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Giusy Melillo
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Inserito - 09/02/2019 :  19:39:22  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Giusy Melillo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Giusy Melillo
Dicembre 2017/ Dicembre 2018: i miei viaggi.

Mio marito è il mio compagno perfetto nella vita e nei viaggi. Viaggiare insieme ci ha sempre interessato e unito, tanto che da fidanzati iniziammo a rinunciare al consueto scambio di regali materiali delle occasioni solenni o particolari dell’anno, per regalarci esperienze e ricordi irripetibili, cioè viaggi. Da sposati abbiamo continuato a preferire il viaggio alla vacanza, ma aprendoci di più al mondo e sperimentando positivamente lo spirito dell’avventura (se tale si può ritenere la tecnica: fai da te - parti - poi si vede dove prenotare e cosa visitare). La curiosità per una determinata meta, i prezzi, la compatibilità temporale con i nostri impegni professionali, e ciò che non abbiamo ancora visto sono i criteri che ci orientano nella scelta.

UN PEZZETTO DI POLONIA.

Procedendo a ritroso nel tempo, il 14.12.2017 siamo partiti, con due nostri cari amici, per quattro giorni alla scoperta di un pezzetto di Polonia: Varsavia, Cracovia, Auschwitz, la miniera di sale di Wieliczka. Il pretesto del viaggio è stato rappresentato dai mercatini natalizi, Ryanair ha fatto il resto con le sue tariffe di volo ragionevoli.

A Varsavia abbiamo pernottato una notte e trascorso un giorno e mezzo e ci è parso assolutamente sufficiente. La città ospitava in centro i mercatini fatti di articoli natalizi e altre merci e cibi (a mio avviso erano interessanti soprattutto i banchi gastronomici di prodotti locali tipici, sia dolci che salati); era addobbata di luminarie grandi e molto scenografiche, tutte ravvicinate da non lasciare molto spazio tra l’una e l’altra, perfino gli alberi erano rivestiti di luci. Tutto questo luccichio serale ha reso sicuramente più bella la visita di Varsavia, di per sé fredda nell’impatto con la sua urbanistica e architettura, forse perché si tratta di una città ricostruita a seguito dei noti bombardamenti. Una suggestiva leggenda ha reso la sirenetta il simbolo di Varsavia, rievocata dalla scultura di Piazza del Mercato. Come sempre quando si esce a piedi, è bello seguire le attrattive segnalate dalla guida, come la residenza reale, la chiesa di Santa Croce che custodisce il cuore del musicista Chopin, il quartiere Praga; ma anche gironzolare a modo proprio in qualunque posto, per cui preferisco scrivere qualche impressione piuttosto che riportare l’elenco delle cose da fare, che ogni guida contiene. I Polacchi sono generosi se vi si instaura un rapporto di conoscenza e dialogo, ed estremamente civili e rispettosi di tutte le regole, ma è sembrato che non si aprissero facilmente con i turisti. Per fare un esempio, se chiedevamo un’indicazione in Portogallo le persone del luogo innanzitutto sorridevano, e poi si offrivano addirittura di accompagnarci a destinazione; mentre in Polonia le persone sono rimaste inespressive e quasi infastidite di fronte alla richiesta di indicazioni di noi turisti. Personalmente ho amato molto i pieroghi, cioè i grossi gnocchi polacchi di pasta fatti a mano a forma di mezza luna: ci sono ristoranti a tema ed è possibile farcirli sia con frutti dolci che con formaggio, carne, crauti e molti altri gusti.

Per quanto riguarda Cracovia, raggiunta con poco più di tre ore di pullman da Varsavia, è semplicemente incantevole. Sembra una città ricamata, a partire dai palazzi della Piazza del Mercato. È inoltre una città vivace e densa di giovani, anche per via delle sue università. Inevitabile pensare lì a Papa Giovanni Paolo II. Il simbolo di Cracovia è invece un drago, presente in forma di scultura lungo il fiume (oltre che nei souvenirs). Singolare è il presepe natalizio della tradizione locale, poiché allestito in cattedrali colorate create con carta rigida, presenti lungo le strade del centro storico (e preservate da teche trasparenti) piuttosto che nelle chiese come accade invece da noi. L’ultimo giorno di viaggio abbiamo noleggiato l’auto in aeroporto a Cracovia per raggiungere, in circa un’ora e mezza, il campo di concentramento di Auschwitz. Ci sono tanti tour organizzati per fare ciò e si vendono nelle agenzie di viaggio e lungo le vie di Cracovia, ma volendo noi fare due cose (cioè andare anche alla miniera di sale) in un solo giorno prima di partire per l’Italia (è il vantaggio del volo serale-notturno), l’auto è stata la scelta ideale, sia per tempi che per costo. Sul campo di concentramento e la visita museale, non ci sono parole. Bisogna vederli e percepire sulla pelle tutto quel dolore e quella cattiveria. Tuttavia la visita di quei luoghi, colti in pellicole di molti film, è delicata. La mia impressione è stata quella di essere in un cimitero, specie al cospetto della esposizione fotografica dei volti dei deportati e delle cose a loro appartenute e di cui furono privati, come valigie, protesi, occhiali, scarpe… per non parlare dei capelli. Il senso di pietà cristiana e di rispetto che ne nascono è infinito, le domande senza adeguata risposta notevoli.

A seguire, perché poco distante, abbiamo raggiunto la miniera di sale, che è patrimonio Unesco: Wieliczka. Si scende a 135 metri di profondità (tramite corridoi e circa 800 scalini), sotto terra, tra laghi verdi e sculture di sale. La cattedrale di sale, che si visita quale ultima tappa della miniera, è davvero suggestiva. Il percorso costa 20 euro per chi non ha diritto a riduzioni, comprensivo di un accompagnatore guida; difatti non si fanno ingressi individuali. La nostra fortuna è stata che, al nostro arrivo in pomeriggio, verso le 16.00, c’era un gruppo di tedeschi che pure doveva entrare in visita, quindi siamo stati accorpati a loro per la visita guidata.

NEL NOSTRO FILM: NEW YORK.

Voglio ricordare la mia settimana a New York dal 14 al 20 febbraio 2018, la prima volta negli “States” che secondo me e mio marito non poteva avvenire in città diversa, rappresentando un po’ NY il simbolo degli USA. Probabilmente, marciando come “soldatini”, NY è esplorabile anche in meno tempo. Ad ogni buon conto, questo è il modo in cui abbiamo utilizzato la nostra presenza lì: arrivo serale il 14 febbraio (giorno del nostro anniversario di nozze) all’aeroporto di Newark con un volo di circa nove ore della Norwegian, che da novembre 2017 pare abbia aperto la rotta per gli USA offrendo un volo intercontinentale confortevole (l’unica differenza con altre compagnie è che i servizi aggiuntivi qui si pagano a parte - inoltre la Norwegian mi teneva costantemente aggiornata via sms sui dettagli della partenza), e a prezzi spesso eccezionali (nel nostro caso, al costo di un biglietto che avremmo pagato presso altre compagnie per la rotta Roma - NY, abbiamo viaggiato andata e ritorno in due!). Da Newark, preso l’airbus, abbiamo raggiunto Manhattan per scendere direttamente a Times Square. L’impatto con i tabelloni luminosi sui grattaceli è stato da film. Eravamo curiosi di vedere subito uno dei punti più famosi della city, nonostante l’ora tarda (circa l’una di notte locale). Da lì abbiamo scelto di proseguire fino in hotel con un taxi, sia per via della stanchezza, sia perché, pur essendoci fin da subito imbattuti in personaggi tra i più strani mai visti, tra cui persone dal look stravagante da essere esagerato, oppure altre innocue ma assorte nel chiaro effetto di droghe, ancora non conoscevamo la tranquillità che i newyorkesi hanno nel girare in metro fino a tardi, anche ragazze sole. A Manhattan è concentrato praticamente quasi tutto ciò che si consiglia di vedere a NY. La città si suddivide in cinque distretti: Manhattan, Queens, Bronx, Brooklyn, Staten Island. È importante, specie per orientarsi viaggiando per le varie destinazioni in metropolitana, sapere dove sono le seguenti aree: Uptown, Midtown, Downtown. Il nostro hotel era un quattro stelle nel Queens, un sereno quartiere residenziale, da noi scelto per questo e per la vicinanza alla metro e al cuore di NY, una volta preso atto del fatto che, volendo invece pernottare negli hotel di Manhattan (a meno che non si trovino pacchetti con offerte di buoni alberghi nei vari circuiti), o si spende poco per camere con bagni in comune o comunque non conformi ai canoni europei, o si spende troppo per normali tre o quattro stelle che non valgono quanto costano, e che invece si pagano quasi la metà nel Queens, o magari ad Harlem (che tuttavia, vedendola poi sul posto come zona, sebbene dicono sia stata riqualificata, non mi ha ispirato la stessa serenità del Queens). 15 febbraio e inizio della vacanza effettiva: il nostro camminare per NY ha preso volutamente il via dalla stazione centrale (Grand Central Terminal), come da consiglio letto su una guida, ed è stato bello pensare a scene di film di saluti tra partenze e arrivi girati lì e ammirare il cielo azzurro del soffitto affrescato con una mappa stellare. Subito dopo abbiamo raggiunto la celebre Fifth Avenue o Quinta Strada, ed è stato come vivere mille altri film. È la via dello shopping importante. Da lì poi è stato facile visitare il Rockefeller Center, l’Empire State Building, l’altro celebre grattacelo Chrysler Building, la Trump Tower con i suoi eleganti marmi color ruggine e i giardini pensili sospesi tra i piani e che è praticamente attaccata al grattacelo della gioielleria Tiffany, la chiesa di S. Patrizio… Sul fare della sera siamo tornati a Times Square. Ancora più tardi, con la suggestione delle luci notturne, abbiamo raggiunto il Ground Zero e la gigante colomba bianca dell’architetto Calatrava, “Oculus”, al World Trade Center dove prima sorgevano le torri gemelle, ed è stato toccante immaginare i tragici noti fatti terroristici e vedere scolpiti i nomi delle vittime sulle lapidi perimetrali delle fontane commemorative. 16 febbraio: era la data di inizio del capodanno cinese e da amante della cultura orientale non potevo che essere a China Town. Le sue arterie principali sono Canal Street e Mott Street. Il quartiere non è interessante da vedere come mi aspettavo, i templi buddisti non sono architettonicamente graziosi come in Asia ma si trovano in palazzi (ad esempio il Mohayana Buddhist Temple). Il corteo celebrativo del Carnevale con i dragoni colorati, sulle arterie principali del quartiere, è stato partecipato e si vedeva che era molto sentito dagli abitanti (i quali si erano per lo più vestiti in rosso, anche con abiti tradizionali della loro cultura, e si scambiavano biglietti rossi augurali), ma mi ha delusa. Attaccatissimo a questo quartiere c’è quello di Little Italy, che in pratica è una strada diritta (Mulberry Street) dove affacciano su ambo i lati palazzi in mattoncini che al piano terra ospitano locali per mangiare made in Italy (ma non ho mangiato lì, quindi non so se fosse vera cucina italiana), dalla Puglia, a Napoli, alla Sicilia. Poi è stata la volta del quartiere Soho, frequentato dagli artisti come diceva il nostro opuscolo guida (a me sono piaciuti i palazzi con le scale esterne antincendio, tutte identiche, che ho visto in vari film e serie tv americani); del vicino Tribeca che è invece segnalato per la eleganza; della Brodway, che è la via diagonale di Manhattan, celebrata per i teatri. La ciliegina sulla torta della giornata è stata la visita del Museo MOMA, per gli amanti dell’arte assolutamente spettacolare. L’ultimo piano è il più importante, e secondo me conviene far partire la propria visita da esso, per poi scendere ai piani inferiori. Le demoiselles d’Avignon di Picasso, la notte stellata di Van Gogh e molto altro, come Andy Warhol, sono esattamente esposti lì. Era programmato che la nostra visita fosse quel pomeriggio, un venerdì, poiché il venerdì pomeriggio l’ingresso al MOMA è gratuito, e ciò non è cosa da poco se si considera che il vivere in vacanza a NY è caro, e che si paga abbastanza per tutto rispetto ad altri grandi città del mondo (dalla corsa in taxi al mangiare al ristorante, eccezion fatta per il MC Donald naturalmente, e che a NY mi è parso il covo dei barboni; dagli accessi ai siti turistici come la terrazza panoramica dell’Empire o il big bus che propongono di comprare ai turisti appena arrivano sulla Quinta Strada). Avendo frequentato molti musei, ciò che non dimenticherò mai del MOMA è il senso di libertà che si respira al suo interno, perché i visitatori possono ammirare l’arte proprio come se fosse la loro, senza gelosia di custodi e vigilanti per una foto, per il tempo di sosta davanti all’opera, per la vicinanza ad essa. 17 febbraio: Financial District dove c’è la Borsa di NY (con sosta per un panino presso “Pisillo” - da noi cercato poiché, quando si è all’estero, manca un po’ l’Italia dopo qualche giorno, e per Tripadvisor era uno dei migliori posti per mangiare a NY. Si tratta del locale di una famiglia del mio territorio, il Sannio, che lavora nel distretto finanziario di NY da circa dieci anni usando prodotti rigorosamente italiani e del Sannio. Devo dire che, sebbene sempre di panini di tratta, c’è stata differenza dai panini americani perché quello di Pisillo era davvero genuino). Brooklyn: non scorderò mai più il suo famoso omonimo ponte, che è pedonale, il posto più romantico e scenografico di tutta NY a mio parere, e dove ho sentito molta energia. A seguire, sul tardo pomeriggio, un po’ di sano shopping: i negozi ordinari non sono convenienti rispetto all’Italia, per cui vale la pena cercare gli outlet e lì sì che si perde la testa a fare spesa scegliendo tra tanti prodotti e marche e a prezzi imperdibili, specie per quanto riguarda Calvin Klein, Tommy Hilfiger, Guess, Ralph Lauren, Timberland, Ivanka Trump, Laura Hasley. Personalmente, a tal proposito, voglio segnalare Century21 e Marshall’s a Manhattan. Per concludere la giornata, una cena carina in una steakhouse tipica, che tra i vari pasti a NY ricordo con piacere sia perché la carne si scioglieva sul palato ed era ottima, sia perché siamo stati in quel locale come ospiti di un amico newyorkese originario dell’Italia, il quale dopo ci ha anche portato in auto a visitare i palazzi residenziali più esterni di Manhattan e lussuosi, dove c’era, in ognuno, il guardiano in divisa con cappello e impermeabile neri, tipo “Ambrogio” della reclama, nonché la zona del Bronx fatta di tante belle villette con giardini privati e dove si insediarono in passato molte famiglie italiane. Quella è stata l’unica giornata fredda della nostra permanenza perché di sera nevicò, ma siamo stati contenti di vedere anche la neve a NY. Negli altri giorni abbiamo avuto la fortuna di un clima molto mite, con un bel sole. 18 febbraio: niente di meglio che una domenica mattina nel quartiere afroamericano Harlem per assistere ad una messa con coro gospel. Anche questa esperienza è stata come vivere in un film, tipo Sister Act. Fantastica! A seguire passeggiata nel Central Park, dove abbiamo fatto un’altra bella esperienza con la musica grazie alla esibizione del talentuosissimo gruppo “Cover Story” sulla strada. Indubbiamente gli afroamericani hanno una marcia in più, per natura secondo me, nella vocalità. Dal parco si vede la casa di John Lennon che lì davanti fu assassinato (palazzo Dakota). Poi ci siamo ritrovati di nuovo in tutti posti già visti: Times Square finendo con l’entrare in tutti i negozi, Quinta Strada, Financial District. 19 febbraio: visita con il battello preso nell’area del Financial District (da Battery Place) fino alla statua della Libertà e ad Ellis Island. Sono due isolotti. Che dire… emozionante il loro significato storico. Ad Ellis Island si visita il museo dell’immigrazione che è fatto benissimo (sembra di vivere realmente quei fatti) e spiega passo dopo passo le procedure di controllo affrontate dagli emigranti (tra cui moltissimi italiani ed europei) fino al 1950, prima di poter essere ammessi negli Stati Uniti, qualora avessero viaggiato in terza classe o in stiva (difatti chi viaggiava nella categoria dei benestanti non subiva la trafila degli estenuanti e talvolta duraturi controlli in arrivo, ma durante la navigazione). Tornati nella city, abbiamo raggiunto il Chelsea Marke, una struttura stilisticamente ricercata sorta dal recupero di un’industria, dove vi sono molti locali e dove ho mangiato la pasta fresca al ristorante di Giovanni Rana (ottima), cosa per me rilevante, avendo sofferto molto la dieta locale, tra panini e carne essenzialmente. 20 febbraio ed ultimo giorno di vacanza: il vantaggio di dover partire alle 23.00 è che si recupera un intero giorno per fare ancora molte cose prima di essere in aeroporto. Quali? Avendo avuto l’impressione di aver fatto tutto il fattibile a NY, anche bissato alcune cose, abbiamo deciso di andare nel vicino New Jersey, nella cittadina di Hoboken, che dista venti minuti di treno (è il treno PATH e si prende all’interno della struttura Oculus, costa circa 5 dollari la tratta) da Manhattan. È un posto completamente diverso da NY, ci sono tante graziose casette, parchi, i palazzi non spiccano per altezza, è assolutamente silenziosa la città e poco popolata nelle strade, nonostante vi fosse un sole che spaccava le pietre quel giorno. La consiglio sinceramente questa tappa: non tanto perché lì è nato Frank Sinatra e davanti casa sua c’è una stella blu sul marciapiedi a ricordarlo, ma perché dal suo lungo fiume si vede lo skyline di Manhattan. È stato bello passare e ripassare e vederlo mutato nei colori a mano a mano che cambiavano le ore, fino al buio serale illuminato dalle luci dei suoi grattaceli. Abbiamo così scoperto da dove scattano tutte le cartoline di NY! Verso le 20:00 diritti in treno fino all’aeroporto di Newark, piuttosto vicino.

Considerazioni finali. Se fosse stato il mio primo viaggio intercontinentale avrei detto che NY è bellissima. Invece non lo penso, perché ci sono città del mondo più meritevoli per cultura, edifici, urbanistica. Ma a NY è bello starci perché tutto è come in un film e perché vi si respira un clima di energia e vitalità molto allettante. È vero che è la città che non si ferma mai. Basti pensare alla metro h24, ai negozi di generi alimentari h24. Anche se io non bevo alcolici, ho trovato un controsenso, rispetto alla sua libertà di espressione e tolleranza generale, il divieto di bere alcolici. Polizia moltissima, anche a gruppi di più uomini per singoli punti di una strada o di un sito. I Newyorkesi sono gentilissimi e disponibilissimi. Mi è parso tutto molto costoso. Consiglio vivamente di girare NY a piedi, utilizzando la metro card, l’abbonamento alla efficiente (ma articolatissima) metro.

CALIFORNIA COAST TO COAST

A inizio settembre 2018 io e mio marito abbiamo viaggiato sulla costa della California in auto, da Los Angeles a San Francisco, concedendoci un’imperdibile digressione a Las Vegas e nel mezzo del deserto del Nevada. Per fare questo viaggio la macchina e il navigatore si sono rivelati vitali, e lui ha guidato benissimo, come se lo avesse sempre fatto in quei posti, nonostante alcune diversità nelle regole della strada rispetto al CdS italiano, come le precedenze da osservare col semaforo rosso (io mi sarei confusa e avrei sbagliato ogni volta) o agli incroci, e la guida nelle corsie preferenziali a seconda del numero di passeggeri a bordo. Per questo viaggio abbiamo evitato il fai da te, metodo di molti nostri viaggi, perchè ci portava ad una serie di complicazioni nel far combaciare a nostra convenienza mezzi di spostamento, alloggi, prezzi, e ci siamo affidati a Logitravel, che ha pensato ottimamente a tutto, e a cui va assegnato un bel voto: 10 e lode.

Il nostro tour ha preso il via il 3 settembre a Los Angeles: Hollywood blv, Universal Studios, Walt Disney, Griffith Park con vista sulla città e sulla celebre scritta bianca Hollywood, Beverly Hills e Rodeo Drive, Distretto Finanziario, Bel Air, Venice Beach. Gli spazi erano enormi e affollati, ma ricordo un senso civico e un silenzio incredibili ovunque. Ci ha però devastato nell’animo vedere la miseria enorme dei senza tetto in accampamenti nella zona del distretto finanziario di Los Angeles, peraltro centrale e non periferica; a fronte del lusso sfrenato di Beverly Hills e delle sue megagalattiche ville. Non ce lo aspettavamo tutto quel divario sociale, come il fatto che da quelle parti sembra che se non hai denaro non vivi e non conti nulla. In questo viaggio, infatti, si è materializzata davanti ai nostri occhi l’idea di una società alquanto classista. Il numero di accampamenti o preferisco dire, in senso di rispetto, case dei senza tetto del Distretto Finanziario, per lo più create in precarie tende da campeggio sui marciapiedi, non si contava; come anche le persone sedute a non far niente davanti ai loro alloggi. Dopo aver conosciuto le peculiarità della città, abbiamo capito perché le scene dei film ambientate a Los Angeles sono concentrate il più delle volte in spazi interni di case o locali, o all’aperto nelle solite strade: nel senso che non ha nulla di speciale e di interessante tutta quella immensità. Molto giovanile e artistica abbiamo trovato la zona di Venice Beach e piena di gente stravagante, ma anche di sportivi e possibilità di praticare sport all’aperto; lì è stato come vedere la serie tv di Pamela Anderson, in particolare grazie alle tipiche strutture in legno con scalette dove si mettono i bagnini. Che bello poi le gare di sketball!

Il 4 settembre eravamo a Las Vegas, sempre in auto (in quattro ore o poco più), ed è stato fantastico arrivarci così, cioè attraversare il paesaggio desertico fatto di terra rossa, cactus scolpiti contro il cielo blu assolato, e tabula rasa intorno, tranne per qualche insediamento di piccoli villaggi e roulottes, rispetto ai quali veniva automatico domandarsi come gli abitanti facessero a vivere lì, cioè isolati dal mondo circostante. In uno di essi ci siamo intrufolati con la nostra auto: mi è parso di essere nel film “Breakdown - La Trappola”, dove dopo una sosta della coppia di coniugi in un’area arida e desertica viene manomessa la loro auto, e poi lei rapita (temo di aver visto troppi thriller americani). Arrivati a Las Vegas che era pieno giorno con un caldo estremo, per questo motivo abbiamo deciso di entrare in un centro commerciale. Poi finalmente un po’ di relax in hotel (piuttosto lussuoso, ma a Las Vegas è tutto così, anche se non si spende molto per dormire); a seguire passeggiata interminabile lungo la famosa Strip, che è il fulcro di Las Vegas e sulla quale sorgono gli imponenti e più bei casino della città. Tutti da visitare dentro e fuori, naturalmente. Abbiamo anche visto una sposa che usciva dal nostro hotel, e una coppia di sposi sulla Strip, come nei film. Diversamente dai film, però, non si percepisce alcuna forma di sballo e di perdizione gratuiti, nel senso che chi è interessato a ciò deve andarselo appositamente a cercare. L’unica cosa “piccante” visibile a tutti era data dalle immaginette pubblicitarie di accompagnatrici in biancheria intima, con relativi numeri cellulari, lanciate per strada; e da turisti che bevevano liquori o spumanti sulla Strip dal collo delle bottiglie.

Il 5 settembre, di ritorno da Las Vegas, abbiamo fatto soste e foto ovunque. Barron carino come architettura; l’outlet niente di che. Siamo giunti alla fine della Route 66: a Santa Monica e sul suo molo famoso, con la sua grande spiaggia, col suo luna park (devo confessare che la città mi ha deluso un bel pò, stante il nome che la precede). Qui tutti i turisti chiedevano ai poliziotti una foto insieme e davanti alle loro automobili di servizio, cosa che abbiamo fatto anche noi trovando che fossero quotidianamente abituati a quel ruolo da attori. Successivamente il viaggio è proseguito per vedere Malibù (Oddio che brutta, nelle serie tv viene proposta in maniera non rispondente alla realtà, idealizzata senza meritare tanto, se non fosse per il surf), e per dormire a Santa Barbara.

Il 6 settembre abbiamo visitato per bene Santa Barbara: molto graziosa e sofisticata, secondo me. Tutta ispanica nella resa estetica e nello spirito dell’urbanistica e degli abitanti. Siamo stati sul suo molo e mio marito ha approfittato dello straconsigliato “S. Barbara Shell Fisch Company” per mangiare un enorme granchio rosso (esperienza che ha ripetuto a San Francisco, provando anche le zuppe tipiche). Altre attrattive: State Street, Paseo Nuevo, Country Court House e la torre orologio, El Presidio, Camino Real, la Vecchia Missione, la Funk Zone, le spiagge e le ville dei vip. Dopo siamo andati alla cittadina di Solvang, che è in stile danese; a Los Alamos che è tipo western, per poi dormire a San Luis Obispo. Il giorno seguente abbiamo scoperto che a San Luis le attrattive turistiche erano poche: in particolare la Missione, l’hotel Madonna Inn (considerato in loco tamarro per il suo stile grossolano, e perciò indicato ai turisti), la strada delle gomme masticanti che si chiama Bubblegum Alley ed è una vera schifezza, a mio modesto parere, anche se divertente perché è un modo per capire che gli Americani (senza offesa lo penso, ma con ammirazione) sanno vendere tutto ciò che hanno, perfino due muri di cemento con le gomme masticanti attaccate sopra, così come i passanti se le sono tolte di bocca, e emananti nel loro insieme un odoro nauseabondo.

Il 7 settembre da S. Luis abbiamo raggiunto Carmel (poiché il programma tv Donnavventura, poche settimane prima, lo aveva proposto come un luogo imperdibile della costa californiana: lì ho toccato per la seconda volta in vita mia, con mano, quanto possa essere bugiardo quel programma, perché mostra solo il particolare che vuole e non la realtà complessiva di quello che c’è in un luogo, e che poi serve sapere a chi davvero viaggia e non si limita a sognare davanti alle riprese e ai diari tv di alcune belle ragazze). In compenso alcune case che si sviluppavano sulla strada sembravano quelle della favola Hansel e Gretel. Poi abbiamo visitato Morro Bay, ed è stato come nel romanzo e nel film “Le parole che non ti ho detto”: case e case, mare e mare, golf, tranquillità. Lì abbiamo preso un passaggio stradale a pagamento che si chiama Pebble Beach e che si è rivelato inutile, cioè non abbiamo visto il panorama che viene pubblicizzato e che quindi ci aspettavamo, ma solo campi da golf e case simili a quanto già era anche nelle strade non a pagamento, forse addirittura meno belli. Poi è stata la volta di Monterey: il punto più interessante lo abbiamo identificato con il molo e i suoi tanti graziosi localini colorati fatti in legno.

Finalmente, continuando a salire a nord, dove il panorama costiero si fa più bello perché molto frastagliato, eravamo San Francisco. Per ben tre giorni. Al suo aeroporto abbiamo in fine restituito l’auto presa a noleggio, sempre tramite Logitravel, a quello di Los Angeles. Molti sanno tutto di questa città, perché è la meta ambita dei viaggi di nozze degli Italiani ad esempio o perché, per la sua bellezza è stata scelta per l’ambientazione di numerosi film, e le vie tipiche delle riprese balzano subito agli occhi di chi arriva. Ad Alamo Square abbiamo scelto di iniziare la nostra conoscenza della città: ci sono le cosiddette case dei tre fratelli, si sa. Fare tante foto davanti a delle villette color pastello… Ebbene sì, è tipico del posto! La veduta sulla città da lassù è stata bellissima! Tutta San Francisco ci è piaciuta moltissimo! Per le salite e discese ripide continue, ho trovato di una comodità unica l’uso della nostra macchina. Ci è dispiaciuto moltissimo vedere una moltitudine di barboni ovunque, e perfino persone riverse sui marciapiedi del centro che avevano fatto uso di sostanze, una di loro si stava facendo una siringa nella caviglia proprio mentre passavamo noi ma il mondo intorno era indifferente. Abbiamo provato pietà e paura ma eravamo turisti impotenti. Diversamente dalle persone strane viste in inverno a New York, dove c’era una sensazione di sicurezza personale sempre, anche per la presenza di tanta polizia, a San Francisco abbiamo avuto l’impressione opposta, cioè non ci siamo sentiti mai sicuri perché si trattava di persone inquiete e non abbiamo visto vigilanza delle forze dell’odirne. I parcheggi carissimi in tutta la vacanza. Tante le attrattive di San Francisco: Lombard Street e le strade caratteristiche tutt’intorno, Baker Beach dove si vede il famoso ponte rosso Golden Gate, il molo Pier 39 e i leoni marini che emettono i loro rumorosi versi e prendono il sole comodamente sulle chiatte, il distretto finanziario, Union Square, il quartiere cinese, Little Italy, Marchet, il quartiere giapponese, Castro che è quello gay ….


Dicembre 2018: Edimburgo e un salto al Nord della Scozia.

Sono stati quattro giorni magici di inizio mese, che io e mio marito ci siamo regalati per la convenienza dei biglietti aerei. Chiaramente il pretesto primario era la voglia di partire. La città si divide in vecchia e nuova, Old Town - New Town. Royale Mile e Victoria Street le mie strade preferite! Voglio solo dire che Edimburgo è un vero gioiello di architettura, umanità e civiltà; è città del buon vivere. Il clima prenatalizio, tra suonatori di cornamuse in kilt, mercatini di Natale e addobbi bellissimi, ha contribuito alla riuscita completa del tutto. Quanto folclore, ovunque. Molto bello. Il centro storico è raccolto e si visita, anche in un solo giorno, a piedi. Proprio per tale ragione abbiamo deciso, giunti sul posto, di fare anche altro. Le proposte delle agenzie locali che lavorano nel turismo erano molte; quella più adatta al nostro tempo e alle nostre esigenze ci ha portato un giorno intero al nord della Scozia e a Loch Ness, con “Scozia in tour”, agenzia che tratta viaggi di uno o più giorni e visite guidate in Scozia per italiani e spagnoli. Abbiamo così visto paesaggi degni dei migliori film di fantasia, inquietanti a tratti, ma assolutamente unici. Harry Potter infatti aleggia in quei posti. Abbiamo anche viaggiato sulla scia di Braveheart.


   
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