Concerto di Sogni
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Paolo_Talanca
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Inserito - 31/01/2002 :  01:07:56  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Paolo_Talanca  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Paolo_Talanca
E’ una canzone di Francesco Guccini del 1996. Ho scoperto Guccini da poco, un paio di anni circa e sono rimasto fulminato dal suo modo di far poesia. Forse lo apprezzo maggiormente perché entrambi abbiamo la passione per la letteratura e lui ha scritto diverse canzoni su poeti, opere, personaggi importanti della storia e delle lettere. Senza dimenticare il fatto che lui è professore universitario e uomo di grande cultura . Forse però la sua forza sta proprio nello scrivere testi dove mette in risalto, in molti casi, gli aspetti genuini di vita quotidiana come punti fermi della sua vita passata, che fanno parte del suo modo di essere e che lui non si sente di rinnegare. Ma a parlare di Guccini davvero non finirei mai, forse meglio scrivere la canzone, poi, purtroppo per voi , cercherò di spiegare le sensazioni che mi suscita.


Testo e musica Francesco Guccini

In giardino il ciliegio è fiorito
agli scoppi del nuovo sole,
il quartiere si è presto riempito
di neve di pioppi e di parole.
All'una in punto si sente il suono
acciottolante che fanno i piatti,
le TV sono un rombo di tuono
per l'indifferenza scostante dei gatti ;
come vedi tutto è normale
in questa inutile sarabanda
ma nell'intreccio di vita uguale
soffia il libeccio di una domanda
punge il rovaio di un dubbio eterno
un formicaio di cose andate,
di chi aspetta sempre l'inverno
per desiderare una nuova estate.

Son tornate a sbocciare le strade,
ideali ricami del mondo,
ci girano tronfie la figlia e la madre
nel viso uguale e nel culo tondo,
in testa identiche, senza storia,
sfidando tutto, senza confini,
frantumano un attimo quella boria
grida di rondini e ragazzini ;
come vedi tutto è consueto
in questo ingorgo di vita e morte,
ma mi rattrista, io sono lieto
di questa pista di voglia e sorte
di questa rete troppo smagliata,
di queste mete lì da sognare,
di questa sete mai appagata,
di chi starnazza e non vuol volare.

Appassiscono piano le rose,
spuntano a grappi i frutti del melo,
le nuvole in alto van silenziose
negli strappi cobalto del cielo.
Io sdraiato sull'erba verde
fantastico piano sul mio passato
ma l'età all'improvviso disperde
quel che credevo e non sono stato ;
come senti tutto va liscio
in questo mondo senza patemi,
in questa vista presa di striscio,
di svolgimento corretto ai temi,
dei miei entusiasmi durati poco,
dei tanti chiasmi filosofanti,
di storie tragiche nate per gioco
troppo vicine o troppo distanti.

Ma il tempo, il tempo chi me lo rende ?
Chi mi dà indietro quelle stagioni
di vetro e sabbia, chi mi riprende
la rabbia e il gesto, donne e canzoni,
gli amici persi, i libri mangiati,
la gioia piana degli appetiti,
l'arsura sana degli assetati,
la fede cieca in poveri miti ?
Come vedi tutto è usuale,
solo che il tempo chiude la borsa
e c'è il sospetto che sia triviale
l'affanno e l'ansimo dopo una corsa,
l'ansia volgare del giorno dopo,
la fine triste della partita,
il lento scorrere senza uno scopo
di questa cosa che chiami vita.


Il disco s’intitola “D’amore, di morte e di altre sciocchezze”
Produzione: Renzo Fantini
Arrangiamenti collettivi supervisione: Vince Tempera
Batteria e percussioni: Ellade Bandini
Pianoforte e tastiere: Vince Tempera
Basso elettrico e contrabbasso: Ares Tavolazzi
Chitarre: Juan Carlos Biondini
Sax tenore: Antonio Marangolo
Registrato e mixato: presso lo Studio Fonoprint di Bologna
da Roberto Costa, assistente: Roberto Barillari
Edizioni: EMI Music Publishing Italia s.r.l./L'Alternativa Ed.Mus. s.r.l.
tranne "Cirano": EMI Music Publishing Italia s.r.l./L'Alternativa Ed.Mus. s.r.l./La Ciliegia s.r.l.
Foto: Roberto Serra
Grafica di copertina : Raffaella Cavalieri
Grafica e impaginazione: Giuseppe Spada
(P) & (C) 1996 EMI Italiana S.p.A.
Già all’inizio del testo si sente la voglia di fare una grande opera, con una enfasi poetica che, pur essendo una frequente caratteristica di Guccini, in questa canzone vuole essere maggiormente presente per via del fatto che rappresenta una dedica a due cari amici del cantautore modenese, Victor e Bonvi Sogliano, che non ci sono più. La forma è quella epistolare ed, a mio parere, questo è fondamentale per dare l’impressione della presenza dei due amici scomparsi. Per il resto il contenuto è universale, si tratta di quelle situazioni di vita quotidiana descritte con l’occhio del poeta che cerca di trovare il senso in ogni cosa. E’ impossibile non riconoscersi nei concetti del testo.

L’attacco descrive un momento di primavera col ciliegio fiorito come ogni anno, che rappresenta il rinnovarsi della vita e la ciclicità delle stagioni. La descrizione è di un cortile a lui familiare che appunto riproduce immagini solite, col tempo descritto attraverso i pioppi (che il cantante ha visto riempire il luogo, segno del tempo che dura anni), la neve (che rappresenta le stagioni, cioè il tempo di mezza durata) e le parole (cioè il tempo di ogni giorno). Poi si susseguono immagini consuete, stagnanti, che acuiscono il magone dell’autore per una condizione tutt’altro che di vita stimolante, così “dall’intreccio di vita uguale soffia il libeccio di una domanda”: la domanda segno è di inquietudine che nasce dalla noia di una vita piatta, solita. Ci si chiede se questa vita non sia l’inutile sforzo “di chi aspetta sempre l’inverno desiderare una nuova estate”.

Nella strofa successiva si può trovare la conseguenza del rinnovarsi della vita: il ritorno a sbocciare delle strade dove “girano tronfie la figlia e la madre nel viso uguale e nel culo tondo” (mi passate la scurrilità amministratori?). Qui entra in gioco l’immagine femminile di una donna però meschina: “in testa identiche e senza storia” che si uniscono all’effimeralità del ritorno a sbocciare delle strade (dove poi tornerà inevitabilmente l’inverno). L’immagine di questa donna meschina è insita in quel tipo di femminilità che si tramanda di madre in figlia come in una ideale continuità talmente effimera fino ad essere frantumata facilmente da “grida di rondini e ragazzini”, cioè dalla genuinità e dalla assoluta verità di figure fresche e semplici. L’insofferenza viene fuori dal fatto che in questa continua consuetudine di “ingorgo di vita e morte” , il cantautore non sa se scegliere la carnalità che lo conduce alle donne (la morte o falsa vita) o l’assolutezza della verità figurata nelle rondini e nei bambini (la vita o apparente morte), non è felice della possibilità che la vita gli dà di sognare (perché non sa se avrà la forza di arrivare alle mete prefissate) e non sa quindi se vuole davvero spiccare il volo o continuare a “starnazzare” in eterno.

Nella terza strofa le stagioni si susseguono e l’appassire delle rose fa da contraltare allo spuntare dei frutti del melo. In un ideale ambiente idilliaco e naturale il cantautore si trova “sdraiato sull’erba verde” e guarda che “le nuvole in alto van silenziose negli strappi cobalto del cielo” pensando al tempo che passa lento, coniugando al passato ogni promessa fatta a se stesso, ogni meta, ogni sogno. In questa calma naturalistica, Guccini si rende conto come l’inesorabile passare del tempo , l’età disperda quello che si era prefissato di diventare, forse la pace interiore che non può raggiungere come fosse una nuvola (la stessa che in alto va silenziosa) . E’ il sogno che non si è avverato. Torna a parlare al “tu” della piattezza della vita: “come senti tutto va liscio”. In una “vita presa di striscio di svolgimento corretto ai temi”, vita mai vissuta veramente, senza mai entrare nel vero senso dell’esistere, come lo svolgimento errato che alla fine del tema ci costringe a cambiare il titolo: non abbiamo realizzato cioè i nostri sogni, mentiamo a noi stessi e ci convinciamo che ciò che abbiamo è quello che desideravamo, correggendo il titolo del tema dopo esserci accorti dell’errato svolgimento. Nella chiusa della strofa il cantautore ripercorre momenti della sua vita: dai “tanti chiasmi filosofanti” per una vita spesa dietro letteratura e filosofia, a tutte le occasioni perdute e storie di persone che hanno fatto parte della sua vita, a volte troppo vicine tanto da non potersi chiarire.

L’ultima strofa si apre con una domanda disperata del cantautore che chiede indietro il suo tempo, rivuole le stagioni “di vetro e sabbia”, cioè gli inverni tristi passati dietro un vetro a guardare il mondo grigio e le estati felici, fatte di sabbia di mare. Rivuole la rabbia giovanile, il gesto (Guccini è dichiaratamente un uomo di sinistra) che rappresentava i suoi ideali, la vita in genere fatta di “donne, canzoni, amici persi, libri mangiati”, l’inutile fede cieca in miti ormai diventati poveri. Forse tutte queste cose Guccini vorrebbe darle agli amici morti, ai fratelli Sogliani che hanno comunque perso per sempre la possibilità di tornare a tutto questo anche solo col ricordo. Torna la colloquialità dell’accorgersi della vita usuale (motivo portante del testo), della lenta morsa che ritrae la temporalità, il tempo che inesorabile passa e non ci fa realizzare i propri sogni, con un sospetto finale della meschinità del disegno vitale, del fatto che sia “triviale”, cioè volgare, basso il non raggiungere i propri sogni, quell’ “affanno e ansimo dopo una corsa” che stanno a significare che la corsa è andata male, che forse non eravamo preparati per correre così forte, così tutto porta alla “fine triste della partita”, che diventa una condizione inevitabile, così “questa cosa che chiami vita” diventa una lenta agonia dello scorrere del tempo, tanto lento quanto doloroso perché senza scopo, senza sogni realizzabili.

E’ finita, potete uscire dalla coltre di tristezza nella quale vi ho messi per tornare alla sottile e rilassante atmosfera del concerto. Una ultima cosa voglio dirvela però: per una migliore resa della canzone è bene ascoltarla perché la sua musica possiede un trasporto ed un ritmo che combaciano alla perfezione con il senso di “giusta impotenza” di Guccini di fronte alla vita che pian piano se ne va, che fa quasi diventare inevitabile e perciò rilassante il senso della canzone. Grazie per l’attenzione. Un salutone a tutti!


Noi sogni di poeti

Paolo_Talanca
Senatore



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Inserito - 31/01/2002 :  01:10:12  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Paolo_Talanca  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Paolo_Talanca
Come immaginavo ho fatto un casino, ma il titolo è LETTERA, immaginatelo sopra la parte dove dico che il testo e la musica sono di Guccini

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