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 L'azienda del latte( quarta e ultima parte)
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Gabriella Cuscinà
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Italy
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Inserito - 15/04/2009 :  18:12:40  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Gabriella Cuscinà Invia un Messaggio Privato a Gabriella Cuscinà
17
Diego le chiese della sua vita di insegnante a Detroit ed April gli narrò, tra l’altro, di avere avuto un’alunna di circa undici anni che una volta stava morendo al luna park:
- La mia alunna e le sue amiche erano entrate nel Tunnel della paura. Deve la vita a un signore che è riuscito a soccorrerla. Difatti, sotto l’effetto di una crisi di panico, stava per rimanere soffocata. Camminava attraverso il sentiero degli orrori in cui si mischiavano effetti di luci psichedeliche con suoni terrificanti. Pare che il rumore assordante di una sirena abbia scosso la sua sensibilità. Ha cominciato a gridare, a tremare e poi è caduta a terra. La lingua si è arrotolata impedendole di respirare. Un signore l’ha vista tra le luci a intermittenza e, senza esitare, le ha aperto la bocca e le ha tirato fuori la lingua. Poi l’ha trascinata via all’aperto. Pochi minuti dopo è arrivato un medico e le ha somministrato un calmante.-
Diego aveva detto saggiamente: -Le luci abbaglianti e i suoni assordanti rappresentano un’aggressione per l’organismo, però quella tua alunna dovrebbe fare esami approfonditi del sistema neurologico. Una reazione così violenta può essere stata causata, secondo me, dal riaffiorare repentino di un trauma precedente, qualcosa che era sepolto nel subconscio.-
-Hai ragione, infatti quella ragazza era ipersensibile ed emotiva anche a scuola.-
-Ho letto dei saggi di psicologia e viene spiegato che un soggetto sano può avere, in tali circostanze, una forte emozione, ma una reazione come quella che tu mi hai descritta, ricalca lo schema di una crisi epilettica e non può che avere radici neurologiche o psicologiche.-
April, con il suo carattere gioviale e cordiale, era già pronta a parlare d’altro: -Dimmi Diego, è vero che hai parenti in Sicilia e conosci molte cose di quella terra? Io ne ho letto molte cose e mi ha sempre affascinata.-
-Cara April, e non l’hai mai vista! E’ un luogo che stimola la fantasia e lo spirito, con silenzi di posti incantati, antiche rocce vulcaniche dalle forme fantasiose, luce accecante di un sole particolare, profumi di erbe aromatiche!-
-Che meraviglia! E sai cosa sia il cous cous? L’hai mai mangiato? So che è un cibo di origine araba. Ma qui in America non l’ho mai mangiato.-
-Sì, si mangia in Tunisia, Algeria, Marocco e in Sicilia dove l’hanno portato gli Arabi. Lo mangiai anni addietro e mi piacque molto. Nei paesi arabi lo chiamano in vari modi: kseksou, cuscussù, sekso, burgul, tabouleh. Si può mangiare con il manzo, albicocche e mandorle; oppure con il pollo, patate e ceci. Ovvero esiste un’altra versione con agnello, salsa piccante e aglio. Però ricordo che ho preferito quello con il pesce, un pesce freschissimo e che sapeva di mare.-
Al pensiero dei tempi andati, ebbe un attacco di nostalgia e sospirò.
April, cambiando ancora argomento, gli riferì un antico precetto cinese.
-Sai, un vecchio adagio della Cina dice che il denaro può comprare un letto, ma non il sonno; può comprare un orologio, ma non il tempo; può comprare un libro, ma non la conoscenza; può pagare il dottore, ma non la salute; può comprare l’anima, ma non la vita; può comprare il sesso, ma non l’amore.-
Il suo interlocutore sorrise rivelando la simpatia che nutriva per quella ragazza colta e intelligente, affettuosa e sincera. Proprio quella che ci voleva per suo figlio.
-Ehilà fanciulla! Ma tu sai cosa sia veramente l’amore?-
-Beh sì, credo di sì. Credo sia ciò che proviamo reciprocamente io e Luigi.-
-Un poeta italiano dice: <Che è mai la vita? E’ l’ombra d’un sogno fuggente. La favola breve è finita. Il velo immortale è l’amore>. Cioè la vita potrebbe essere solo un sogno, ma l’amore è un sentimento che va oltre la morte. Invece fra voi giovani, tale sentimento è spesso di breve durata.-
-No Diego, non puoi fare di tutta un’erba un fascio. I giovani in fondo, non sono tutti uguali. Io spero che il nostro amore sia duraturo.-
-Beh sì, lo spero anch’io.- Nel dire ciò, vide illuminarsi gli occhi di April.


18
In quei giorni risuonava l’eco di una voce lontana. La voce che In Italia, stava iniziando il processo per il crac delle industrie del latte. I parenti di Diego gli telefonavano per tenerlo informato. Lui, trovandosi a letto forzatamente, poteva ricevere con comodo tutti quei ragguagli. Il che però valeva a fare crescere il suo malcontento, poiché il pensiero tornava ancora là, alle terre del nonno. Gli raccontavano delle proteste di tanti anziani che avevano investito la liquidazione e i risparmi e avevano visto svanire tutto nel nulla. Adesso gli stessi minacciavano di tagliare la testa a coloro che li avevano ridotti in miseria. Per esempio, un tale che aveva lavorato tutta la vita, aveva investito i suoi risparmi in azioni di quelle aziende e non aveva più nulla. Come lui migliaia di persone imbestialite per aver comprato bond, ritrovandosi poi con il sedere per terra. Tanti anziani avevano sperato di trascorrere una vecchiaia tranquilla e adesso invece erano sul lastrico. Si preannunciava come il primo processo di massa nella storia italiana. E tutto questo a partire dalle sue terre! Le terre del nonno, del padre, della propria gioventù! No, no. Non doveva più pensarci! Non dovevano informarlo. Era meglio che non ne sapesse più nulla. Altrimenti avrebbe rischiato di morirne con il fegato a pezzi! Per fortuna invece il suo organismo reagiva bene ai giorni di riposo, il bernoccolo non esisteva più e le costole gli dolevano solo un poco.

Finalmente poté tornare al lavoro. Il suo ufficio e i suoi dipendenti gli erano mancati. Rifletté che se una persona va avanti nella vita, è perché in realtà non sa stare ferma. E questa era una caratteristica della sua personalità: non riusciva a stare inattivo. Forse aveva un continuo bisogno di evadere, di ricominciare, di scommettere contro se stesso e di sfidarsi.
Quando rientrò negli uffici della sua organizzazione, gli impiegati lo salutarono contenti di rivederlo e gli diedero il bentornato. Un nuovo progetto lo attendeva e nel frattempo se n’era occupato Luigi. Si trattava di collaborare con un Italoamericano a portare avanti un allevamento di api. Il connazionale si chiamava Saverio ed era proprietario di un appezzamento di terra sul quale voleva avviare e realizzare l’apicoltura. Lo conobbe e fraternizzarono subito. Aveva bisogno di un intermediario per risolvere i suoi problemi in questo affare. Conosceva i sistemi utilizzati in Italia a tale scopo, ma era consapevole che lì in America, i procedimenti erano molto più avanzati ed efficienti. Dunque Diego doveva documentarsi su quanto riguardava quel settore e poi contattare i rivenditori specializzati in attrezzature per quel tipo di allevamento. Saverio era un tipo simpatico, chiacchierone e ghiotto di miele; asseriva di averne sempre mangiato molto. Gli aveva spiegato che all’interno di un alveare, la vita è regolata da norme e tempi precisi, rispettati dalle api per istinto sin dal giorno della nascita. Esse comunicano con un loro linguaggio che è quello della danza. Se ad alcune api si offre una ricca fonte di nutrimento, esse lo comunicano e tornano in quell’esatto punto portando con sé altre compagne.
Diego s’appassionò a quell’argomento e cominciò a studiarlo personalmente. Scoprì che le api hanno un ottimo senso dell’orientamento e sanno calcolare se avranno luce per il tempo necessario a volare dall’alveare al nettare e viceversa. La regina depone le uova nel favo. Dall’uovo può nascere un’ape operaia, una regina oppure un fuco, il maschio. Le operaie per comunicare, usano due tipi di danza: la danza del cerchio o quella dell’addome. Il pungiglione serve come arma di difesa, ma esse lo usano solo se infastidite. Si documentò ulteriormente e seppe che nell’apicoltura rustica si usava, come arnia, una porzione di tronco d’albero chiusa superiormente. Lì le api costruivano i favi attaccati alle pareti. Per prendere il miele, si asfissiavano le api e si distruggevano i favi. Nell’apicoltura razionale moderna, si usano arnie a favo mobile, che non richiedono l’apicidio né l’eliminazione dei favi. La produzione del miele dipende anche dalle condizioni ambientali ed è strettamente legata all’abbondanza di piante nettarifere poste entro un raggio di tre chilometri dall’arnia. Dopo che è stato tolto il miele dai favi, essi s’immergono in acqua calda per fare fondere la cera.
Queste nozioni Saverio le conosceva bene ed era ferrato sull’argomento. Quindi ne discuteva con Diego e lo faceva appassionare sempre più, dandogli ulteriori informazioni sulle varie qualità di miele. Secondo la predominanza della specie di fiori, le api producono vari tipi di miele dai diversi aromi. Esiste dunque il miele di prato, di bosco, di brughiera, di monte, di acacia, di tiglio. L’appezzamento di terra di Saverio era molto ricco di prati, erba e fiori selvatici, dunque si sarebbe prestato a un buon allevamento. Nel giro di alcuni mesi, vi fu costruito un grande magazzino con le attrezzature indispensabili e furono impiantati gli elementi necessari per l’apicoltura. Venne anche costruita una casetta dove il proprietario e la sua famiglia avrebbero potuto trascorrere alcuni periodi dell’anno. Tutto procedeva per il meglio e l’attività era stata avviata bene. Saverio era contento e aveva comprato dell’altro terreno adiacente al suo. Lì, aveva fatto costruire dei gazebo di cemento e una grande cucina. Aveva infatti anche la passione per l’arte culinaria che condivideva con la moglie. Il denaro non gli mancava e studiava sempre come meglio investirlo. Dunque s’era fatto venire l’idea di ospitare delle persone per i ricevimenti di nozze. Il luogo, circondato di verde e di fiori, si prestava a tale scopo. Il progetto si prospettava piacevole e gli faceva unire l’utile al dilettevole. In occasione dei trattenimenti, avrebbe assoldato cuochi e camerieri.
Così una mattina, erano attesi molti invitati per un matrimonio. Saverio stava montando un rubinetto in una fontanella. La moglie era impegnata in cucina negli ultimi preparativi per il pranzo nuziale. Il figliolo era in casa a rivedere i conti di cassa. Era entrata un’automobile nella proprietà. Ne era sceso un individuo, s’era avvicinato a Saverio e gli aveva sparato a bruciapelo. Poi era risalito in auto ed era fuggito. Erano accorsi tutti, ma il poveretto era già morto. Poco dopo era arrivata la Polizia e successivamente era arrivato anche il corteo degli sposi. Gli invitati non avevano capito niente di ciò che era accaduto. Gli inquirenti avevano fatto i rilievi sul luogo dell’omicidio mentre nelle vicinanze, la gente festeggiava. Era stato sparato un solo colpo mortale e il figlio era accorso giusto in tempo per vedere l’auto fuggire via. L’omicida doveva essere un professionista e aveva agito con la massima determinazione. Ma perché?
Apprendendo di quella morte improvvisa e violenta, Diego fu molto dispiaciuto. Aveva simpatizzato con Saverio e lo considerava un tipo bonario e altruista. Venne invece a conoscenza di tante verità nascoste e di particolari inediti che le malelingue non tardarono a mettere in giro. Per esempio, si disse che la vittima si era arricchita ai danni della povera gente prestando denaro a usura. Si disse che il terreno dell’allevamento di api era maledetto, poiché vi sorgeva anticamente un cimitero messicano e Saverio ne aveva fatto distruggere i resti. Raccontarono inoltre che molte persone lo odiavano perché si fingeva filantropo ed era invece avaro, egoista e meschino. L’apparenza inganna, pensava Diego e non si riesce mai a conoscere veramente il prossimo. Avrebbe scommesso a cuor leggero sull’affidabilità del connazionale e invece si doveva ricredere.
Il figlio di Saverio gli raccontò d’altra parte che il padre era quello che in America viene definito un self made man , cioè era riuscito a farsi da sé, certo anche calpestando molti piedi, ma non era vero che avesse fatto lo strozzino. La madre poi era una santa donna e si era dedicata alle opere di carità e assistenza ai poveri. Risparmiava su tutto, non si comprava abiti e accessori e portava i suoi risparmi negli orfanotrofi e nei centri di assistenza. Una volta aveva venduto la propria pelliccia per portare da mangiare a una vecchia malata e poverissima. Da quel momento l’aveva fatto sempre. Quello che metteva da parte, lo portava ai poveri e ai senza tetto.
Il cuore umano è un mistero profondo! rifletteva Diego. I Santi sono in mezzo a noi e non ce ne accorgiamo. La generosità delle persone può sfiorare l’inverosimile e spesso pensiamo di non riuscire a fare altrettanto, senza renderci conto di poter dare di più. Allora ci consoliamo dicendo che quelle persone sono eccezionali e non sappiamo di potere essere uguali a loro. Bisogna impegnarsi. Il dare agli altri è qualcosa che nasce con noi, che è dentro di noi, solo che impariamo a metterlo a tacere poiché conviene seguire l’istinto dell’egoismo e dell’egocentrismo.


19
Ricorreva Alloween e in alcune strade di San Francisco avevano sostituito i lampioni con zucche decorate. Si vedevano gironzolare bambini e ragazzi travestiti da mostri e da streghe. Fuori dalle case avevano esposto pupazzi e zucche fluorescenti. I più fantasiosi avevano realizzato dei fantocci a forma di zombi, scheletri impiccati agli alberi e pietre tombali in vetroresina. La coreografia generale e le precedenti emozioni avevano scosso e influenzato Diego. Una notte, s’era coricato stanchissimo e aveva fatto un sogno strano e particolare. Vedeva qualcuno che stava preparando il corpo di Saverio per la sepoltura. Lo pulivano, lo componevano e lo vestivano di tutto punto. Lo deponevano nella bara e lo portavano in chiesa. Poi sognò che Luigi si travestiva e indossava gli abiti smessi del defunto. Si metteva una parrucca e si distendeva sul letto del morto, aggiustandosi così bene da sembrare proprio il cadavere di Saverio. Entrarono delle persone e urlarono terrorizzate. Scapparono via gridando che c’era un fantasma. La moglie e il figlio si precipitarono e rimasero sconvolti. Mandarono a chiamare il prete, convinti che si trattasse di un maleficio.
Diego nel sogno, vide arrivare il parroco che cominciò a spruzzare la salma con l’acqua benedetta. Il morto non appena bagnato, si agitò e balzò dal letto. Ma il fatto strano era che si trattava proprio di Saverio vivo e vegeto e non più di Luigi. Si muoveva come un automa e teneva in una mano una zucca gialla. Avanzava verso l’allevamento di api e si dirigeva là dove c’era il magazzino pieno di arnie. L’ingresso era sbarrato dalla presenza di un mostro. La visione cominciava a diventare un incubo. Durante il sogno, Diego si agitava e si rigirava nel letto in preda a sudori freddi. Vedeva Saverio che con una spada tagliante tagliava la testa del mostro. Dal corpo afflosciato esalava un nauseante odore di carogna. Il capo mozzato rotolava inzuppando la terra di sangue vischioso. Dal sangue veniva fuori un bambino e quel bambino era Luigi. Poi si precipitava ad aprire le arnie e a liberare tutte le api. A questo punto, innumerevoli sciami volavano a formare grosse nubi e si precipitavano verso la moglie e il figlio di Saverio. Li assalivano e quando s’allontanarono, quelli erano talmente gonfi che esplosero con un botto assordante.
Si svegliò di soprassalto ansante e trafelato. Dovette alzarsi per calmarsi e sciacquarsi il viso grondante di sudore. Era già l’alba e si distese su un divano del soggiorno. Lo sguardo gli cadde su una foto di molti anni prima. I ricordi! Ancora ricordi! Lo ritraeva bambino, nelle terre del nonno. Sentì ritornare quelle sensazioni e ricordò ancora una volta quel felice passato. Si riaddormentò e riprese a sognare. Gli sembrò di immergersi nel silenzio della campagna durante la calura estiva. Quel silenzio aveva delle proprie sonorità ed era interrotto solo dal frinire delle cicale. Vi erano colori e odori che non aveva mai più visto e sentito. Vi era il verde argenteo dei pioppi e il verde acceso dei vigneti colmi d’uva, il profumo aspro della stoppia che pervadeva l’aria e l’odore dei campi bruciati. A quei tempi, Diego raggiungeva le spiagge della riviera adriatica con la madre. Lungo il litorale pieno di stabilimenti, l’ambiente era chiassoso. Quando il sole tramontava, ogni cosa appariva meravigliosa; si ballava alla luce fioca delle lampade che illuminavano gli arenili. E il mare era lì presente a vegliare le coste e a far sognare i ragazzi alle prese con i loro primi amori.
Un altro sogno gli attraversò la mente. Si rivide a dieci anni quando il nonno gli aveva regalato una collanina d’oro. Era un oggetto bellissimo e la sfoggiava con orgoglio. Ma poi aveva conosciuto Ernesto, un ragazzino povero e gliel’aveva donata. Aveva desiderato fare amicizia con lui perché era un bambino singolare e intelligente. Un giorno gli era andato vicino mentre si recavano a scuola. Non si erano detti una parola, ma da quel giorno erano andati insieme a correre e a giocare. Diego era stato felice e si era sentito il cuore colmo di euforia. Ernesto aveva riempito le sue giornate. Quando il nonno si era accorto che non portava più la collanina, si era meravigliato e aveva chiesto che ne avesse fatto. Aveva confessato di averla regalata e aveva notato disappunto e delusione sul volto del vecchio.
Un giorno gli avevano detto che Ernesto era molto malato e che sarebbe morto. Aveva pianto ed era rimasto incollato al suo letto. Lo faceva giocare con le figurine e i soldatini. Lentamente vide spegnersi la vita in quegli occhi neri che gli sorridevano sempre. Poi, quando capì che era morto, aveva provato un dolore atroce.
Ernesto era orfano di padre e la sua mamma non riusciva a raggranellare il denaro sufficiente per arrivare alla fine del mese. Una volta il bambino gli aveva detto: - Sei fortunato ad avere il papà. Deve essere bello essere puniti dal proprio padre, vederlo tornare a casa con i soldi per la famiglia.-
-Mio padre non mi punisce mai,- aveva risposto stupidamente.
-Non gli importa di te?- aveva domandato Ernesto. -Secondo me, noi ragazzi abbiamo bisogno dei rimproveri, di essere guidati. Un padre dovrebbe fare capire quando sbagliamo. Un padre è un amico cui rivolgersi quando abbiamo un problema.-
Aveva compreso quanto sentisse la mancanza della figura paterna. Quando Ernesto piangeva di nascosto, soffriva per la sua condizione di orfano. Nei pomeriggi estivi, spesso avevano esplorato i poderi attorno alle campagne del nonno. Si graffiavano gambe e braccia tra rovi e cespugli. Scoprivano piccoli stagni, cascatelle, massi di granito su cui salivano per ammirare i monti e le colline lontane. Se ne andavano per chilometri e chilometri e, strada facendo, mangiavano nocciole, more di siepe, corbezzole. Quando erano stanchi del lungo pellegrinare, si sdraiavano sul muschio a riposare. Venivano storditi dall’odore dell’erba e del caprifoglio.
Diego rivide quei luoghi nel sogno come se li avesse lasciati il giorno precedente, e sa che li amerà sempre come un amante tradito e ingannato. Una parte di se stesso è rimasta là e niente e nessuno potrà mai sradicarla.

20
Fu il telefono a svegliarlo di soprassalto. Si trovava ancora disteso sul divano del soggiorno e la casa era immersa nel silenzio. Udì una voce femminile e non la riconobbe.
-Sono tua cugina Caterina, ciao Diego. Mi trovo qui a San Francisco e ho subito pensato a te.-
-Chi? Caterina? Ah! Ciao. Che piacere! Benvenuta in America!-
Era figlia di una cugina e le aveva fatto da padrino di battesimo. Poi l’aveva vista crescere e divenire una ragazza assai graziosa, magra, slanciata, con gli occhi verde e i capelli tagliati in modo da farla sembrare un paggio medioevale.
-Ho lasciato l’Italia a causa del crac delle aziende del latte. Ma vorrei venire a trovarti e ti spiegherò meglio.-
Restò un attimo in silenzio, poi: - Anche tu! Okay. Ti aspetto,- e le fornì il suo indirizzo.
Dopo più di un’ora, vide fermarsi un taxi davanti alla villetta e ne scese Caterina. L’accolse con affetto rammaricandosi che Rachele e Luigi fossero già al lavoro.
-Dunque anche tu sei stata vittima del famoso crac. Mi dispiace Caterina, ma ti vedo comunque in forma.-
-Per me è stato peggio perché avevo investito del denaro vinto al Totocalcio. Erano molti soldi e mi ero dimessa dal lavoro. Non so se ricordi che insegnavo spagnolo in una scuola.-
-Davvero avevi vinto al Totocalcio?-
-Sì, ma il direttore della mia banca mi ha consigliato d’investire nelle azioni delle industrie del latte. In poche parole, sono rimasta con un pugno di mosche, e per di più ho perso il lavoro.-
-Accipicchia che guaio! E’ incredibile! Devi aver attraversato momenti orribili. Ma non hai cercato di fare nulla? Non ti sei costituita anche tu parte civile in quella causa colossale?-
-Sì, l’ho fatto, ma tutti dicono che non caveremo un ragno dal buco e che non rivedremo mai più i nostri soldi.-
-Ma ti sei rivolta a bravi avvocati?-
-Ho fatto di tutto Diego, proprio di tutto! Pensa che mi sono recata persino al santuario di una Santa per chiedere la grazia di tornare in possesso del mio denaro. Anzi proprio in quell’occasione ho vissuto esperienze indimenticabili.-
-Sul serio? Dai, racconta.-
-Mi sono recata in un paese noto per un’illustre Santa che dispensa miracoli e la cui casa è meta del pellegrinaggio di molti devoti. La via che conduce alla casa della Santa è pericolosamente ripida e in discesa. Ricordo che era talmente scoscesa che procedetti camminando di fianco. Quando vi arrivai, ero in difficoltà e per poco non rischiai di cadere. Un signore si avvicinò a sorreggermi e cominciò a narrare le disgrazie causate da quella viuzza costruita a fil di piombo.
“ Cara signorina,- disse - questa strada è dannatissima! Pensi che alcuni visitatori anziani non riescono a fermarsi e spiccano una corsa giù per la contrada che quasi sempre si conclude con una testata contro il muro. Io pure sono anziano e l’altro giorno, non potei arrestarmi e precipitai.” Devo dire che, nonostante i miei guai, quella testimonianza aveva risvegliato il mio senso dell’umorismo. Nel frattempo vedevo un altro signore, male in arnese, che scuoteva la testa e pareva seriamente preoccupato.
“I medici continuano a darmi delle pastiglie calmanti,- esordì - ma a volte penso di essere stregato. Sento degli strani gorgoglii dentro lo stomaco e i muscoli dell’addome cominciano a ballare, le gambe mi tremano e l’eruttazione diviene rumorosa. Dopo, inizio a emettere rumori anche dal di sotto e nello stesso tempo, sbatto le ciglia quasi al ritmo degli sfoghi anali.” Il mio senso dell’umorismo era messo a dura prova e avevo quasi dimenticato tutti i milioni di euro dissolti al vento.
“Quando mi prendono queste crisi,- continuò- bisogna che stia coricato altrimenti i rumori anali si trasformano in vere e proprie scariche diarroiche. Ma durante questi attacchi, la mia virilità si accentua e il mio organo s’irrigidisce. Invece quando il mio stomaco è calmo, non sento il bisogno dell’atto sessuale. Infatti quando sono a letto con mia moglie, mi viene una grande malinconia, e lei non mi capisce. Dice che sono matto e che devo andare in manicomio. Mia moglie pesa cento chili e le è spuntata la barba. Ormai la mia ultima speranza è una grazia della Santa. Che la faccia dimagrire e le faccia cadere i peli dal viso!”
Diego cominciò a ridere e non riusciva più a fermarsi, dimentico dei guai di Caterina. Si era reso conto che la ragazza non aveva perso il gusto della vita e la voglia di lottare e andare avanti. Dopo essersi ricomposto dal gran ridere, le chiese: -Sei venuta a San Francisco per cercare lavoro e ricominciare una nuova vita, vero?-
-Sì Diego e spero che mi aiuterai.-
-D’accordo. Al più presto ti farò sapere qualcosa.-
In auto avviandosi al lavoro, cominciò a riflettere di cosa Caterina avrebbe potuto occuparsi. L’avrebbe potuta assumere nella sua organizzazione, ma in quel momento il personale era al completo. Improvvisamente si ricordò di una proposta di lavoro che aveva letto qualche tempo prima. Cercavano, in Messico, un’insegnante d’inglese che parlasse lo spagnolo. In ufficio rilesse la richiesta e si accorse che proveniva dallo stato di Oaxaca dove un ricco possidente aveva bisogno di un’istitutrice per la sua figliola. Ritenne conveniente prospettare l’offerta alla cugina.
Quando Caterina seppe di quella possibilità, si disse subito disposta a partire per il Messico. Poteva insegnare benissimo l’inglese a una bambina di lingua spagnola.
Diego si mise in contatto con il possidente messicano e prese ulteriori informazioni. Seppe che la figlia aveva sette anni e non aveva madre, era menomata e aveva bisogno di continua assistenza. La retribuzione per l’insegnante sarebbe stata interessante.

Caterina partì alla volta del Messico e in breve raggiunse lo stato di Oaxaca, ricco di bellezze naturali, con un territorio dalla natura lussureggiante in cui confluiscono varie tradizioni popolari e dove si trovano splendide vestigia dell’epoca preispanica e coloniale. Ne fu affascinata e fu contenta di aver accettato quell’incarico. Era arrivata nella residenza di Germano Fujas, il suo datore di lavoro, e stava attendendo d’essere ricevuta. Nel frattempo s’era affacciata sulla terrazza. Il suo sguardo vagava tra le rocce enormi che si ergevano sulla spiaggia, e poi fino al promontorio coperto di fiori selvaggi e palme nane. Si sentì incantata da quel paesaggio, dal suo colore, dal suo cielo azzurro e oro. Il padrone di casa la ricevette e le parve uno degli uomini più belli che avesse mai visto. Portava degli stivali di cuoio che gli modellavano le gambe muscolose e un paio di pantaloni da cavallo. Una camicia bianca copriva il petto largo e le spalle possenti. La sua fisionomia rivelava un carattere imperioso e una personalità magnetica. Aveva gli occhi dorati e un portamento nobile. Inutile dire che Caterina ne fu attratta al primo sguardo.
L’accolse in modo brusco: -Allora signorina, si sente davvero in grado d’assistere e insegnare ad una bimba inferma e claudicante? La mia piccola Iberia è stata malata, ma adesso è tempo che ricominci a studiare. Innanzitutto però avrà bisogno di molte cure e molta attenzione.-
-Sì signore, credo d’essere in grado di farlo. Mi è sempre piaciuto insegnare e lo farò con piacere per sua figlia.-
Non si era fatta scoraggiare da quel tono aggressivo.
-Bene. Resterà con noi per un periodo di prova. Tra breve conoscerà la sua allieva.- Se ne andò con passo altero e Caterina pensò che quell’uomo avesse molta classe. Appariva orgoglioso, sicuro di sé. Un domestico l’accompagnò attraverso una galleria in stile barocco che portava a un patio con molte piante rampicanti. Una fontana rivestita di piastrelle colorate brillava al sole. C’erano delle poltroncine di ferro dipinte di bianco. Su una di queste era seduta una bella bambina bruna, con i capelli ricciuti e gli occhi enormi.
-Ciao. Allora tu resterai con me?- La voce infantile le giunse attraverso il giardino, più forte del sussurro della fontana e del canto degli uccelli.
-Ciao,- rispose Caterina - sono qui per restare con te e sono molto felice di conoscerti.-
Iberia la guardò con insistenza.
-Non ho mai visto una persona con gli occhi verdi come i tuoi. Di solito ce l’hanno i gatti. Credo che tu faresti le fusa se qualcuno ti accarezzasse.-
Da quelle semplici osservazioni, intuì che la bimba aveva uno spiccato spirito d’osservazione e una immaginazione fervida.
-Ti piacerebbe provare?- disse tendendo un braccio. -Accarezzami e vedrai da te.-
Fissandola negli occhi, Iberia le passò lievemente una mano sul braccio. Caterina chinò la testa verso di lei e si mise a fare le fusa. Improvvisamente la piccola scoppiò a ridere e la sua mano cercò quella di lei.
-Come ti chiami? Io mi chiamo Iberia Fujas e ho sette anni.-
-Io mi chiamo Caterina e ne ho trentadue. Sono Italiana e insegno lingua spagnola e inglese.-
-Non sei tanto male in fondo. Parli lo spagnolo come una straniera. Sei magra e devi mangiare di più. Starai meglio se resterai qui con noi.-
Sentì d’amare subito quella ragazzina tutta occhi, dolce e sdegnosa nello stesso tempo. Aveva un piede deforme e accanto alla sua poltroncina era appoggiata una stampella.
-E’ stato un incidente?- chiese indicando il piede.
-No, sono nata così. Si tratta di focomelia, cioè una malformazione congenita.-
-Mi spiace Iberia; deve essere brutto non poter correre.-
-Non ti dispiacere perché io penso di essere fortunata ad avere un solo piede deforme e non tutti e due.-
-E la tua mamma è morta?-
-No e con questo finiamo l’interrogatorio. Mia madre se n’è andata perché non sopportava di vedermi così, cioè che non potessi camminare normalmente. Ora non dire di nuovo che ti dispiace, tanto io la ricordo appena quella lì.-
L’intelligenza normalmente si estrinseca nella capacità a risolvere problemi. Iberia pareva aver risolto tutti i suoi; la sagacia e l’acume si rivelavano dalla profondità del suo sguardo e dal tono tagliente e deciso della voce argentina. Ma in ogni caso, una presenza femminile doveva mancarle.
Apparve il padre e chiese alla bambina se avesse letto qualcosa di recente.
Lei rispose che si era appassionata alle avventure di Tarzan.
-Leggo le storie di un uomo che viveva nella foresta. Lui conosceva il linguaggio di tutti gli animali ed era coraggioso come te, papà.-
-Brava Iberia. Leggi ciò che ti piace. Quando sarà possibile tornerai a scuola.-
Tacquero e Caterina guardò Germano. Aveva sicuramente fatto tutto il possibile per fare operare e guarire la bambina. Per un uomo come lui doveva essere un tormento vederla così, ma aveva saputo insegnare alla piccola l’autoaccettazione. Caterina la trovava adorabile anche se non avrebbe mai avuto il fisico perfetto del padre. Avrebbe voluto sapere se lui avesse amato la madre di quella bambina sensibile.
Si ritirò nella sua camera dove le pareti erano foderate di damasco color avorio. C’erano mobili scolpiti in legno scuro e il soffitto era color crema e oro. In un angolo della stanza, si trovava un mobiletto con scaffali pieni di una collezione di porcellane. Il letto era in stile coloniale, rivestito da una coperta di pizzo.
Squillò il telefonino e quando rispose, udì la voce di Diego.
-Ehilà cuginetta! Come va? Tutto a posto?-
-Ciao Diego. Sì grazie, tutto a posto. Qui il posto è bellissimo, ma a quanto pare dovrò fare un periodo di prova. La mia allieva è splendida. Forse le dovrò fare pure da bambinaia. Il padre ha detto che tornerà a scuola.-
- Un’insegnante può stare comunque accanto a una bambina, specie se è senza madre. Mi fa piacere che ti trovi bene. Per qualsiasi necessità telefonami.-
-Sì, grazie di tutto Diego. Ciao. Salutami Rachele e Luigi.-
Il giorno seguente, Germano condusse lei e la piccola in jeep a visitare i possedimenti. Presero una strada in salita e Caterina vide le scogliere scoscese a strapiombo sulla sabbia. Strane piante intorno e foglie che cadevano dagli alberi. Man mano che salivano, la vegetazione diveniva più fitta. Poi arrivarono davanti un recinto di pietra e ai ruderi di un vecchia costruzione. Si sentiva il canto degli uccelli e lontano il mare brillava. Germano spiegò che erano le vestigia di una fazenda di epoca coloniale. Le api svolazzavano tra i fiori ricchi di polline.
-Quanti fiori!- esclamò Caterina.
-Ecco qui,- disse lui e gliene porse uno simile a un’orchidea. Non aveva alcun profumo, ma era stupendo. Ne rimase affascinata e pensò di conservarlo come ricordo. Nei giorni seguenti, si accorse che si stava invaghendo del suo datore di lavoro e pensò che raramente aveva provato a farsi bella. Da quel momento lo fece.
Un pomeriggio si trovava nella biblioteca, persa nelle sue fantasticherie, quando la porta si aprì ed entrò il padrone di casa. Era vestito con un paio di pantaloni e una maglietta che gli mettevano in risalto la carnagione bruna. Caterina guardandolo, capì di esserne ormai perdutamente innamorata.
-Mi è venuta voglia di una tazza di caffè e ho pensato di berla con lei,- disse lui con fare risoluto.
-Sì, grazie l’accetto.-
Negli occhi dorati vi era una luce ironica. -L’onestà di una donna disarma un uomo più dell’esperienza,- affermò.
-Io non voglio disarmarla; perché mi dice questo?-
-Credo invece che voglia disarmarmi Caterina.-
-Perché, cosa ho fatto?-
-Stia attenta, non cerchi di giocare con il fuoco.-
-Questo significa che non posso chiedere nulla?-
-Lei è come un gattino spaventato e non è mia abitudine fermarmi a raccogliere i gattini abbandonati.-
-E’ stato gentile a darmi lavoro, ma se vuole me ne andrò.-
- Caterina dovrei prenderla per la collottola e scuoterla.- Così dicendo, toccò con le dita la nuca di lei. -Sa qual è la vera differenza tra uomo e donna? Che la lotta tra due donne è sempre penosa, mentre un uomo e una donna non possono mai essere nemici perché posso sempre essere amanti.-
Le dita scivolarono lungo il collo in una carezza gentile. Caterina, sotto la maschera di durezza, scorgeva la capacità di gesti appassionati e l’esistenza di un cuore generoso. Lo guardava in silenzio e lui continuò: -Ha la pelle di un candore eccezionale, la mia sembra nera vicino alla sua.-
-Quando mi espongo al sole infatti, mi scotto sempre.-
-La mia piccola Iberia mi preoccupa perché mi accorgo che non ha il mio carattere forte. Eppure dovrà affrontare una vita più incerta della mia. Devo assentarmi spesso per affari e la bambina ha bisogno di una donna che la ami e si prenda cura di lei.-
-Potrò farlo io, non dubiti. Mi prenderò cura di Iberia.-
-Ha mai mangiato le banane rosate, Caterina?- disse cambiando discorso, -gliene farò assaggiare qualcuna.-
Entrò un domestico con il caffè. Dopo averlo bevuto, Germano si affacciò ad un balcone: -Venga a vedere il tramonto sul mare.-
Le ombre si allungavano e le onde avevano i colori della giada e del rubino. Caterina inspirò l’aria carica di profumi e ammirò l’immensità del paesaggio. Guardò il cielo e ammutolì. Si stava riempiendo di colori rosso, oro, viola pallido.
-E’ bellissimo,- sussurrò.
-Non finisce mai di incantarmi e chissà che non abbia trovato un’anima capace d’intendermi.-
-Perché, finora non l’ha mai trovata?-
-La madre di Iberia era la mia compagna e io l’amavo o credevo di amarla. Poi nacque la bimba ed era focomelica. Quella donna non sopportò di avere una figlia deforme e non amava questo paese. Se ne ritornò da dove era venuta.-
Ecco il perché di tanto rancore! pensava Caterina. Doveva averla amata e poi odiata.
-Domani dovrò partire. Si sente in grado di restare sola con Iberia?-
-Sì, senz’altro. E poi ci sono anche i domestici. Non si preoccupi.-
-Ho fiducia in lei, altrimenti non mi allontanerei. Ma so che mia figlia è in buone mani e contenta di restare con lei.-
Rimase sola con la bambina e non la perdeva mai di vista. Iberia parlò delle sue esperienze scolastiche e le disse che i compagni l’emarginavano.
-Tu sei una bambina intelligente- ribatté lei -e capirai lentamente che puoi essere loro utile, perché si abitueranno a te e alla tua menomazione. Diventerete amici e studierete insieme. E’ normale che all’inizio quei ragazzi ti abbiano allontanata. Siete piccoli e loro non si rendevano conto di ciò che facevano. Lo facevano istintivamente e tu ci rimanevi male, vero?-
Oh! Non sai quanto ho pianto! Forse anche per questo mi sono ammalata e non sono più voluta andare a scuola.-
-Ci tornerai piccola, e io ti aiuterò.-
Andarono a passeggiare vicino al mare. Iberia zoppicava, ma insieme a Caterina era felice.
Lei si scottò al sole del Messico e divenne tutta rossa. I suoi occhi verdi spiccavano di più nell’abbronzatura del volto.
Tornò Germano e sua figlia gli raccontò entusiasta tutte le cose che aveva fatto e imparato con la sua nuova insegnante. Quella sera lui le espresse la volontà che restasse per occuparsi sempre di Iberia. Parlava in tono che non ammetteva repliche e non immaginava quanto battesse a precipizio il cuore di Caterina.
La mattina dopo, mentre ancora la bambina dormiva, avevano fatto colazione insieme. Improvvisamente lui chinò la testa. Stupita, sentì che la stava baciando sulla bocca. Alla sorpresa seguì una sensazione bruciante che la penetrò sino alle ossa. Lo guardò negli occhi e senza capire ciò che stava succedendo, si girò e scappò nella sua camera. Era scossa e confusa, ma una gioia profonda la pervadeva. Si mise a piangere e non sapeva perché. Poi uscì fuori dalla tenuta per allontanarsi e per restare sola con i suoi pensieri. Cominciò ad addentrarsi là dove gli alberi erano più fitti e risuonava un coro di uccelli e il ronzio degli insetti. Camminava già da mezz’ora, quando sentì il rumore della pioggia sulle foglie. Rabbrividì e goccioloni le caddero sulle braccia nude. Si mise a correre, mentre il rumore dell’acqua aumentava. Un lampo brillò nel cielo e il tuono che seguì fu assordante. Che stupida che era stata! Sarebbe tornata inzuppata! Infatti la pioggia cadeva fortissima, le appiccicava addosso il vestito e vedeva male. A capo chino fuggiva e i cespugli le graffiavano le gambe.
-Aaaah!- Aveva urtato contro qualcosa, forse un tronco d’albero. Ma le sue mani toccarono un corpo. Quel corpo muscoloso non poteva essere che di Germano.
-Smetti di tremare Caterina! Sono io!-
-Germano..… è lei?-
Si aggrappò a lui e nascose il viso sulla sua spalla.
-Lo sai che ti amo, vero piccola pazza?- Le carezzava i capelli bagnati e a Caterina pareva di sognare. La pioggia si abbatteva su di loro, ma pareva non ci facessero caso. Avevano scoperto di amarsi e di voler restare per sempre insieme. Caterina si sentiva felice come mai nella sua vita. Non pensava più né ai soldi andati in fumo, né all’Italia. Anzi ringraziava il crac dell’industrie del latte per aver fatto cambiare il corso della sua esistenza. Senza quell’evento increscioso, non sarebbe mai arrivata in America e soprattutto non avrebbe mai conosciuto Germano. Con lui sarebbe stata più felice di quanto non avesse mai potuto sperare.
Telefonò a Diego per comunicargli la nuova piega che aveva preso la sua vita. Il cugino non credeva alle proprie orecchie e fu felice di tutto.
-Senza il tuo aiuto non avrei mai conosciuto Germano. Ti ringrazio infinitamente. Mi hai fatto conoscere il vero amore, quello che rende euforici. Mi ha chiesto di sposarlo e di diventare la mamma di sua figlia. La piccola è impazzita di gioia.-
Diego rifletté, in seguito, sulla forza dell’amore. Induce al perdono e alla tolleranza. Infatti Caterina era già pronta a perdonare chi le aveva fatto perdere tutto il proprio denaro. Il vero amore fa approdare al perdono e sua cugina vi era sicuramente giunta in forza di quel sentimento nuovo che l’aveva investita. Aveva capito che la vita le aveva sottratto una grossa fortuna per offrirgliene un’altra di gran lunga più importante. Aveva visto improvvisamente aprirsi un nuovo orizzonte che coinvolgeva la sua esistenza e il suo cuore.

21
Rachele aveva ricevuto notizie dall’Italia. Riguardavano una ex fidanzata di Diego. Si era sposata e ora suo figlio era stato accusato di omicidio. Infatti era stato trovato con l’arma che aveva ucciso l’amministratore della fabbrica dove lavorava.
Precedentemente era stato impiegato presso le famigerate aziende del latte come dirigente, ma dopo il fallimento, era rimasto disoccupato ed era caduto in depressione. Aveva accettato di fare l’operaio in quella fabbrica dove poi, disperato, aveva finito col rubare macchiandosi di un delitto.
Rachele aveva saputo pure che una nota attrice italiana era stata truffata dalle banche e aveva perso ingenti somme nel famoso crac finanziario. Decise di non raccontare più niente a Diego per non fare aumentare la sua rabbia. Ma ci pensarono i parenti a raccontargli, telefonicamente, di una trasmissione televisiva dove erano stati intervistati i responsabili del disastro economico. Erano tutti a piede libero e presumibilmente ancora ricchi e benestanti, mentre tanta gente era rimasta senza un quattrino. Nell’intervista, rispondevano come se la cosa non li riguardasse e parlavano di finanza come faccenda appartenente ad una sfera metafisica e superiore. Interrogati a lungo dai giornalisti, non si erano scomposti e non avevano mostrato il minimo segno di cordoglio per ciò che era accaduto.
Diego aveva imparato a non arrabbiarsi più per quella faccenda e quelle notizie. Il latte! pensava. Ecco perché tante persone sono divenute intolleranti al lattosio! Molti neonati restano sani fintanto che assumono il latte materno. Poi quando cominciano a bere dell’altro latte, si ammalano. Doveva essere il latte rubato che procurava acidità! Ah ah ah ah, rideva fra sé.
Quei lestofanti truffatori non sarebbero vissuti bene. Perché, come diceva Abramo Lincoln, si può imbrogliare la gente alcune volte, o parte della gente tutte le volte, ma non si può imbrogliare tutta la gente tutte le volte. Quindi nessuno li avrebbe più accolti o li avrebbe più voluti frequentare.
Una notte successiva, Diego fece un altro dei suoi sogni stranissimi. Gli sembrava di udire dall’alto le stelle che gli parlavano e dicevano: -Ricoooordaaaa, non devi badare all'opinione della gente. Gli altri giudicano dalle apparenze e non dai fatti. Ti amano quando sei generoso e ti evitano quando non lo sei; allora perdonali perché non sono in grado di capire chi sei. Ricoooordaaaa, sii tutto ciò che vuoi essere. Sii libero e perdona. Non aver paura di essere libero! Ricoooordaaaa, le persone hanno paura di essere se stesse perché temono il giudizio degli altri. Succede perché non si amano abbastanza.-
Si svegliò di soprassalto e cominciò a riflettere sul significato di quel sogno. Perché aveva sognato le stelle? Forse rappresentavano la sua coscienza? Dunque la coscienza gli diceva di essere sempre se stesso, cioè di essere coerente. Se aveva provato odio per le terre rubate e se continuava a nutrire astio, adesso era tempo di dimenticare. Doveva imparare la grande arma dell’oblio e non pensarci più. Doveva continuare ad andare avanti da persona libera che viveva in un paese libero. Un paese ricco di contraddizioni, ma libero. I parenti, gli amici o coloro che si definivano tali, continuavano a telefonargli dall’Italia e a parlargli sempre delle stesse cose, quasi volessero godere della sua reazione. D’ora in poi doveva far sapere che non era più interessato a tutta quella faccenda.

Qualche giorno dopo, Diego incontrò un amico di Luigi che aveva visto crescere e giocare insieme al figlio. Questi gli raccontò che faceva il cantautore. Cantava per talune radio private e raggranellava qualche soldo.
-Sai, tramite questo mestiere ho scoperto la possibilità di comunicare con l'aldilà. Non si sa bene se con i defunti, con angeli o con altre forme di vita. Io personalmente mi sono imbattuto in questo fenomeno e devo dire che all'inizio ho avuto paura.-
-Ma va’, finiscila. Non ci crederò mai.-
-E’ vero! Durante la registrazione dei miei pezzi, ho avuto delle interferenze che, sia per il contenuto dei messaggi, sia per il modo in cui avveniva la registrazione delle voci, credo non si trattasse di una allucinazione.-
-Ma che interferenze! Non raccontare panzane!-
-Vorrei farti ascoltare qualche voce da me registrata per farti appurare il fenomeno. Sono in buona fede, non scherzo. Se vuoi provare, devi usare un registratore, anche portatile, e registrare. Ti consiglio di non farlo a lungo, ma per circa dieci minuti a microfono aperto. Poi, prova ad ascoltare con attenzione, senza suggestionarti troppo. Ci vuole buon udito.
I messaggi potranno essere molto deboli, ma ricordati di mantenere il giusto distacco emotivo in quanto non si sa chi parli, come faccia e perché.-
-Io non lo farò mai. Ragazzo mio, non ci credo. Quando lo racconterò a Luigi, si farà le più matte risate.-
-Parlerò con tuo figlio e gli dirò che le entità hanno dimostrato di poter cambiare quanto detto dai presenti durante la registrazione. E’ incredibile, ma è vero! Quindi potresti sentire la tua voce dire cose che non hai detto. Inoltre sembra che si servano proprio di rumori e voci già esistenti nell'aria e le possano modificare a loro piacimento. Alcune comunicazioni potranno essere anche in lingue straniere.-
-Ah ah ah ah. Sì, magari in lingua aramaica. Ah ah ah ah.-
Si erano salutati e Diego aveva continuato a ostentare il suo scetticismo.
Un mattino, mentre si trovava in ufficio, sentì l’impulso di telefonare a Rachele e, appena ebbe sfiorato il telefono, vide con gli occhi della mente una scena allucinante: due automobili urtavano violentemente e su una di esse vi erano Luigi e la moglie. Il telefono squillò e sentendo la voce di Rachele, disse all’istante: -Avete avuto un incidente, vero? Come state?-
- E tu come lo sai?-
-Lo so.-
Si precipitò sul luogo dell’incidente, ma per fortuna non era nulla di grave. Solo lievi graffi per gli occupanti delle vetture e molti danni per le medesime.
In seguito pensò alla telepatia e alla trasmissione del pensiero. Certo Rachele, con la mente, doveva avergli trasmesso quelle immagini poiché le aveva viste nitide come se guardasse la televisione! Era stata una percezione extrasensoriale di ciò che sua moglie aveva sentito e pensato. I cavi telefonici dovevano essere serviti da canali conduttori. Mah! pensava Diego: chi ci capisce è bravo! Comunque cominciò a ricordare le esperienze dell’amico di Luigi sulla registrazione di voci.
Così una mattina non si recò al lavoro e attese d’essere solo in casa. Si sedette accanto al registratore stereo e l’accese. Calcolò che doveva registrare per dieci minuti. Ma registrare cosa? Non poteva parlare da solo come un pazzo per tutto quel tempo! Pensò di prendere la ‘Divina Commedia’ e di leggerla ad alta voce. Prima di leggere, cominciò dicendo: -Io non credo di poter registrare le voci dell’aldilà poiché le anime dei defunti sono con il buon Dio e non interferiscono con il nostro mondo.-
Tacque per qualche secondo, poi iniziò a leggere il capolavoro di Dante. Ogni tanto guardava l’orologio e andava avanti a leggere. Si sentiva un fine dicitore, ma si sentiva pure molto scemo.
Trascorsero i dieci minuti e spense la registrazione. Ora si trattava di riascoltare tutto. Ma che idea bislacca! Ma che scemata! Riaccese e si mise in ascolto. Udì la propria voce che diceva: -Io credo di poter registrare le voci dell’aldilà poiché le anime dei defunti sono con il buon Dio che tutto può.-
Balzò in piedi e spense di nuovo. Doveva avere sentito male, ma nel frattempo i battiti del cuore avevano accelerato il ritmo. Tornò indietro nella registrazione e riascoltò. La sua voce diceva il contrario di ciò aveva detto la prima volta. Diego aveva lo stomaco scombussolato e provava tremore e affanno, ma andò avanti ad ascoltare e udì se stesso declamare i celebri versi della ‘Commedia’. Ad un certo punto, udì dei rumori leggeri incisi sul nastro e delle interruzioni. Poi mentre la sua voce declamava, si sentivano di nuovo i rumori e, contemporaneamente, si udiva un’altra voce che sussurrava e diceva qualcosa di incomprensibile. Aveva ormai i brividi e i sudori freddi. Non sapeva se andare avanti ad ascoltare o lasciar perdere tutto. Ma sarebbe stato peggio restare con il dubbio. Cercò di calmarsi e di sforzare l’udito per meglio capire.
Gli sembrò di riconoscere la voce di suo nonno che bisbigliava: -Perdooonaaaaa…..perdooonaaaaa…..perdooonaaaaa………-
No! Non poteva essere! Era tutta una suggestione e aveva sentito male. Oppure aveva creduto di sentire ciò che in realtà era solo un fischio o un sibilo. Aveva addosso una paura incredibile! Si guardava attorno credendo di poter essere circondato da forze occulte. Peggio per me che ho voluto fare questi esperimenti! pensava. Era tempo d’andare in ufficio. Di sera avrebbe riascoltato la registrazione insieme a Rachele e a Luigi.
In auto, rifletteva che la sua famiglia d’origine aveva sempre avuto il culto dell’appartenenza dei suoi componenti e alcune zie sostenevano che lui fosse la reincarnazione del nonno, perché non solo aveva atteggiamenti identici ai suoi, ma anche gusti personali uguali. Ma non credeva nella reincarnazione e sino a quel momento non aveva creduto neppure nella possibilità di trasmissione di voci dall’aldilà.
Diego, come sua abitudine, adesso ripensava al passato. Ricordava la sua gente e il suo paese con enorme rimpianto, con nostalgia struggente. I ricordi e l’amore per quei luoghi lo rodevano dentro. Ma tutto era cambiato in Italia,tutto s’era trasformato. Come a New York, che era molto diversa da quella che era un tempo. Dopo il 2001 si sentiva fortemente l’assenza delle Torri gemelle! La loro scomparsa si percepiva come un suono che cessa, molto più incisivo di uno che inizia.
Arrivando in ufficio, trovò Luigi che rideva parlando con un collaboratore. Seppe che la loro organizzazione era stata contattata affinché commercializzassero in Italia l’ultima novità inventata in California. Esattamente si trattava di una tomba dotata di ‘touch screeen’ ovvero di uno schermo a cristalli liquidi sulla lapide con un micro chip di memoria che consentiva all’estinto di parlare attraverso un messaggio, ovviamente preregistrato.
Luigi aggiunse scherzando: - Insomma il caro estinto può inviare una e-mail dall’oltretomba! Mi pare una follia. Ah ah ah ah.-
Vide il padre impallidire e lo guardò interrogativamente.
-Luigi, non sai che m’è capitato!- E Diego cominciò a narrargli dell’esperienza di chiaroveggenza e della registrazione di voci effettuata a casa.
- Cos’hai fatto?- Il figlio era trasecolato.
-Il bello è che ho registrato cose che non avevo detto, cioè il contrario di quello che avevo espresso. E poi ho avuto l’impressione di sentire la voce di mio nonno.-
A questo punto Luigi scoppiò a ridere.
-Ma va’ papà, non dire sciocchezze! Ah ah ah ah. Allora la follia non è solo di chi ha ideato la tomba parlante! Ah ah ah ah.-
Quella sera narrò le sue prodezze anche a Rachele che ebbe la medesima reazione di icredulità e sconcerto.
-Diego, ogni tanto mi sembri matto! Ma come ti è venuto in mente di fare una cosa del genere! Capisco l’episodio di chiaroveggenza che può essere dipeso da telepatia tra noi, ma tentare la registrazione di voci, mi pare davvero troppo!-
-Rachele, io ho sentito la voce di mio nonno che mi diceva di perdonare.-
-Sì e io ho sentito la voce di Garibaldi che mi diceva di combattere per la patria! Ma fammi il favore!-
Luigi intanto era andato ad accendere il registratore e invitava il padre a fargli ascoltare la famosa registrazione. Così la famigliola si radunò attorno all’apparecchio stereo. Con enorme meraviglia di Diego, tutto era come aveva pronunciato la prima volta, tutto normale e non si sentiva più nulla, neppure i sibili e i fischi. Né bisbigli, né nulla. Non c’era più niente di niente.
-Allora? Dov’è la voce di tuo nonno? Eeee? Dov’è? Sei scemo! Ecco quello che sei!- Rachele ostentava molto sarcasmo. Lui provò una forte delusione, si sentì abbattuto, frustrato.
Luigi provò a confortarlo: -Dai papà, in fondo è possibile che tu abbia sentito ciò che dici, chissà forse per suggestione, oppure perché potevi sentire solo tu quelle cose e gli altri no.-
-Io so solo che ho sentito, prima, la mia voce dire l’esatto contrario di ciò che avevo registrato e poi tra i fischi e i sibili, ho sentito la voce di mio nonno.-
Rachele al colmo dell’esasperazione, non ne poté più e sbottò: -Sì, sì, va bene, va bene. Hai sentito il nonno. Ora però basta! Non ne voglio più sentire parlare!-
Dunque Diego si trovò a non doverne più parlare in famiglia, ma il pensiero di ciò che era accaduto e dell’esperienza vissuta non l’abbandonò, anche perché aveva provato, nel momento della registrazione, una sensazione nuova e particolare, come se si fosse trovato improvvisamente in un'altra dimensione. Da quel momento, si mise a studiare tutte le varie teorie sulla telepatia e sulla comunicazione con l’aldilà. Scoprì che in natura non ci poteva essere scenario più adatto del Tibet per custodire recondite verità. Nel paese delle nevi, dove la furia degli elementi imperversa nei rigidissimi inverni, il soprannaturale sembra misteriosamente aleggiare ovunque. Lì, la telepatia viene anche definita ‘messaggi nel vento’ ed è praticata dai Tibetani tramite varie tecniche di concentrazione. Scoprì che nel Settecento si ipotizzava l’esistenza di una sorta di fluido, una sostanza fisica non percepibile con i sensi, proiettata dall’agente al percipiente. Seppe che uno studioso moderno aveva ottenuto comunicazioni telepatiche con il percipiente introdotto in una cabina isolata con lastre di piombo. Le onde elettromagnetiche non potevano penetrarvi, ma la telepatia aveva funzionato.
Comunque nella propria esperienza, tutto era riconducibile a ciò che aveva fatto dopo il fenomeno di telepatia. Cosa aveva fatto? Si era convinto a registrare le voci. E cosa aveva ascoltato? Aveva sentito il nonno dire di perdonare. Era stata un’allucinazione? Non lo era stato? Non lo avrebbe mai saputo. Di certo ancora una volta la vita e le esperienze lo inducevano a trovare pace e volontà di perdono verso coloro che gli avevano sottratto le terre, le sue bellissime campagne verdeggianti al sole.


22
La sua attività onirica da qualche tempo era divenuta più frequente. Con l’età, Diego si svegliava molto presto al mattino. Il sonno era sempre accompagnato da sogni che poi ricordava e gli sembravano impressionanti e ossessivi. Una notte si rivide giovane a lavorare nella concessionaria d’auto. Si occupava anche del recupero delle vetture rubate per conto delle compagnie di assicurazione e degli organi di polizia. Queste vetture una volta recuperate, venivano restituite ai proprietari o, se già liquidate dall'assicurazione, venivano cedute, con prezzi simbolici, a politici, a magistrati o ad alti ufficiali delle varie armi.
Sognò l’arroganza di un uomo politico, grande burattinaio, trovato al telefono mentre parlava con l’amante cui aveva promesso una di quelle auto. Quei ricordi li aveva rimossi dalla mente e ora, nel sogno, ritornavano. Erano lì presenti nella sua mente a torturarlo, a fargli provare l’eterno, imperituro disgusto.
Quando si svegliò quella mattina, si sentiva più stanco di quando si era coricato. Aprendo la posta al computer, ebbe la sorpresa di trovare una lunga e-mail di Rita, l’ex fidanzata di Luigi. Però scriveva a suo figlio. Doveva aver confuso l’indirizzo di posta elettronica. Fu assalito dal dubbio se leggere o meno ciò che la ragazza mandava a dire. Scriveva a Luigi e non a lui, ma la curiosità è una cattiva consigliera per qualunque essere umano e in Diego non faceva difetto. La tentazione di leggere era troppo grande e si disse che avrebbe potuto sempre inviarla al figlio dopo averla scorsa velocemente. Dunque lesse:


-Caro Luigi,
è da tanto che non ho tue notizie e ho pensato di scriverti per farti conoscere la nuova svolta che ha preso la mia vita. Purtroppo la mia gemella è morta e io mi sono sentita colpevole perché, dopo la nostra rottura definitiva, ero depressa e non l’andavo più a trovare. Mi hanno detto che è subentrata una forma di encefalite accompagnata da anoressia e non c’è stato nulla da fare. Quando ci hanno avvisato, era già in coma ed è deceduta dopo tre giorni. Mi sono disperata e ho capito quanto amassi quel povero essere infelice. Però mi sono anche resa conto che è stato meglio così, cioè è meglio che se ne sia andata per sempre anziché continuare a soffrire. A tutti pareva che non capisse e fosse assente, invece talora avvertivo che percepiva ogni cosa e avevo la sensazione che tutta la tristezza del mondo gravasse sulla sua anima. Non ho resistito più a stare con i miei genitori adottivi e sono andata a cercare lavoro in Inghilterra. Loro mi hanno assecondata e mi hanno finalmente lasciato fare. Ricorderai che parlo molto bene l’Inglese. E’ cominciata dunque la mia incredibile avventura.
A Londra lessi l’annuncio di una signora che cercava una segretaria a Warwick, nella contea dello Warwichshire, a pochi chilometri da Birmingham e dunque in una zona non molto distante dalla stessa Londra. Risposi all’annuncio e fui invitata a recarmi in una tenuta di cui ricevetti l’esatta ubicazione e l’indirizzo. Mi attendeva la signora Debra che io supponevo anziana e che invece si rivelò una persona dinamica, giovanile e affascinante. Vive da sola in una lussuosa villa al confine della residenza del conte di Esencourt e di suo figlio Cedric. L’amministratore del conte si chiama Danny e fu lui a venirmi a prendere alla stazione. E’ alto, ben fatto, con il volto deciso incorniciato da folti capelli scuri, un sorriso ironico che gli addolcisce i lineamenti.
Ti scrivo ormai come ad un fratello e non mi faccio dunque scrupolo a dirti che ne fui affascinata all’istante. Anche lui mostrò molto interesse nei miei confronti. Mi condusse a casa della signora e scoprii che abitava con lei. Ebbi subito il sospetto che tra loro ci fosse qualcosa e mi chiesi come mai Danny non abitasse nella residenza del conte. La signora fu colpita dal mio aspetto che, a quanto pare, non le sembrò insignificante, anzi mi fece i complimenti per i miei occhi, il mio viso, il mio portamento. Compresi che più che di una segretaria aveva bisogno di una governante e che il mio ruolo sarebbe stato proprio quello, però ben retribuito. In un primo tempo pensai di non accettare, poi la prospettiva di abitare in quel posto stupendo e per giunta con un buon salario, mi convinse a restare. Nella tenuta allevano cavalli, vi sono praterie, fiori e piccoli corsi d’acqua ovunque. Davvero un paradiso!
Conobbi il conte e suo figlio Cedric, il quale prese a farmi una corte serrata e asfissiante, ma possiede tutte le caratteristiche per non piacermi, per prima quella d’essere logorroico quando inizia a parlare e a raccontare le sue scemenze. Ciò che mi meravigliò fu il debole che avvertii da parte di Danny nei miei confronti. Avrei giurato che fosse l’amante della signora e che per questo vivesse con lei. Invece cominciò a rivelare interesse verso di me e una sera arrivò a baciarmi furtivamente. Ti confesso che capii allora di essermi innamorata di lui e d’averti dimenticato. Sono stata felice di questa scoperta poiché sino a quel momento avevo sofferto molto per la nostra separazione.
A poco a poco, Danny mi fece capire di nutrire una passione violenta, ma non volevo assecondarlo per onestà nei confronti della mia datrice di lavoro. Poi una sera, dopo che ebbe cercato per l’ennesima volta di baciarmi e sedurmi, gli rinfacciai di tradire la sua amante. Allora Danny mi rivelò d’essere figlio naturale della signora e che per questo viveva con lei.
Restai allibita, ma ancora non riuscivo a credere alla sua buona fede. Successivamente seppi che Debra aveva sempre sperato di diventare contessa e che era rimasta incinta di Lord Esencourt, ma lui aveva sposato un’altra donna per volontà della famiglia. Comunque aveva trovato un posto tranquillo per farla partorire e dove poi fece allevare il figlio naturale. Dalla moglie aveva avuto Cedric, ma molti anni dopo, questa era morta. Allora Debra aveva sperato di poter coronare finalmente il suo sogno. Invece ancora una volta era stata disillusa. Lord Esencourt infatti non aveva più voluto prendere moglie per non privare il figlio legittimo dei suoi diritti.
Caro Luigi, so che ciò che sto narrando ti sembrerà incredibile e simile a un romanzo rosa, invece risponde tutto a verità sacrosanta.
La signora divenne una vipera e volle vendicarsi del conte. Per questa ragione ha fatto venire Danny ad abitare con lei, per metterlo perennemente sotto gli occhi del padre, il quale d’altra parte gli ha offerto subito un lavoro e lo ha preso come amministratore delle sue enormi proprietà. Cedric era già stato destinato a sposare una nobile fanciulla della zona, molto ricca e benestante, ma quando sono arrivata io, il piano di vendetta di Debra si è ampliato poiché aveva ideato di mandare all’aria i progetti del conte e di usarmi come esca. A quanto pare c’era riuscita, visto che il giovane stravedeva per me. Ma aveva fatto male i conti e non aveva tenuto in considerazione i miei sentimenti e quelli di Danny.
Una notte mi ritrovai quest’ultimo in camera, mi abbracciò dicendo che stava impazzendo per me e che era sicuro che lo ricambiassi. Fui felice di essere sua e ti confesso che in quei momenti le idee scorrevano nella mente in un turbinio frenetico. Era come un gioco di ombre e di luci, ma mi sentivo felice e in estasi.
Successivamente, quando Danny comunicò al padre di volermi sposare, quello gli offrì in dono una casa bellissima. E’ nuova, costruita a regola d’arte e si trova in mezzo a una magnifica tenuta. La signora ha dovuto rassegnarsi ad avermi come nuora. Infatti io e Danny ci siamo sposati il mese scorso.
Caro Luigi, spero che anche tu sarai felice come lo sono io e ti auguro ogni bene.
Con affetto
Rita –


23

Rachele, dal canto suo, aveva ricevuto notizie di Sandy. La sua amica era rimasta per qualche tempo insieme ad April, che aveva trovato un posto d’insegnante a San Francisco. Successivamente non era riuscita più a vedersi nella sua casa senza il marito e aveva voluto andare lontano per dimenticare e trovare pace. In un paesino del Nevada affittavano stanze in una fattoria situata in piena campagna e dove echeggiavano i grugniti dei maiali; apparteneva a un agricoltore e a sua sorella la quale si occupava degli ospiti. Sandy aveva deciso di recarsi là per annegare la tristezza scrivendo le sue memorie e tutto ciò che riguardava la tragedia di Alan. Ogni tanto sognava ad occhi aperti che l’autore del misfatto fossero stato scoperto e allora aveva voglia di massacrarlo con le sue mani. Si rendeva conto che l’odio aveva indurito il suo animo e ormai guardava la vita con distacco. Prima di partire, aveva discusso con Diego di questo suo problema sviscerando il proprio sentimento di rabbia e di odio. L’amico le aveva ricordato il fallimento delle industrie del latte e il suo senso di rivalsa perché credeva d’essere stato vendicato dal destino. Quelle industrie erano sorte sulle sue terre, che gli erano state tolte con la prepotenza. Ma aveva capito che doveva perdonare poiché solo così avrebbe trovato pace. Naturalmente era più facile a dirsi che a farsi.
Sandy gli aveva detto che lei non avrebbe mai trovato la capacità di rassegnarsi e di perdonare il male subito. Era partita e si era stabilita in quella lontana fattoria. Attorno ad essa, nelle vicinanze, vi erano degli stagni dove galleggiavano le ninfee e dove le ranocchie saltellavano gracidando.
Il più anziano dei due proprietari si chiamava Dik e divenne ben presto suo amico. Faceva l’agricoltore e s’alzava presto al mattino per andare a lavorare la terra assieme ai suoi uomini.
Sandy trovò un clima meraviglioso e un silenzio pervaso da migliaia di rumori della natura. Tutti si recavano al lavoro e restava sola e tranquilla a scrivere. Ruth, la sorella di Dik, si vedeva poco in giro e non vi erano altri ospiti.
Una sera Dik la portò in paese, le parlò della gente del posto, del mercato del bestiame, della sua vita di scapolo attempato e di quanto amasse quei luoghi. Quella notte, inspiegabilmente, lei non riuscì a dormire e al mattino non poté scrivere nulla. Allora si recò al fiume con il cuore afflitto e udì un salice frusciare tranquillo e l’acqua che scorreva placidamente. In quelle acque, la sua mente non vide riflesso il volto caro di Alan, ma un altro volto virile e abbronzato: quello di Dik.
Sandy non aveva ancora cinquant’anni ed era una donna vitale e giovanile. Si sentiva svuotata poiché aveva subito una perdita gravissima, ma la voglia di vivere era annidata segretamente in lei.
La notte successiva invece si addormentò prestissimo e fu svegliata da un rumore tremendo che scosse la casa. Balzò giù dal letto. Il vento soffiava violento con raffiche simili a un tornado, il frastuono era impressionante ed ebbe paura. Sentì uno strepitio brutale come se la casa stesse per crollare e uscì dalla propria stanza urlando. Una porta si aprì e Ruth accorse a rincuorarla; dietro di lei comparve Dik. In pigiama pareva più alto e muscoloso, il suo viso bruno era affascinante coi capelli scomposti e gli occhi blu la osservavano preoccupati.
-Non si allarmi Sandy. Il vento è sopra di noi, ma non succederà nulla, stia tranquilla.-
-Lo so, sono stupida,- disse lei.
-No, non lo è. Non è abituata come noi. Qui ne abbiamo spesso cose del genere. Ma le raffiche si stanno già allontanando.-
Aveva ragione. Dieci minuti dopo, era tornata la calma.
Nei giorni successivi, Sandy non scrisse più nulla e si sentì come bloccata. Le mancavano le idee e anche i ricordi non erano più tanto dolorosi. Capì che qualcosa stava mutando in lei e questa consapevolezza la sconcertava. Era come se non riuscisse più a odiare e i sentimenti di rabbia si stavano smussando.
Le sere successive restò con Dik dinanzi al camino. Lui le disse che, nella vita, tutto cambia e che forse tutto il mondo è un palcoscenico su cui uomini e donne recitano la propria parte; entrano ed escono dalla scena e ogni persona può recitare molte parti contemporaneamente.
Sandy si rese conto di quanto un contadino potesse essere saggio. Le aveva fatto intendere che nella sua vita tutto era cambiato e poteva smettere di interpretare la parte della moglie disperata. Da quel momento, se avesse voluto, avrebbe potuto iniziare a recitare un’altra parte e rivestire un nuovo ruolo.
Quando parlò al telefono con Rachele, le disse che sarebbe rimasta lì per sempre. In quel posto bellissimo aveva capito di potersi ricostruire un’esistenza. Aveva trovato la forza e la volontà di perdonare poiché era riuscita a dimenticare.
-Qui è facile vivere, qui ho tempo di pensare e riflettere. Ho ritrovato la pace e so che i miei figli saranno d’accordo sulla mia scelta. Sposerò Dik e vivrò sempre tra il muggito delle vacche e le galline che starnazzano nel granaio.-
Diego quando l’aveva saputo, aveva pensato che quella era un’altra persona che era riuscita a perdonare e a superare le tragedie della vita. Certo aveva dimenticato molto presto il suo povero marito e aveva confermato un vecchio proverbio che dice che chi muore tace e che vive si dà pace, ma la vita era fatta così ed era inutile meravigliarsi o voler giudicare.
24
Quel mattino si era destato di cattivo umore e con un senso di angoscia che gli gravava sull’anima. Avrebbe detto di avere come uno strano presentimento, una specie di triste presagio. Invece durante la colazione, Luigi affermò di aver concluso due ottimi affari, Rachele gli comunicò di voler acquistare una nuova auto e fuori splendeva un sole caldo e luminoso.
Quando udì squillare il proprio cellulare, rispose baldanzoso, ma udì una voce che diceva: -Sono Attilio, il nipote di Sara, ciao Diego. Senti, volevo comunicarti che purtroppo la nonna ha avuto un infarto e i medici le danno solo pochi giorni di vita.-
Ebbe la netta sensazione di ricevere una specie di martellata sulla testa.
-Pochi giorni! Come pochi giorni!- gridò con gli occhi sbarrati.
-Sì, è molto grave anche se ancora riconosce e cerca di parlare. Ho voluto avvisarti perché so quanto sei legato alla nonna.-
-Grazie, certo, grazie. Sono molto addolorato.-
-Lo sento e lo capisco dalla tua voce. Beh, ti terrò informato. Ciao Diego.-
-Ti ringrazio ancora. Ciao Attilio.-
Su di sé sentiva gli occhi di moglie e figlio. Poi: - Papà cos’è successo?- chiese Luigi.
-Sara ha avuto un infarto e sta morendo,- rispose con voce atona.
-Devi partire! Devi andare subito da lei!- disse Rachele.
-Sì credo che partirò all’istante.-
Poco dopo infatti, aveva già prenotato il biglietto aereo telefonicamente. Sentiva il dolore come qualcosa di tagliente che gli attraversava lo stomaco e lo faceva sussultare ogni tanto. Si rendeva conto di quanto volesse bene all’anziana cugina, di quanto le fosse affezionato.
Il viaggio in aereo fu dunque molto triste e sapeva che probabilmente avrebbe rivisto Sara per l’ultima volta. Aveva voglia di piangere, ma non poteva, sentiva gli occhi asciutti e aridi.
Quando arrivò in aeroporto, sembrava un’anima in pena, era frastornato e sempre più in ansia. Si recò nell’ospedale dove la cugina era ricoverata; la trovò su un lettuccio, con gli occhi chiusi e il volto pallidissimo. I quattro nipoti di Sara gli furono subito attorno e l’abbracciarono con affetto. Attilio disse: -Sei venuto Diego!-
-Non potevo mancare. Ma come sta?-
-Ogni tanto apre gli occhi e dice qualcosa. Qualche ora fa, ha pronunciato anche il tuo nome.-
Diego provò una stretta al cuore e le carezzò la mano avvizzita.
Attilio continuò: - Sei arrivato prima degli zii Ubaldo e Ignazio. Li abbiamo avvisati e credo siano ancora in volo.-
Sara aprì gli occhi e lo vide accanto. Ebbe uno sorriso spento e mosse lievemente la mano. Quindi gli fece cenno di avvicinarsi e Diego si piegò verso di lei e accostò l’orecchio. La cugina bisbigliò: - Sai, l’industriale del latte s’è pentito e ha chiesto perdono a tutti.- Si fermò ansimando; poi fece uno sforzo per continuare a parlare e disse: -Lo devi perdonare Diego.-
-Ma Sara che vai pensando! Cerca di guarire e stai tranquilla.-
Il petto dell’ammalata si sollevava a fatica, ma volle continuare: -Me ne andrò tranquilla solo se saprò che hai perdonato. Promettilo, Diego, prometti che in cuor tuo perdonerai.-
Lo guardava attraverso un velo negli occhi e lui avrebbe voluto gridare e piangere. Avrebbe voluto gridare: -Non te ne andare Sara! Non te ne andare dolce cugina! Rimani qui. Rimani con noi. Non ci lasciare!-
Come avesse udito quel grido silenzioso, Sara gli bisbigliò ancora: -Non posso restare. Devo andare Diego. Erica mi aspetta. Vorrei solo riuscire a salutare i miei figli. Tu fammi quella promessa.-
-Sì sì, va bene, te lo prometto. Ti prometto che in cuor mio cercherò di perdonare.-
Vide il suo viso distendersi e le baciò la mano. Qualche tempo dopo, arrivarono Ignazio e Ubaldo.
Somigliavano in modo impressionante alla madre. Avevano gli stessi occhi neri e vellutati, gli stessi lineamenti e perfino lo stesso sorriso mesto e accattivante. Sembrò che Sara attendesse soltanto quel momento; aprì gli occhi all’improvviso e quando vide i figli accanto a sé, ebbe un guizzo di felicità nello sguardo. Essi la baciarono e quello sguardo divenne fisso e ormai lontano. Poi chiuse gli occhi, dilatò leggermente le narici ed emise l’ultimo respiro.
Piangevano tutti nella stanza d’ospedale. Piangevano per quella donna buona ed esemplare. E Diego sapeva che non avrebbe mai dimenticato l’affetto di Sara, i suoi consigli, il suo dolce sorriso, la sua terra millenaria.
Comunicò la triste notizia a Rachele e le disse che sarebbe ritornato a San Francisco dopo i funerali. Invece fece il biglietto aereo per il Nord Italia. Aveva in mente di recarsi ancora una volta sui luoghi dove sorgevano le famigerate industrie e dove quindi erano esistite le sue campagne.

Durante il volo si addormentò e gli sembrò di rivedere la cugina tanti anni prima. Lui era un ragazzino e la sorprendeva alle spalle, le metteva le mani sugli occhi e diceva: -Cucù chi sono?- Poi entrambi si mettevano a ridere e Diego l’abbracciava.
Si svegliò con gli occhi umidi e l’aereo stava atterrando. Talvolta, dopo aver sognato gli avvenimenti del passato, gli appariva come non vero o irreale ciò che aveva vissuto realmente.
Nelle orecchie gli risuonavano le ultime parole di Sara:
-Promettilo, Diego, prometti……….-
Dall’aeroporto, si fece condurre in taxi sui luoghi che lo avevano visto crescere e s’informò sulle vendita delle varie case della zona. Il suo intento era proprio quello di comprare un appartamento che sorgesse sulle sue antiche terre, là dove era esistita la casa del nonno e di suo padre.
Solo in questo modo avrebbe potuto dimostrare a se stesso e agli altri d’avere perdonato, di non avere più alcun rancore. Gli dissero che era in vendita una villetta a due piani con un piccolo giardino attorno. Si recò a vederla e ne fu colpito. Era in stile classico, con mura massicce e bianche. Le persiane erano scure come pure il portone di accesso. Un’alta cancellata la circondava ed era completamente ricoperta di edera rampicante. Un cartello indicava il <Vendesi> e vi era scritto il numero telefonico cui rivolgersi. Seppe così che apparteneva ad un notaio che l’aveva abitata con la famiglia e che, per motivo di lavoro, era costretto a trasferirsi e a venderla. Seppe pure il prezzo richiesto e gli sembrò abbordabile. Si mise d’accordo con il proprietario per un acquisto immediato, non appena l’avesse visitata internamente con l’assistenza di un tecnico edile.
Diego già immaginava di poterla abitare per le vacanze estive. Al primo piano con Rachele, al secondo avrebbero potuto alloggiare Luigi ed April.
Ebbe delle esitazioni pensando che prima sarebbe stato meglio chiedere il parere di moglie e figlio. Quando li sentì al telefono, essi si mostrarono sorpresi di saperlo ancora in Italia e soprattutto alle prese con l’acquisto di una casa. Però furono entusiasti della sua idea e lo incoraggiarono a comprare. Così il giorno successivo, con una persona addetta alla compravendita e con un architetto visitò quella che gli parve la villa dei suoi sogni. L’acquistò.
Al di là della cancellata si stendevano le terre del nonno. Adesso erano incolte e appartenevano all’industria del latte. Ricordò che Sara aveva detto che l’industriale si era pentito del male fatto e provò compassione per quell’ uomo, in quanto spesso l’offeso perdona, ma l’offensore non perdona mai il fatto di avere dovuto chiedere perdono.

Gabriella Cuscinà

   
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