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 Vayechì
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Roberto Mahlab
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Inserito - 01/02/2009 :  21:46:38  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Roberto Mahlab Invia un Messaggio Privato a Roberto Mahlab
Il Financial Times aveva due titoloni stamane, il primo sulla proposta del cancelliere tedesco Angela Merkel di creare un conto separato per gli assets in sofferenza per ogni singola banca e non a livello centralizzato, come già operato dalla Svizzera e ventilato negli Stati Uniti, il secondo su una attesa conferenza stampa del presidente americano in cui Bark Obama avrebbe delineato delle nuove idee per risollevare il paese dalla pesante recessione.

Eppure nei padiglioni della fiera internazionale di Monaco di Baviera la crisi semplicemente pareva non esistere, schiere di espositori e di compratori da tutto il mondo, discorsi prudenti, ma sussurri su un mercato ancora vivace, timori per i prossimi mesi come conseguenza della perdita di posti di lavoro nella grande industria e nella finanza, ma quantificazione meno pesante delle prospettive paventate. Il tempo avvolto nelle brume, assai prossimo, dirà se stiamo ballando sul Titanic oppure se ci reggiamo più o meno stabilmente in piedi durante una mareggiata solo più forte delle solite. Certo l'umano comportamento ostenta fiducia, perchè non è possibile sopravvvere pensando al baratro, non è possibile costruire e non sarebbe possibile vivere senza il senso della costruzione. Speriamo, ancor più che esserne convinti e agiamo, come potessimo senza dubbio condizionare il futuro.

Norman mi dice che ci aspettano tempi di inflazione da stampa di moneta, altro non è la messa in circolazione di buoni del tesoro da parte dei governi per coprire la voragine dei conti bancari, la Fed americana sta comprando i titoli del tesoro americani, apparentemente una assurdità, ma un modo per calmierarne e tenerne bassi i tassi, fino a che ci si riesce almeno. Uno scenario più da anni settanta che da grande depressione del 1929, del resto non esiste altro modo di recuperare il denaro bruciato che non sia ristamparlo, l'inflazione potrà essere la cura.

Dieter piange l'amico volato in Paradiso, lo vado a trovare allo stand alla fiera, conosceva mio Padre da decenni, avevano creato un mercato insieme ed è indimenticabile per entrambi quella sera nel caratteristico ristorante di Amsterdam, io adolescente e lui già fabbricante, entrambi tesi ad ascoltare le parole del mio grande uomo saggio.

Shlomo ha una fabbrica a Haifa, nel centro di Israele, sono attrezzature per il primo soccorso, mi mostra fiero la sua ultima invenzione, rimango colpito e prometto di fare il meglio che posso. Mi racconta della sua famiglia, i genitori austriaci nel 1933 fuggono dalle prime ombre naziste e trovano il primo riparo a Trieste, da lì si trasferiscono ad Anversa e poi nella Palestina Ebraica, allora sotto mandato britannico. Shlomo è un sabra, come si definiscono gli ebrei nati in Israele, mi narra come suo padre un giorno si ammalò e andò all'ospedale, i medici gli prospettarono un intervento alle valvole cardiache, facendogli presente che la qualità della vita ne avrebbe sofferto, il padre di Shlomo rispose con immediatezza che preferiva vivere giorno per giorno quanto gli rimaneva, alle soglie degli ottanta anni si sentiva appagato, aveva salvato la sua famiglia, aveva dei figli e dei nipoti. Gli racconto di mio Padre, la sua epica figura, la sua vita avventurosa dal medio oriente all'Europa, il pieno dell'esistenza che ha lasciato dovunque.

Shlomo mi narra come ha conosciuto l'attuale proprietario della fabbrica, erano militari insieme e iniziarono dal nulla a creare materiali curativi per i soldati, mi avvolge con maestria una fascia particolare attorno alla mano, ne riconosco la genialità.

"Vayechì", esclama all'improvviso Shlomo, il nome della Parashà, il brano della Bibbia, di tre settimane orsono, in cui si scrive dei Patriarchi che vissero tanti anni, non che morirono ad un certo anno, si narra che vissero e benedirono i figli, profetizzandone la strada e così fu per i loro figli, vissero, non morirono. Ed è a questo punto che si ritrova costretto ad estrarre dalla tasca un fazzoletto e a porgermelo, prima che gli annaffi lo stand di commozione. Ma prosegue, ricordando come il corpo si ferma, mentre l'anima si eleva e i nostri Padri ci stanno osservando da lassù, "ricordati bene", insiste, "vayechì", in ebraico, visse, non morì, visse.

Il ritorno al tramonto, su Monaco il sole, l'aereo sorvola pianure imbiancate, le prime cime delle Alpi, poi si solleva sopra la bufera. Ma ancora al di sopra ci sono quegli sguardi del Padre di Shlomo e di mio Padre che osservano che continuiamo nella via dell'etica, come ci hanno raccomandato. Vissero, non morirono, hanno solo lasciato il corpo e la loro anima è al nostro fianco, come è scritto e compreso. Eppure lo sgomento per ogni istante, ogni luogo, ogni momento, ogni atto, colore, parola, erano lì con noi, poco prima, il luogo era insieme, il momento era insieme, l'atto era insieme, il colore era insieme, la parola era insieme, due tempi, la memoria e il presente, sono fotogrammi di due universi che si sono allontanati e che vorremmo reincollare, riunire, come prima.

Il tempo è passato, il tempo è cambiato, ci interroghiamo sul senso della vita, quello c'è.
Però se ci interroghiamo allora sul senso del male, il far del male alla vita che invece ha un senso e uno scopo e una prosecuzione, quello no, quello non c'è, questo è l'insegnamento dei nostri Padri.

Vissero nel corpo, vivono con l'anima e ci guardano, come prima.

Roberto Mahlab

   
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