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 La gatta ladra
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ophelja
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Inserito - 13/10/2007 :  11:20:00  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a ophelja



La gatta ladra

Il detto, complice una fortunata aria di Rossini, lo ha sempre ricordato:la gazza è ladra.

A parte le conseguenze giudiziarie che una tale gratuita affermazione potrebbe innescare, non ritenendosi - i ladri – degni della comunanza con le gazze, è solo il caso di ricordare che la categoria – quella dei ladri – è molto nutrita e annovera , oltre a bipedi di razza, anche la Felis cattus, quadrupede di grande eleganza ed agilità.
Nello specifico parliamo per quanti non hanno la sottotitolazione alla pagina 777, di una comune gatta di cortile.

La storia ebbe inizio un giorno di metà aprile in un paese del sud , quando un bambino, vagando a zonzo per la campagna, trovò un piccolo micio spaurito.
“Solo questo ci mancava”, gli disse la mamma quando lo vide in braccio al figlio; “di questi tempi, siamo già fortunati se riusciamo a mangiare tutti i giorni e tu pensi anche ai gatti….portalo immediatamente dove l’hai trovato!”

L’Italia era in guerra e in ogni casa mancava il capofamiglia…

Il bambino fece un’ultima carezza al gattino e , silenziosamente, concordando con gli inconfutabili argomenti della mamma, lo portò all’angolo della strada ,lasciandolo al suo destino nell’intrigo di scale e sottoscale, regno incontrastato delle galline e dei conigli il cui celebrato ritmo produttivo era una vera provvidenza per quella comunità forzatamente a dieta.

Il giorno dopo, la scuola, i giochi coi compagni, la vita da vivere al momento, fecero dimenticare al bimbo quel piccolo gatto affamato.
In verità non era un micetto, bensì una piccola gatta che aveva deciso di sopravvivere nonostante la guerra e il successivo armistizio dichiarato da lì a poco.

Da denutrita che era, forte degli ottimi geni della sua razza, era diventata in poco tempo una gatta bellissima, dal pelo bianco morbidissimo.
La mamma, che aveva buon cuore, ogni tanto le allungava una ciotola di latte o un fegatello di pollo e quella bestiola, pur restando selvatica, le dimostrava a suo modo riconoscenza ripulendo il suo magazzino dai topi e razziando i passeri che incautamente si azzardavano a fare il nido sotto le tegole del tetto.

In verità la riconoscenza della gatta, la cui abilità nel cacciare era nota, si estendeva anche al vicinato, in particolare alla signora Felicetta, che amava i cardellini a cui dedicava cure amorevoli.
I cardellini, equamente alloggiati in piccole gabbiette appese all’esterno della casa, erano sempre vissuti felici e cinguettanti per la gioia della sua padrona fino a quando....

La natura – oh la natura!

Le sue leggi, i ritmi della vita sono immutabili e anche la gatta, dopo un periodo di duetti notturni, inseguimenti e risse d’amore con chissachì, cominciò ad ingrassare visibilmente.

Per una strana alchimia ormonale, la gatta, durante la gravidanza, naturalmente diffidente verso tutto e tutti, era diventata più docile ed era facile vederla al sole, sulla soglia della porta, mentre Cristina era intenta a rammendare o a fare la maglia.

“Ti sei fatta il compagno?” chiedevano le vicine a Cristina, alludendo alla sua forzata solitudine, essendo il marito ancora lontano.
Cristina sorrideva e senza alzare la testa dalla sua occupazione, rispondeva dando un’occhiata alla gatta: “E chi la tiene? Va e viene quando vuole e finchè non mi chiede pane....”
“Bell’affare” pensava tra sè Cristina “ e come farà a sfamare i suoi gattini?” però la guardava intenerita e non se la sentiva di lasciarla senza nemmeno un pezzo di pane.
Passò qualche tempo e la gatta sparì.

Non che Cristina la cercasse, ma era moderatamente in pensiero per quella bestiola andata a sgravarsi chissadove.
In effetti anche qualcun’altra cercava la gatta.

“Cristina, t’avverto. Se l’acchiappo, l’ammazzo.” diceva Felicetta piangendo per la rabbia del “cardellicidio” che si perpetrava – nonostante la vigilanza armata di scopettone - proprio sotto i suoi occhi.

Come facesse, quel demonio di una gatta, ad eludere la sorveglianza della donna era un mistero: ma i cardellini sparivano e Felicetta non ne poteva più.
Fu così che pensò ad uno piano strategico.

Per due giorni tenne le gabbiette dei cardellini in casa; “Piccoli amici miei, ancora un sacrificio e poi ...” mormorava fra sè la donna, pregustando la giusta vendetta per le piccole vittime della violenza felina.
E finalmente arrivò il momento tanto atteso.

Al primo imbrunire, Felicetta socchiuse la porta di casa e, appostandosi dietro l’anta lasciata chiusa, rimase in attesa, con lo scopettone d’ordinanza in una mano e l’altra sulla serratura, certa che la belva sarebbe caduta nell’imboscata.

L’ora era quella giusta.
La gatta, infatti, con l’istinto felino potenziato dall’istinto materno, era solita uscire in perlustrazione a cercare il cibo per i propri piccoli che crescendo diventavano sempre più famelici, e lo cercava ovunque fosse, anche “dentro” la casa di Felicetta.

E così la gatta entrò nella casa, ignara dell’agguato.

Felicetta, nella pazienza dell’attesa, meditava propositi omicidi e, non appena la gatta si diresse verso la gabbietta, serrò lestamente la porta e brandendo lo scopettone cominciò l’inseguimento della gatta.
“Vieni qui, brutta bestia, che ti faccio tappeto; vieni demonio peloso che ti faccio sputare tutti i miei cardilli....”

Altro che wrestling, altro che lotta fra titani....

La gatta, a cui non mancava l’agilità per schivare i colpi di Felicetta, cominciò a saltare da una parete all’altra della stanza, coinvolgendo nella sua fuga disperata tutto quello che trovava.
Ne fecero le spese alcuni piatti della credenza, un cesto di mele posato sul tavolo , qualche sedia e le gabbiette, su cui la malcapitata inciampò slogandosi una caviglia.
La gatta nel frattempo graffiando e soffiando come un dannato s’infilò nella cappa del camino e con uno sforzo sovrumano raggiunse il tetto uscendo dal comignolo.

Felicetta, scarmigliata, con la scopa in mano, non credeva ai suoi occhi.
Ma come era possibile?
Ancora tutta affannata e dolorante , si chinò a guardare su per il camino, infilando la testa dentro il focolare quando un grosso pezzo di fuliggine si staccò improvvisamente dal camino e la ricoprì completamente.

Così conciata, semi soffocata dalla cenere, graffiata, con una caviglia slogata, aprì la porta per chiedere aiuto....

Dal tetto della casa di Cristina , una gatta nera si godeva la scena.


Ophelja

   
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