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 "Milano-Bagdad" di Stefano Dambruoso

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R A S S E G N A     A R G O M E N T I
Roberto Mahlab
"Milano-Bagdad", scritto da Stefano Dambruoso con Guido Olimpio, editore Mondadori.

Un volume che puo' stare sugli scaffali delle librerie vicino a quelli dei grandi giallisti, un thriller che avvince dalla prima pagina, ci fa tuffare in flash back dalle moschee di Milano ai campi di addestramento dei kamikaze, seguiamo quasi in diretta le indagini di questi mesi della Digos e della magistratura che hanno permesso di scoprire i fondamentalisti islamici in procinto di compiere attentati in tutta Europa.
Rabbrividiamo al racconto dell'attentato fallito nella metropolitana di Milano con il prodromo dell'esplosione ai templi di Agrigento.
Entriamo nella mente perversa dei gruppi criminali che allevano i cosiddetti martiri che seminano la morte da New York a Bali, da Casablanca a Israele. L'autore ci guida alla rivelazione che non e' possibile dare un significato razionale al movente degli assassini, ma che e' necessaria un'attenta e instancabile attivita' da parte delle forze dell'ordine, dal sospetto al pedinamento, fino allo smantellamento della fitta trama di complotti, di covi, di organizzazioni, una alternanza di catture e di delusioni, di preziose informazioni ottenute nei campi di addestramento, gli interrogatori che aprono uno sguarcio sul mondo della jihad, la guerra santa contro l'occidente, l'uso delle immense praterie di internet a fini eversivi, poi le figure inquietanti dei ricercati, Bin Laden e Al Zarkawi e sullo sfondo l'opprimente e spaventoso progetto del qaedismo.
E tutto questo avviene, sta avvenendo, attorno a noi e l'autore ce ne rende consapevoli. La citta' di Milano e' uno dei crocevia del terrorismo che sta insaguinando il pianeta.

L'autore e' il magistrato Stefano Dambruoso, procuratore antiterrorismo a Milano, un eroe europeo lo ha definito la rivista Time, ora anche esperto giuridico per l'Italia alla sede delle Nazioni Unite di Vienna.


Ieri sera a Milano, concerto di sogni e' stato invitato alla presentazione del libro e il vostro cronista non ha potuto resistere e ha esclamato al procuratore :"l'ho letto, altro che i thriller! si legge di un fiato ed e' la risposta a tutto quanto ci possiamo chiedere".
E il procuratore Stefano Dambruoso ha scritto una dedica per il nostro concerto di sogni.
"Sono contento, e anche se e' scritto come un libro giallo, e' tutto vero", ci risponde poi sorridendo e prendendo posto al tavolo degli intervistatori, Daniele Moro, caporedattore del tg5 e Mirco Salvadori, motore e creatore del prestigioso Istituto di Ricerca per il Dialogo Interculturale, organizzatore dell'incontro.

Il giornalista Daniele Moro ha iniziato proponendo le ultime righe del libro :"uno sforzo e' richiesto a tutti: continuare a vivere, senza lasciarsi completamente condizionare dalla minaccia terroristica, perche' diversamente avrebbero gia' vinto". La domanda al procuratore e' stata :"ma allora siamo arrivati alla stessa situazione di Israele, paese ai cui cittadini si richiede di continuare a vivere e a non lasciarsi condizionare?, adesso stiamo parlando di Milano e non di Gerusalemme! Due anni fa si indicava Milano come via di transito per il terrorismo, l'anno scorso si e' scoperto che da Milano sono partiti i kamikaze per l'Iraq, quale e' il passo successivo? possono colpirci anche qui?"

Il procuratore Dambruoso ha risposto che e' necessario mantenere alta l'attenzione sul fenomeno che non potra' essere debellato a brevissimo, sarebbe un guaio assuefarsi, la minaccia e' seria, ma la risposta e' continuare a vivere, pur consapevoli delle esigenze di sicurezza.
E di cosa ci dobbiamo preoccupare a Milano?
La citta' lombarda e' stata coinvolta negli attentati di Madrid, uno degli ideatori e' stato arrestato qui, ma la raccomandazione insistente del magistrato e' di nuovo che se e' vero che la minaccia puo' indurre a modificare stili di vita per necessita' di sicurezza, e' assolutamente importante che non si rinunci al quotidiano, il costo e' sostenibile e nel periodo necessario il flagello sara' debellato.


Il procuratore fa' presente che ovviamente la stragrande maggioranza del mondo islamico non ha nulla a che fare con il fondamentalismo e che dunque esiste la concreta possibilita' che anzi ci aiuti nella comune lotta che non ci deve far smettere di essere aperti e democratici.
Il terrore e' diffuso solo da una piccola frangia, preda di cattivi maestri di alcune moschee soggette alle prediche di alcuni imam.
Certo si puo' analizzare se le comunita' islamiche abbiamo condannato apertamente il fenomeno in se' oppure se hanno avuto bisogno di sollecitazioni, ma e' necessario apprezzare l'umano timore di ritorsioni. E poi esiste una diffidenza, comunque sia la politica internazionale non concede, in tempi cosi' difficili, la facolta' di riconoscersi in avvenimenti o in valori occidentali che vengono percepiti come differenti.
Il procuratore propone che sia necessario depotenziare questa difficolta', per esempio supportando gli imam che, quando tornano al paese di origine, portino il messaggio rivoluzionario che morire in nome religione e' peccato e non corretta interpretazione religiosa.
Purtroppo la natura del terrorismo e' cosi' perversa e cosi' radicata che, anche se ci puo' apparire sorprendente, esiste il bisogno di spiegarlo.
Un esempio e' la serie di attentati della primavera dello scorso anno a Casablanca, tra 13 attentatori, tutti resisi disponibili in pochi mesi, uno si fece esplondere di notte in un cimitero ebraico, e' stato come portare morte ai morti.
Dunque si deve ragionare sui maestri, sugli imam, e promuovere la loro azione in favore della moderazione, gli imam devono uscire da una scuola controllata dallo stato in cui operano, si deve permettere predicazione a chi diffonde i valori dell'islam moderno e non a chi cerca martiri.

Mirco Salvadori, l'anima dell'Irdi, ha preso la parola e si e' riferito al capitolo del libro in cui si accenna alle difficolta' pratiche di condurre un'inchiesta e al senso di sacrificio dei collaboratori, la domanda che si e' fatta strada e' stata se ci sono gli strumenti adatti per condurre la lotta.
Il procuratore Dambruoso ha spiegato che si puo' andare davanti ai giudici solo perche', evidentemente, si sono trovate le prove di un delitto o di un tentato delitto, e' difficile far condannare un imputato perche' esiste certo verita' storica con indizi evidenti, ma esiste anche una verita' processuale, in cui si deve tener conto che gli imputati possono contare su difensori molto abili.
Per questo il lavoro principale rimane la prevenzione, sappiamo che i terroristi non hanno regole, al contrario della legge, e il magistrato deve preparare sempre un dossier esaustivo per convincere il giudice, giudice che a volte e' anche afflitto da notevoli arretrati.
In un'aula di tribunale non bastano i sospetti, si deve mostrare l'intero percorso, dall'intercettazione alle prove certe.
Diverso invece e' il punto di vista che si basa sulla prevenzione a cui si puo' ricorrere per convincimenti su un sospetto di delitto.
Da tempo si e' aperto il discorso dell'intelligence che richiede un incremento di possibilita' investigative, e' in discussione una legge di riforma dei servizi segreti e si fa' strada la considerazione che per prevalere nella guerra al terrorismo e' necessario che gli apparati di sicurezza funzionino bene.
Tante volte infatti e' solo sull'intelligence che un magistrato puo' contare, ironicamente il procuratore sottolinea che non poteva certo richiedere una rogatoria per un sospetto di terrorismo al governo talebano, la politica e le sue frontiere sono una variabile da tenere presente.

Certamente le nostre societa' democratiche si trovano a rispondere ad angosciosi quesiti morali, fino a che punto di pressione si puo' giungere con un sospetto di pianificare un attentato, in modo da salvare vite umane? quale prezzo nel senso di valori siamo disposti a pagare? e se scegliessimo tale strada ese si sbagliasse praticando un interrogatorio spinto ad un individuo che poi risulta innocente? sono interrogativi sui quali i casi delle prigioni irachene e le celle di Guantanamo ci portano a riflettere.

Sollecitato dalle domande di un curiosissimo pubblico, il procuratore si e' detto felice del nuovo incarico alle Nazioni Unite a Vienna, sta collaborando ad un progetto che mira a organizzare la polizia e la magistratura nel nuovo Afganistan, e' una strategia che ha la stessa importanza del supporto agli imam moderati che bisogna aiutare.

"Ma combattiamo una guerra o il terrorismo e' un fenomeno?"
"Siamo in guerra o no? e se si', non dobbiamo promulgare leggi di guerra e sostituirle a quelle di garanzia?"
Potete immaginare le questioni che il pubblico, cosciente della sua opera di sensibilizzazione, ha rivolto a Stefano Dambruoso che ha cosi' riassunto il suo pensiero. Le brigate rosse sono state sconfitte mantenendo i diritti garantiti, si puo' comprendere il timore e la tentazione di difendersi contro la barbarie con una legge di guerra, ma si deve considerare anche la realta'. Negli Stati Uniti il terrorismo ha fatto 3.000 morti, un evento eccezionale ha richiesto una legge eccezionale come il Patriot Act. Dobbiamo anche relativizzare, in Iraq c'e' la guerra, in Europa non siamo allo stesso livello.

"Arriveremo anche in Italia a considerare il velo islamico una forma da bandire in pubblico oppure si tratterebbe di un impedimento ai fedeli di esercitare il loro diritto ad una pratica religiosa?"
Il procuratore ha ricordato che ci sono anche quelle che non possono essere senz'altro definite con il termine di liberta', dobbiamo considerare che un determinato abbigliamento puo' essere una imposizione maschile alla donna e non una sua libera scelta. La riflessione e' se le comunita' ospiti e quelle ospitanti non debbano ricercare una accettazione reciproca che non dovrebbe prescindere dai decenni di lotte che hanno condotto le nostre societa' democratiche ad abolire la disuguaglianza tra i sessi, ad esempio.

"E il campo di battaglia di internet e la diffusione dei video delle decapitazioni sui media occidentali?"
Il magistrato ha osservato in risposta che se oggi non c'e' piu' l'Afganistan come campo di addestramento, ora i terroristi hanno a disposizione internet che usano per diffondere i loro proclami e i video choc.
Invece non e' saggio che i nostri media diventino casse di risonanza di tali video, perche' farebbero il gioco dei terroristi, la trasmissione del video di una decapitazzione assume la rilevanza di un attentato, serve a terrorizzare, a dissuadere la gente dal viaggiare, a trasmettere insicurezza, e' in altre parole anch'esso un vero atto terroristico, ritrasmetterlo significa fare il gioco dei terroristi.

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