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 Le "tifose"
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ophelja
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Inserito - 03/07/2011 :  23:24:14  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a ophelja

Le "tifose"


Chiamarla scuola era davvero troppo: uno stanzone con due finestrelle dai vetri sottili, tenuti insieme da uno stucco screpolato e annerito dagli anni.
Si era nel millenovecentoventisei e la vita scorreva faticosa e grama per tutti. Eppure per i trenta ragazzi del piccolo paese era un una festa potersi ritrovare ogni mattina, esonerati – nonostante la giovanissima età - dal lavoro dei campi insieme ai loro genitori, o a bottega presso qualche falegname, calzolaio o sarta.

Quella mattina, un lunedì di un gennaio particolarmente freddo, la neve era caduta abbondante e un vento capriccioso durante tutta la notte l’aveva ammonticchiata lungo le scale che portavano a scuola e la grande stanza messa a disposizione dalle Suore della Carità sebbene senza riscaldamento, sembrava un riparo accogliente ai ragazzini che erano arrivati bardati di scialli e cappelli.
La maestra, una giovane “forestiera” di prima nomina, era intenta a spuntare i presenti della sua numerosa e variegata pluriclasse.
“Fabiani...Panzardi... Lo sguardo era andato al primo banco, ancora vuoto.
“Strano che non ci siano a quest’ora” pensava la maestra a cui quelle due bambine di quarta erano particolarmente care.
Sempre insieme, sempre educate e attente, erano bravissime e, pur con le evidenti difficoltà delle rispettive famiglie, erano curate ed estremamente ordinate.

La mattina era trascorsa velocemente: ai quattro bambini di prima erano stati assegnati due pagine di aste, ai sette bambini di seconda un copiato della frase “La rosa è la regina dei fiori”, mentre si apprestava a tenere una lezione di storia agli altri alunni di terza e quarta: “Avete notizie di Nicoletta e Talina?” chiese infine ai più grandi.
“La nonna diceva che Nicoletta ha la febbre...e forse Talina... pure” rispose timidamente un ragazzino bruno che abitava poco distante dalle due compagne mentre tutta la scolaresca si concedeva qualche risolino non autorizzato.
“Basta, ragazzi!” e lo schiocco della pesante riga di legno sulla cattedra riportò il silenzio nell’aula.

Ma la maestra non era tranquilla.
Nel tardo pomeriggio, allungando il tragitto per andare da un’amica, passò davanti al portone della Fabiani che, come d’uso nei paesi, era chiuso per una metà, con la parte superiore dell’altra anta lasciata aperta.
“Donna Raffaella, siete in casa?” chiese bussando al battiporta di ferro a forma di mano e guardando all’interno della stanza.
“Vengo, vengo...” rispose sottovoce la donna provenendo da un’altra stanza.
Pallida, con il volto tirato ed occhiaie profonde intorno agli occhi severi, sembrava vecchissima.
E invece aveva solo trentanove anni, Raffaella, la bella e altera mamma di Nicoletta, la “signorina De Palma”, come ancora la chiamavano in paese, quella che per seguire il cuore aveva fatto un matrimonio sconveniente per il suo censo e che ora viveva in poche stanze e senza nemmeno una serva.
Il papà Fabiani, proprietario terriero in un paese in cui la terra non valeva niente, era andato già da un anno in America, sia in cerca di fortuna , sia per dare una tregua alle gravidanze dell’amatissima moglie che le aveva partorito quattro bambine e due gemelli maschi morti a pochi mesi dalla nascita.

A vedere la maestra la donna sorrise mestamente e gli occhi le si riempirono di lacrime.
“Maestra, che disgrazia! La nostra Nicoletta sta tanto male e il medico Faillace dice che è tifo.”
La parola tifo l’aveva pronunciata in un soffio, quasi a evocare una condanna a morte.
E rari erano i casi che evolvevano positivamente in quei tempi difficili, dove l’acqua nelle case era assicurata solo dalle cisterne o dalle volenterose popolane che dietro un compenso di pochi soldi l’attingevano alla fontana grande del paese trasportandola in barili in bilico sulla testa.

La maestra era rimasta senza parole e il suo pensiero era subito corso all’altra alunna, l’amica inseparabile di Nicoletta, la Italia Panzardi, detta affettuosamente Talina.
Quasi interpretando il pensiero della maestra, Raffaella continuò: “Anche Talina sta male, ma non come Nicoletta che ormai delira. Oggi è venuto zio Monsignore a darle l’Estrema Unzione....”
“Non disperate, signora” rispose la maestra. “Il Sacramento è detto anche degli Infermi. Vedrete che Dio Misericordioso ce la conserverà e la guarirà, la nostra piccolina. Anzi le nostre piccoline” si corresse pensando anche a Talina.

I giorni, le settimane passavano e il primo banco rimaneva vuoto anche se, con prudenza, le notizie sulla salute di Nicoletta e Talina si facevano più confortanti.
Poi, finalmente, quando già la primavera era arrivata da tempo, una mattina, a lezione iniziata, le due bambine fecero il loro ingresso nell’aula accompagnate dalle rispettive mamme.

Con gli occhi resi più grandi dalla loro magrezza, abbracciarono con lo sguardo tutti i compagni e salutarono la maestra con una specie di timidezza insolita per il loro carattere.
Nicoletta, specialmente, camminava appoggiandosi con una mano al muro e con l’altra aggrappandosi al braccio della mamma che finalmente sorrideva felice.

Fu così che le due bimbe, a causa della lunga assenza, persero l’anno scolastico.
Ma non furono separate; per la convalescenza furono mandate insieme da una zia paterna di Nicolett , in una proprietà che aveva un magnifico boschetto di querce.

Sotto i grandi rami degli alberi, la cui azione benefica sui bronchi era particolarmente consigliata dal medico, le bambine si erano dedicate alla lettura, al ricamo, ritrovando con l’amicizia e la solidarietà fra loro, anche il gusto per la vita.

Quella esperienza le unì ancora di più e fu così che per tutti in paese divennero le “tifose” e anche dopo molti anni, quando già le vicende personali le avevano divise portandole a vivere in regioni lontane, rimasero unite da un tifo speciale: quel vivo entusiasmo per la vita che aveva superato anche la malattia.


Ophelja

   
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