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elisabetta
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Inserito - 28/06/2003 :  19:18:47  Mostra Profilo  Visita la Homepage di elisabetta Invia un Messaggio Privato a elisabetta
un pomeriggio caldo e afoso quasi insopportabile. alla ricerca id un po’ di fresco... di un luogo dove riflettere... dove pensare senza essere disturbata dal traffico delle auto in centro o dal vociare continuo della gente... un luogo di silenzio e pace... ero nei pressi delle piccole viuzze che sembravano vicoli ottocenteschi male illuminati dove avresti potuto perdere anche te stesso. solo il porticato della Sinagoga era rimasto illuminato nella via del ghetto. qualcuno doveva aver sbagliato interruttore. per un puro caso avevo le chiavi con me. non le portavo solitamente. era un mazzo di chiavi grandi e molto pesanti come la memoria che si portavano addosso. mi avvicinai al portone e lo trovai socchiuso... ‘strano’ pensai fra me e me... ma forse il custode sta cercando qualcosa... entrai sicura che lui fosse lì... ma non era così. entrando nell’atrio esterno appena illuminato dalla piccola luce sulla lapide del ricordo vidi un uomo. era fermo. immobile davanti alla lapide. lo osservai senza fare rumore. non era più giovane anzi il suo viso era segnato dagli anni... ma i suoi lineamenti delicati si intravedevano ancora nella penombra nonostante l’età. mi avvicinai e si girò all’improvviso... c’era qualcosa di familiare in quel volto sconosciuto... mi ricordava qualcuno... ci osservammo per qualche secondo... poi sentii una voce da dentro... ‘entri entri la prego’... ‘anche se sono sicuro che lei conosce questo posto meglio di me’... il custode mi presento a quello sconosciuto... era una anziano signore che proveniva dal Sudamerica... lo accompagnammo su nel tempio dove lo lasciammo pregare osservandolo da lontano... scendemmo poi nel museo... ci soffermammo davanti ad una bacheca che ricordava la shoà... il genocidio del popolo ebraico... c’era un documento appoggiato sul velluto blu... ci erano scritti i numeri con cui i deportati della nostra città erano stati disumanizzati ad Auschwitz... lui si alzò la manica della camicia azzurra che portava addosso... e disse ‘sono esatti questi numeri’... noi guardammo il suo braccio... un numero inciso nella pelle dall’infamia e dalla violenza ... era uno dei nostri pochissimi sopravvissuti... ne avevo visto la fotografia su un libro tanto tempo prima... mi sentii gelare il sangue guardando quel numero... avrei voluto che alcuni dei miei alunni fossero lì... avrebbero capito quello che era successo... e lo avrebbero toccato con il cuore...

elisabetta

   
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