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ophelja
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Inserito - 16/05/2004 :  23:06:54  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a ophelja

Già alla nascita fu chiaro che sarebbe stata una fonte di guai: per i fratelli, naturalmente.
A voler dar retta al languore dello stomaco che i due bambini, Piero di otto e Gilda di sette, cominciavano a sentire nonostante il gioco preferito a cui erano dediti ormai da un’ora nella piazzetta semivuota del paese, dovevano essere almeno le due del pomeriggio.
Sin dalla mattina avevano notato, in verità, uno strano andirivieni di zie, e avevano visto la loro mamma molto affaticata con quel pancione che – diceva loro - presto non avrebbe avuto più.
Erano tempi in cui l’educazione sessuale non era ancora materia d’insegnamento e le nascite, dovendo avvenire in casa, somigliavano a delle magie, ad apparizioni , che si verificavano solo quando i bambini della famiglia erano in previdente trasferta da nonni o zie.
La primavera era arrivata e con essa, in un pomeriggio ventoso, anche quel fagottino urlante e rosso che faceva pendant con la sciarpa di lana in cui l’avevano avvolta per mostrarla ai due fratelli quando, dopo una serie infinita di bisogni improcrastinabili , come quello di bere, di prendere un quaderno, di prendere la palla, di ….
“Basta! Andate a mangiare da Mariuccia”
“Ma cos'hai in braccio?” azzardò la bambina, guardando la zia con timore.
“E’ la sorellina nuova” rispose raggiante la zia, guardando quella specie di mummia avvolta nella sciarpa rossa.
“Posso toccarla?” si fece coraggio il più grande.
“No, no…Andate da Mariuccia”.

Questo fu l’impatto con la “sorellina piccola”.
All’inizio sembrò tutto un gioco. Era divertente per i due ragazzini tornare da scuola e vedere la trasformazione di Ninù.
“Guarda ride..” “Guarda ... ha un dentino..” “Guarda che le prendi piccola tiranna!”
E lei, la tiranna, riuscì a sfruttare il vantaggio psicologico d’essere nata con tanti anni di differenza da Piero e Gilda ed ebbe, oltre ai genitori, alle zie, anche due badanti a mezzo servizio che "dovevano" accontentarla in tutto e per tutto.

La tiranna aveva tre anni e parlava…eccome parlava.
“Lo dico alla mamma…”era il refrain che fiaccava l’ultima resistenza dei fratelli.

Anche quella domenica i genitori, prima di uscire, avevano “affidato” la bimba ai figli grandi: “State attenti che la sorellina è vivace”.
Cosa voleva dire vivace? “E’ viziata”, pensavano i fratelli, con un pizzico di gelosia, ma poi si facevano in quattro per accontentarla.
Si era in giugno e lungo il viale della villa crescevano rigogliosamente gli iris blu e le calle.
Specialmente queste ultime erano magnifiche. Le loro foglie lucide e verdi formavano un sipario ideale da cui spuntavano, come per incanto, i calici affusolati ed eleganti dei fiori bianchi. Spesso poi, in quei calici, attirati dall'infiorescenza gialla al loro interno, si trovavano degli insetti verdi che ricordavano gioielli in smalto.

I due fratelli si divertivano a turno con la bicicletta del padre, e Ninù sedeva tranquilla sulla coperta a “leggere e pitturare”.
Chi ha esperienza di bambini di tre anni sa bene cosa significhi. Il “leggere” era strappare ordinatamente le pagine del libro del fratello e “pitturare” era tracciare con una matita, e in maniera decisa, segni che ricordavano un tracciato di sismografo impazzito.
Dopo un po’ di questo passatempo intellettuale Ninù trotterellò verso i fiori che con il loro colore e con le loro forme erano certamente più interessanti della bambola o della palla.
Soprattutto le calle attirarono la sua attenzione.
Con le manine staccò alcuni calici della pianta , prese alcune foglie e , novella Linneo, iniziò lo studio sistematico del suo raccolto.
Questa pianta , tanto bella quanto velenosa, è chiamata volgarmente “la donna in camicia” e con questo nome era conosciuta anche dai tre fratelli.
Piero e Gilda, felici per quei momenti di tranquillità di Ninù, continuavano nei loro giri in bicicletta, ridendo fra di loro.
Anche Ninù rideva fra se’, pensando alla leccornia che stava preparando per la sua bambola. E fra un “mangia che diventi bella” e un “mangio pure io” rivolti alla sua bambola, Ninù assaggiò il trito che aveva fatto e che la sua fantasia le presentava come un piatto prelibato.
Il pianto che ne seguì rimase tra i ricordi più terrificanti dei due fratelli maggiori.
“Ma questa pianta non si mangia” le disse disperato Piero.
“Sputa tutto che potresti morire” la incalzava Gilda.

Cercando di adoperarsi nel salvataggio, cominciarono a piangere anche loro paventando già un funerale imminente: il loro, se i genitori avessero saputo quanto era successo.
"Dai, Ninù, vieni che ti faccio andare in bicicletta."
"Ti faccio mangiare tutte le mie caramelle, ma non dire niente a mamma e papà, va bene?"
Fra un singhiozzo e l'altro, il compromesso fu raggiunto e la promessa solennemente formulata.
Fortuna volle che l’assaggio fosse stato minimo e il soccorso tempestivo , e Ninù non ebbe conseguenze.
Avrebbero potuto averle invece i due fratelli; infatti, al ritorno dei genitori, Ninù era corsa loro incontro gridando a squarciagola:
“Mamma, papà, oggi ha detto Gilda che potevo morire..”
A nulla valse lo sforzo di Piero di prenderla in braccio e di tapparle la bocca, perchè lei continuò imperterrita:
“..perché ho mangiato la CAMICIA DA NOTTE...”


Ophelja

   
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