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 La pelliccia di volpe
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ophelja
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Inserito - 22/10/2007 :  22:37:45  Mostra Profilo Invia un Messaggio Privato a ophelja

La pelliccia di volpe

“Scuola elementare “Principessa di Piemonte” “ era scritto in maiuscolo sul cartello inchiodato alla porta.
La scuola… Era un eufemismo letterario far assurgere quell’unica stanza a piano terra di un cadente palazzo del paese ad aula scolastica….ma , nei primi anni del secolo scorso, non si badava a quisquiglie come la luminosità degli ambienti, la pulizia, e – soprattutto, l’obbligatorietà dell’istruzione .
A quei tempi, infatti, erano pochi i genitori che decidevano di sottrarre i loro figli ai lavori dei campi e optare per una frequenza scolastica qualche volta discontinua e spesso solo limitata a qualche anno; per questi motivi le varie classi, non raggiungendo singolarmente un numero sufficiente di scolari , venivano accorpate, diventando una pluriclasse con ragazzi di età variabile dai sei ai dodici, tredici anni..

Per la piccola scolara, bruna di capelli e di occhi e con un visetto da bambola, era il primo giorno di scuola.
“Che si fa a scuola?” chiedeva alla sorellina che già frequentava la tquarta.
“Tante cose belle” rispondeva la più grande ; “Si impara a leggere , si impara a scrivere …e poi si stà tutti insieme con la maestra”
Ginetta, vinta dall’entusiasmo della sorella, stava a sentire anche se il pensiero di dover stare tutta la mattina ferma non le andava tanto a genio.
“Va bene” disse e dando la mano alla sorella, si avviò a scuola, dove – si sapeva già- ci sarebbe stata la nuova maestra.

La maestra, la signorina Elvira Miccoli, veniva da Napoli.
“E dov’è Napoli?” chiedevano i più coraggiosi.
“Lontano, lontano, lontano” rispondevano quelli della classe quinta. “C’è il mare e il Vesuvio che è una montagna e un vulcano contemporaneamente”.
“Verrà anche da Napoli” , pensava Ginetta, “ma quant’è bella!”
In effetti la signorina Elvira era una bella ragazza: alta e slanciata era ancor più notata per l’eleganza del portamento e dell’abbigliamento cittadino..

Quel giorno, il primo giorno di scuola, indossava un capello scuro con un’ampia tesa, ornato da due rose di velluto e qualche piuma, una giacca lunga scura sopra un abito a righe e, portata con nonchalance intorno al collo, una volpe .

Una “vera” volpe! Con gli occhietti di cristallo che ti guardavano insistenti, con le zampette che dondolavano sul petto della maestra…

Per Ginetta fu amore a prima vista – per la volpe, naturalmente.

In classe erano in ventidue e della prima elementare solo Ginetta..
Mentre gli altri ragazzi illustravano quello che avevano imparato con la precedente insegnante, Ginetta era un po’ stranita e, non avendo nulla da fare se non stare ferma, cominciò a ad annoiarsi trovando molto interessante intingere le proprie trecce nel calamaio e cominciare a tracciare dei segni sul quaderno, persa in un personale mondo di fantasia.
”Luigia Carbone!” “…Ginetta!” si udì improvvisamente nell'aula.

La maestra si era alzata e guardava con rimprovero la bambina; poi, impugnata la riga, le diede un piccolo colpo sulle mani e le ordinò di andare in castigo dietro la lavagna.

Ginetta cominciò a piangere mentre la sorella, rossa per il dispiacere di vedere la sorellina in lacrime, si offriva di accompagnarla “dietro la lavagna” a scontare il castigo.

La lavagna, montata su una cornice di legno scuro, era appesa al muro divisorio di un piccolo sgabuzzino senza finestre che veniva usato anche come spogliatoio dalla maestra stessa.
Nello stanzino quindi si trovava uno specchio, una sedia ed un attaccapanni su cui la maestra appendeva i suoi indumenti.

E proprio in quel “luogo di dolore” Ginetta fu accompagnata dalla sorella che le raccomandava di smettere di piangere perché altrimenti la mamma gliele avrebbe date di santa ragione.

“Voglio tornare a casa!” diceva fra sé Ginetta mentre si guardava intorno.

Fu così che Ginetta la vide: lei, la volpe, sembrava invitarla .

Piano, senza far rumore, salì sulla sedia, fino a raggiungere la pelliccia di volpe; staccò silenziosamente il cappello e la giacca dall’attaccapanni e cominciò la vestizione.
Prima la giacca, che le arrivò comodamente sotto i piedi, poi il cappello che le coprì tutta la testa ,
aggiungendo un baffo d’inchiostro alle rose di velluto e poi, finalmente la pelliccia…
Che profumo da quella morbidezza! Ginetta non si stancava di accarezzarla....

“Buongiorno signora, come state?...Sono venuta a farvi visita perché mio marito è andato a lavorare….”
“Siete molto elegante con quella pelliccia”
le rispondeva la signora così agghindata dallo specchio “ Ora devo andare a Messa…signora…arrivederci..Salutatemi vostra figlia”…
Nel gesto di andare, Ginetta uscì dallo sgabuzzino senza accorgersene.

Con il grosso cappello con le rose e la piuma che le copriva tutta la testa, avanzava tenendo con una mano la falda del cappello alzata sugli occhi per non inciampare nella giacca e con l’altra teneva stretta intorno al collo la volpe, come in un abbraccio fra un leone e il suo domatore.

La prima a vederla fu la sorella.
Da rossa, sbiancò in volto e poi….cominciò a ridere.
Anche i compagni ridevano e si davano di gomito aspettando la reazione della maestra che si voltò verso Ginetta e strabuzzando gli occhi, si portò la mano alla bocca e cominciò , prima piano e poi sempre più forte, a piangere, piangere, piangere….

Per il troppo ridere.


Ophelja

   
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