulta, ho ascoltato una ragazza che andava a scuola con il viso tumefatto per le percosse ricevute a casa e i responsabili della scuola non sapevano far nulla se non dirle che non sapevano che fare per aiutarla.

E mi domando se non sia urgente proporre di sottoporre le entità a diretto contatto con le donne immigrate, giudici, medici, insegnanti, a corsi di formazione per una cultura scevra da pregiudizi e sui metodi di comportamento per la salvaguardia delle donne e delle ragazze vittime non di “usi e costumi”, ma vittime prima di chi le tormenta e poi di chi le ignora con argomenti incivili.

Ma ho sentito anche l’abbraccio forte di un imam africano, vestito con abiti colorati, in un evento insieme a donne africane musulmane pure vestite in abiti sgargianti, ho ascoltato gli uomini di quell’evento insistere che uomo e donna devono essere complementari, ho ascoltato alcuni di loro affermare che gli uomini hanno fallito e che alle donne deve essere affidato non solo la guida della famiglia, ma anche il potere politico.

Ho compreso che l’uomo che vela la donna in realtà vuole velare il suo proprio animo, per non essere obbligato a confrontarsi con la sua stessa psiche, è la donna la chiave per svilupparla, l’uomo che guarda una donna velata, guarda sé stesso in uno specchio, vuole guardare la donna come vuole guardare il suo stesso animo, per non consentire che si metta in discussione un potere. Forse sarebbe utile sostituire l’idea che la sottomissione della donna sia una prassi ricavata dalle letture sacre : nei testi sacri, se li leggiamo con pregiudizio, ognuno è in grado di trovare quello che desidera trovare, dovremmo comprendere che la pretesa della sottomissione della donna è un problema psicoanalitico che viene contrabbandato per una lettura precisa dei testi. Anziché accettare che si tratti di un tema politico, dovremmo insistere che si tratta di un problema che richiede un intervento psicologico : forse, più dei marines, dovremmo mandare Freud ad “esportare la democrazia”.

Ho ascoltato come le stesse donne musulmane affermino che le teorie maschili sull’ordine religioso del velo siano false, le ho ascoltate dimostrarlo, leggerlo, spiegarlo, mentre uomini integralisti gridavano parole folli di fronte ad esse, le ho ascoltate raccontarmi il loro sgomento perché noi non capivamo, perché la nostra società non capisce, non sta a sentire e anzi è indifferente su quanto le medesime donne hanno dovuto subire similmente da uomini italiani qui da noi, con lo stesso disprezzo per le donne che hanno gli integralisti. Ecco dimostrato che l’educazione psicoanalitica dell’uomo è indipendente dall’origine e dalla religione, così come abbiamo visto essere indipendente dall’origine e dalla religione il senso di spiritualità condivisa delle donne.

Ho ascoltato anche donne orgogliose di indossare il velo, mi turbava che riferissero di questo loro libero desiderio di fronte a uomini che ribadivano che fosse invece un precetto, ho pensato che quelle donne potrebbero semplicemente affermare che anche le donne che non portano il velo hanno il diritto di non portarlo. Si affrancherebbero, pur mantenendo la loro libertà di scelta, da una pretesa lettura maschilista dei testi sacri.


Fukuyama, dopo la caduta del comunismo, postulò "La fine della Storia", Huntigton, ancor prima dell'attacco a New York ad opera degli integralisti islamici di Bin Laden, descrisse "Lo scontro di civiltà" tra l'occidente democratico e l'islam fondamentalista, la scorsa settimana David Brooks, sul New York Times, dopo le rivolte nel mondo arabo, propone invece il riconoscimento che in tutte le civiltà esistano parti della società che trasversalmente si riconoscono in valori universali.
L'occidente si lacera nella paura che i paesi musulmani, liberatisi delle tirannie dinastiche, cadano nelle mani delle tirannie integraliste, ma anziché lacerarsi, per quale motivo piuttosto l'occidente non riconosce che nei paesi musulmani esistono parti della società che aspirano agli stessi ideali di parti della società occidentale, come per esempio le donne oppresse o ridotte al silenzio? Dunque la soluzione è liberare la loro voce perché esse impediranno qualsiasi deriva totalitaria e la loro voce si libera affiancandoci prima di tutto alle donne musulmane oppresse in occidente, in Europa, saranno le nostre e loro voci, unite, ad incoraggiare quelle delle donne e dei democratici del mondo musulmano, l'alternativa possibile.
"La fine della Storia" e "Lo scontro di civiltà" possono essere sostituite da una proposta rivoluzionaria, mentre le due leve storiche sono in crisi, lo sviluppo economico arranca e la democrazia indietreggia, che sia "la terza leva", quella delle donne, a far ripartire la ruota costruttiva della Storia?

Roberto Mahlab


   
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