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 OTZI - L'UOMO CHE AMAVA LA NEVE.
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zanin roberto
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Inserito - 18/02/2004 :  22:31:17  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a zanin roberto


OTZI- L'UOMO CHE AMAVA LA NEVE

I lunghi sentieri immersi nelle foreste di conifere erano per Otzi un semplice labirinto dove immergersi e lasciarsi cullare dai raggi solari a fatica penetrati tra gli aghiformi pini, nella intensa aromaticità di resina, dove le bacche estive gli addolcivano il palato e la neve invernale gli alietava l'umore con i magici riflessi cromati di luce.
Il suo elemento era la montagna, fin da piccolo si era sentito protetto dalle foreste verdi e fitte, si arrampicava su nei ghiaioni come uno stambecco, di cui si nutriva ghiottamente e aveva affinato la presa nelle mani, diventate come tenaglie, si divertiva a dondolare nel vuoto dei strapiombi montani, solo saldamente aggrappato alle fessure della roccia con le sue falangi sensibili e sicure come ventose.
La vita in Val Senales era dura ma lui uomo dell'età del bronzo si era evoluto e aveva in testa un progetto nuovo e mederno, voleva unire quel gruppo di uomini che si erano accampati vicino al lago di Vernago con altri e formare un numeroso nucleo compatto.
Ogni giorno c'era da sfidare il destino, i predatori non si concedevano pause e molte volte gli attacchi di branchi di lupi e di isolati orsi facevano molte vittime,soprattutto tra i piccoli che non erano in grado di difendersi.
Poi c'erano le continue rivalità tra gli uomini per il possesso di una donna, o per avere la proprietà di una caverna o della spartizione dei bottini predati ai villaggi avversari.
Il sangue arrossava in continuo la terra e non c'era mai pace.
La primavera del 3312 avanti cristo si presentava molto fredda, Otzi si era invaghito, alla sua longeva età di 45 anni, di una femmina bionda, con gli occhi color cielo, quando è splendidamente terso e ventilato e consente di spaziare lontano, dove solo madre terra osa guardare, la sentiva sua ma fragile come lo sciogliersi della neve vicino al sacro fuoco.
Doveva partire per procacciare cibo e scambiare merci con gli uomini che avevano al collo l'ambra, erano sempre più ostili ma il suo coraggio li aveva fino ad allora tenuti a bada.
Radunò quel mattino rigido, il gruppo di uomini che gli riconoscevano l'autorità e presi arco e frecce, parti alla volta del passo che portava a Vent oltre lo spartiacque.
Raggiunsero al tramonto il passo, dove i fuochi dei bivacchi illuminavano l'innevato pianoro, la luce incerta dava aloni truci a quei rissosi uomini dai capelli rossi.
In una grande pentola di bronzo si cucinava una minestra di farro e gli otri di pelle che si passavano di bocca in bocca contenevano una bevanda che scaldava il sangue.
Dopo una veloce cena si scambiarono molte merci, pelli e sale con ambra e metalli e in fondo ebbero un paio di otri di quel biondo liquido che ingolosiva tutti.
Otzi si addormentò dopo aver contemplato il cielo e immaginato il caldo corpo della femmina che lo aspettava.
Nel primo albeggiare quando il freddo pungente penetra tra le pelli si svegliò di soprassalto, un trambusto era scoppiato tra i suoi e quegli omaccioni del nord.
Un coltello di selce affilato, affondò nel petto del suo amico vicino, ebbe il tempo di prendere l'arco e la faretra e di scappare dietro una roccia, di lui non si curarono. La lotta tra i due gruppi si metteva male per i suoi, un paio del suo clan erano feriti gravemente, allora si alzò sopra un masso di granito bianco, dritto e orgoglioso, tese l'arco con la grazia di una farfalla e scoccò tre frecce, una dietro l'altra con una velocità fulminea e con una precisione assoluta. Colpiti mortalmente, tre avversari caddero mentre gli altri si fermarono alibiti, consentendo una reazione talmente determinata e rinvigorita da abbattere altri tre uomini dai capelli rossi.
Messi in fuga i superstiti del clan avversario si appropriarono del bottino lasciato e inneggiarono al loro eroe Otzi che sorridendo si rese conto di averli conquistati definitivamente.
Raccolse della neve fresca e si lavò il viso, ne assaggiò il freddo sciogliersi e si senti appagato.
Tornarono al villaggio allegri e rumorosi, subito si sparse la voce del gesto eroico dell'indomito arciere e gli fu tributata una grande festa.
Il giorno dopo intorno al grande fuoco gli offrirono giovani donne, cibo e quando l'anziano del loro gruppo avanzò nel silenzio più solenne per regalargli il simbolo del comando, si senti al settimo cielo, un'ascia di puro rame con incise scene di caccia.
I tamburi lentamente iniziarono a ritmare ataviche note, Otzi con gentilezza ma decisione allontanò le fanciulle e fece cenno alla sua femmina di raggiungerlo, la prese in braccio, sollevandola come un'animale addomesticato e messo a tracolla un'otre di bevanda bionda, spari nella grotta mentre iniziava a piovere, sciogliendo il manto nevoso e lasciando alla primavera il passo.
Passò un anno e l'uomo che amava la neve ebbe due maschi ma non la fortuna di vederli crescere.
La vendetta degli uomini rossi non si fece attendere, quando ancora la neve induriva il suolo, attaccarono il villaggio e solo la bravura di Otzi e dei suoi tennero lontani quegli sciacalli dalle donne e dai bambini.
Ma il prezzo fu molto alto. Quasi tutti gli uomini morirono pur di ricacciare quegli assatanati, mentre ormai se ne andavano il capo Otzi fu isolato e dovette scappare inseguito dagli ultimi nemici.
Scarpinò verso il massiccio del Similaun, oltre i 3000 metri d'altezza, che conosceva bene. Recuperò un arco non finito di costruire e delle frecce a cui bisognava aggiungere alette e punta, saliva e li teneva lontani, arrampicava con perizia tra sentieri e seracchi, lasciandosi dietro feriti e morti per inesperienza, poi si fermò a riposare.
Si alzò ma un abile cacciatore tese il suo arco e a 50 metri da lui, sulla sinistra, in basso,scoccò con micidiale freddezza una freccia mortale che gli passò la scapola sinistra, fermandosi a 15 millimetri dal polmone ma procurandogli una lenta morte per dissanguamento.
Non lo raggiunsero mai per spogliarlo dei suoi oggetti, troppo impervia la via da lui persorsa, l'ascia di puro rame era ben chiusa nella tasca dell'indumento di pelle che lo avvolgeva.
Si senti debole, raccolse un pugno di neve lo strofinò sul volto, non sentiva più il braccio sinistro, assaggiò la farinosa e bianca compagna dell'inverno e sorrise, un velo scuro gli offuscava la vista ma nel suo ultimo attimo di vita vide nitido un cielo azzurro e terso, nobile e dolce come gli occhi di quella femmina che gli aveva donato due cuccioli che ora raccomandava alla divina montagna di proteggere.

di Zanin Roberto


   
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