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 La nipotina dal nome speciale
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Gabriella Cuscinà
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La nipotina dal nome speciale


Ermenegilda era una ragazza proprio carina. Con le forme al punto giusto, era nell’insieme, magra e slanciata. Aveva capelli nerissimi, lisci e folti. Li portava sempre lunghi; ogni tanto li tagliava appena, ma di solito la sua chioma era abbondante e luminosa. Il suo naso era vagamente all’insù. Gli occhi erano grandissimi e non aveva mai bisogno di truccarli molto. Il sorriso era simpaticissimo, fatto di denti non perfetti e che aveva dovuto correggere con l’ausilio dell’apparecchio odontoiatrico, ma egualmente aveva una bella bocca accattivante.
Di carattere era dolcissima e incline alla meditazione. Studiava parecchio ed era stata sempre brava a scuola. Adesso, all’università, frequentava una facoltà impegnativa e cercava di mettercela tutta per sostenere gli esami.
Il nome che le avevano affibbiato non le piaceva proprio e se ne lamentava sempre.
Difatti, gli amici continuavano a prenderla in giro per quel nome desueto e strano.
In casa la chiamavano Erme. Quando i compagni sentivano quel diminutivo, dicevano: ” Ma che! Ti chiami Ermes o Verme?” E ridevano, procurandole un cupo impulso di rabbia.
Erme aveva una sorella minore. Si chiamava Luciana, e anche questo la faceva arrabbiare, perché diceva: ” A lei avete messo un bel nome e a me, invece, un nome indecente!”
“Ma tu porti il nome della nonna!” ribattevano i genitori.
Luciana era totalmente diversa da lei. Era più alta, aveva un viso bellissimo, i capelli corti e castani. Studiava poco, quel tanto che bastava per andare avanti a scuola.
Avevano una zia che nel passato, aveva sempre accudito la nonna di cui Erme portava il nome.
“Secondo me” diceva la zia “dovresti imparare ad accettare il tuo nome. E’ il trucco per volersi bene: accettarsi sempre, così come siamo, e con tutto quello che abbiamo.”
“Ma zia” protestava Erme “il mio nome fa proprio schifo! Scusa sai, ma è la verità!”
“Fatti chiamare Gilda come faceva la nonna. In fondo diventa un bel nome.”
“No, Gilda no, allora preferisco quella specie di Verme che dopo tutto sono.”
“Lo vedi che non ti accetti! E’ uno dei tanti difetti di voi giovani. Non vi accettate.”
“Io mi accetto, quello che non accetto è il nome che mi ritrovo.”
“Tu sei allegra e generosa come tua nonna, la ricordi in tante cose oltre che nel nome. Per esempio, trattieni a stento le lacrime come lei quando leggi o guardi qualcosa di commovente. Resta come sei, Erme, non lasciare che la vita ti cambi!”
Una mattina, la nipotina doveva recarsi all’università per sostenere un esame importante. Stava guidando l’auto fra il traffico cittadino. Ad un tratto, si accorse che al centro della strada vi era un motorino riverso a terra e una ragazza giaceva priva di sensi. Con uno sguardo più attento, riconobbe in quel giovane corpo inerte, la sua migliore amica.
In un lampo decise di soccorrerla. Avrebbe perso gli esami all’università, ma non importava, doveva assolutamente aiutarla!
Caricò la ferita sulla sua auto e via, suonando il clacson. Il traffico era più intenso che mai e procedeva a fatica nonostante le segnalazioni d’urgenza.
Arrivò al pronto soccorso e dopo tutti gli accertamenti, le comunicarono che aveva fatto appena in tempo a salvare la vita alla sua amica.
Però aveva perso la possibilità di dare gli esami e adesso avrebbe dovuto aspettare sei mesi prima di poterli sostenere.
I genitori assicurarono che si era comportata in maniera esemplare. La zia disse:
“Vedi Erme, ancora una volta hai dato prova di somigliare alla nonna, anche lei avrebbe fatto come te.”
“Dimmi zia, è vero che una volta per difendere un’amica, ha dato del cretino ad un signore?”
“Sì, è proprio vero, lo rammento perfettamente.”
Dopo qualche tempo all’università, conobbe un giovane. Era un collega laureando.
Si chiamava Teodoro. Altissimo e un po’ dinoccolato; era conosciuto come Teo.
Da quando la adocchiò, non la mollò più. Le faceva una corte sfrenata, la inseguiva ovunque, se lo trovava sempre in mezzo ai piedi.
Era uno dei migliori allievi della facoltà, molto studioso e gli avevano già proposto dopo la laurea, il dottorato di ricerca.
Teo era esuberante, sempre in vena di scherzare, ma in modo educato e rispettoso, insomma proprio un ragazzo di buona famiglia.
A lungo andare, conquistò il cuore di Erme.
Ma vale la pena di ricordare il momento in cui si erano conosciuti.
Il dinoccolato ragazzo, sempre con la testa fra le nuvole, si trovava nei corridoi dell’ateneo e non si avvide di una giovinetta che correva, essendo in ritardo per la lezione. Si scontrarono e lui: ” Oh! Scusa mi spiace.”
Si squadrarono, poi: ” Io mi chiamo Teo e tu?”
“Piacere Erme, ma sono in ritardo.”
“Come hai detto che ti chiami?
“Erme, Ermenegilda, ma ti devo lasciare.”
“Ha! Io sono Teodoro.”
“Bene! Mi sono imbattuta in un'altra vittima della toponomastica!”
Scappò via e Teo la seguì a lungo con lo sguardo. Improvvisamente aveva dovuto credere anche lui alla teoria del colpo di fulmine.
“Zia! Ho conosciuto un ragazzo! Si chiama Teodoro ed è un seccatore. Mi sta sempre appiccicato alle calcagna. Pare un cane segugio! Individua sempre le mie tracce.”
“E’ simpatico perlomeno? E’ più alto di te ?”
“Oh sì! E’ altissimo e ride sempre. E’ un secchione e si sta laureando, però a me pare proprio una iattura ritrovarmelo sempre tra i piedi!”
“Erme, di solito, chi disprezza compra. In ogni modo, come avrebbe detto la nonna, se sono rose fioriranno. Dai tempo al tempo e trattalo da amico.”
“E già, io devo accettare tutto vero? Anche un rompiscatole come questo.”
“No, se proprio non lo sopporti, no; almeno per non dargli false speranze. Diversamente, consideralo un amico come tutti gli altri e lascia che le cose vadano come devono andare.”
Infatti i due ragazzi continuarono a frequentarsi da buoni amici e quando la zia li incontrava, esclamava: “Che bell’accoppiata! Erme e Teo. Ma dove li avete trovati questi bei nomi, ragazzi?”
“Per favore zia! Non ti ci mettere pure tu!”
“Signora, si potrebbero anche pronunciare per intero, come passatempo: Ermenegilda e Teodoro, s’impiega un’oretta circa. Ah, ah, ah, ah, ah.”
Col passare del tempo però, la ragazza si accorgeva di volere bene a Teo.
Lo cercava lei adesso, chiedeva i suoi consigli, voleva sempre uscire con lui.
L’amico si era laureato, lavorava all’università ed aveva meno tempo libero a disposizione.
Dunque Erme ne sentiva la mancanza.
Una mattina, lo incontrò in facoltà in compagnia di una bella ragazza. Provò per la prima volta nella sua vita, i morsi della gelosia. Teo! Il suo amico invadente con un’altra! Un senso di rimpianto l’assalì e forse anche la voglia di piangere.
I due, presi in una fitta conversazione, non l’avevano notata. Si allontanò e non volle salutarli. Cominciava ad avere i primi dubbi sulla differenza tra amicizia e amore.
A tal proposito anzi, era ormai certa di essere innamorata di Teo, ma forse troppo tardi.
A casa pianse di nascosto, ma la sorella che aveva capito tutto, esclamò:
“Per me, tu sei scema! Prima lo chiami seccante e lo snobbi, poi piangi per lui. Mah!”
La zia al telefono, capì che qualcosa non era andato per il verso giusto e sollecitò:
“Allora Erme, che c’è? Che hai? Dalla voce si direbbe che stai tornando da un funerale.”
La nipotina raccontò amareggiata dell’incontro e soggiunse che si era finalmente accorta di volere bene a Teo.
“Ma ormai è inutile zia, me lo sono lasciato scappare, si sarà messo con quell’altra.”
“Chi te lo assicura, scusa? E poi anche se così fosse, perché vuoi darti per vinta? Bisogna sempre combattere nella vita per ciò cui teniamo, specie se non facciamo niente di male. Non dobbiamo mai desistere. In fondo, tutti possiamo volare, basta volerlo veramente.”
Quella sera stessa, Erme telefonò a Teo: “ Ciao. Come va? Sai, stamattina ti ho visto in compagnia di una ragazza strepitosa. Complimenti! Ma chi era?”
“Ah sì, doveva essere quella fata della nuova assistente del mio professore. E’ una vera presuntuosa saccente. Tu come stai, dolcezza?”
Il cuore della nipotina ebbe un tuffo e poi si mise a fare le capriole, mentre lei diceva languida: “ Teodoruccio, domani noi due dobbiamo proprio uscire, credo di avere molte cose da dirti.”
“Okay Ermenegilda. Come vuoi tu. Domani usciremo e già fremo al pensiero delle cose che vorrai e potrai dirmi.”
Che suono meraviglioso e speciale aveva il suo nome sulla bocca di lui!
Il giorno dopo, erano l’uno nelle braccia dell’altro.


Gabriella Cuscinà

   
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