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 4 Favole e Racconti / Tales - Galleria artistica
 mi disse che gli dicevano "il bianco"
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marco vedrietti.
Villeggiante


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Inserito - 14/09/2004 :  00:25:25  Mostra Profilo  Visita la Homepage di marco vedrietti. Invia un Messaggio Privato a marco vedrietti.
Lo vedeva tutte le sere di concerto: stava in piedi accanto alla soglia del salone, in cima alla scalinata di marmo, sorridente, pulito, si esprimeva in un italiano perfetto nella sua semplicità, appena venato del rude accento locale, dispensava programmi del concerto e sorrisi, i capelli dalla piega perfetta pieni di brillantina, la giacca e la cravatta che sapevano di naftalina.
Sua madre aveva lo stesso viso, un po' più delicato, lo stesso sorriso stampato in viso, una gentilezza ingessata e nervosa, di cristallo, di quelle che urlano, il padre, titolare della metà dei cromosomi, aveva un po' del bulldog, i movimenti potenti dei muratori abituati a salire sulle impalcature con enormi secchi pieni di cemento appoggiati ad uno straccio sulle spalle d'acciaio. In quelle sere tutti e tre, perfettamente curati, tutti chichì e chicò, rilucevano della stessa luce del marmo dei pavimenti, e lucravano sugli imponenti ritratti esposti nella galleria.

Come normalmente accade, gli anni passarono.

Una mattina, una quindicina di anni dopo, era in un bar, era lì per salutare un'amica: la ragazza che gestiva il bar, simpatica con tutti e per questo piena di spasimanti, o anche solo di anime belle che facevano volentieri qualche schietta chiacchera con i suoi begli occhi azzurri. La sera prima era stata vivace, e lui era un po' stordito dalle luci e dai rumori del giorno, prese un caffè, e mentre lo sorseggiava prese ad odiare fieramente i tre che stavano al bancone, monopolizzandogli l'amica. Tre, bevevano, fumavano e facevano la ruota e per dar più forza alle proprie spiritosaggini urlavano, urlavano come maiali sgozzati, e martellavano la povera testa di quello che era ancora un po' ubriaco dalla sera prima. Nonostante il fastidio, prima di andarsene doveva finire il caffè, che peraltro scottava, così, fra un'ustione di primo grado all'esofago ed una di secondo alla lingua non poté fare a meno di notare quello che urlava di più. Oltre che urlare, costui si muoveva come un burattino, assumeva le pose di un attore da film muto ed ogni tre parole infilava una bestemmia, alternando sempre le stesse tre. Roteava gli occhi, gesticolava, ci teneva a farsi notare. Senza che fosse particolarmente religioso, le bestemmie davano fastidio all'osservatore che stava nel suo cantuccio col proprio caffè, non in quanto bestemmie, ma in quanto ripetute ossessivamente con delicatezza di un fabbro ubriaco in preda a delirio omicida. Peraltro, ogni tanto, il rompipalle lo guardava e sembrava dire "Ma io ti conosco, porcotallero"
Non lo aveva mai visto prima, ma gli ricordava qualcosa, a parte naturalmente la discendenza dell'uomo dalle scimmie. Pagato ed uscito, un tarlo perfido gli si instillò nella mente: "Dove l'ho già visto?"
Una settimana dopo, simile scena, ma mentre il nostro eroe sorseggiava il caffè dopo essersi sfiatato a raffreddarlo, entrò il tipo della settimana prima sottobraccio con un altro e fra un porcone e l'altro gli urlava la sua gioia perchè porcoqui era tanto che non lo vedeva porcolà, e gli era mancato porcosu, e dovevano proprio uscire a pranzo porcogiù, anzi a cena e farsi una bella bevuta porcodi come ai vecchi tempi porcoa da in con su per tra fra. Mentre gli augurava di strozzarsi con la bevuta come ai vecchi tempi, il tarlo si svegliò: "Dài che lo conosci, lo hai già visto, dài che ti ricordi", ma niente, niente più del tarlo che lo rodeva.
Pensa che ti ripenso, scartate, da bravo ottuso occidentale, le ipotesi dello yoga e dell'autoipnosi, dato che il tarlo continuava a baccagliargli in testa cantando "loconosciloconosci" suonando il tamburello, e ballando con libero piede, un pomeriggio, in pieno orario lavorativo, sobrio come un computer, tornò al bar, prese un succo di frutta ricco di vitamine e chiese all'amica se per caso sapesse chi fosse quel dandy.
Lei corrugò la fronte e piegò gli occhi azzurri. "beh, sai, io non sono di qui e non sono sicura, non so…" (in un paese di tremila anime ci si conosce tutti, fuori dal proprio paese si incontrano delle difficoltà perché sono zeppi di ignoti…) "…ma secondo me lo chiamano "il bianco"".
E fu così che il velo si squarciò ed apparve la luce, diritta filata da 15anni prima: era lui, era quello, si era levato la giacca e la cravatta e la brillantina, era invecchiato e si era rivelato per quello che era già allora. Chissà che fatica per lui, allora, stare in piedi sorridendo in quel mondo di manichini musicofili, ma ora era libero, trentenne, finalmente redento poteva sfogarsi per quelle tediose serate e bestemmiare felice e guardare le tipe con occhio desideroso ed urlar loro contro il suo desiderio represso.
Per festeggiare si fece una birra, forse, in un futuro, se la sarebbe fatta con quell'altro e le sue orribili bestemmie, sorridendo e ricordando di quand'erano ragazzini liberi e mordaci pur avendo ancora i denti da latte


   
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