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 Elena a New York - 2 (romanzo a puntate)
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Gabriella Cuscinà
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Inserito - 12/03/2007 :  08:48:33  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Gabriella Cuscinà Invia un Messaggio Privato a Gabriella Cuscinà
“Elena a New York”
(romanzo a puntate di Gabriella Cuscinà)

9

Il piccolo ufficio, nella pizzeria, era stato sempre il suo rifugio nei momenti di depressione. Elena si trovava là l’indomani mattina e appunto si sentiva depressa. Era consapevole che i suoi rapporti col fratello non erano idilliaci, dopo la violenta discussione della sera prima. Giacomo si era difeso, affermando che non era vero, che non aveva perso la testa per nessuno. Lei aveva rincarato la dose, affermando che tutti gli uomini sono degli sciocchi e che vanno in brodo di giuggiole non appena vedono un sedere che ancheggi per loro e un seno procace pronto ad offrirsi. Il fratello aveva assunto un contegno offeso e si era rinchiuso in uno strano mutismo mentre lei lo medicava.
-Giacomo,- aveva detto, - lasciala stare. Il marito l’ha già piantata, poiché evidentemente Sara non si comportava da brava moglie. E poi non dimentichiamoci che quando restò orfana, si era messa a fare la prostituta!-
-Ecco! -saltò su il fratello.- Adesso dobbiamo andare a tirare fuori gli scheletri dagli armadi!-
Il suo atteggiamento era di biasimo e di difesa, come quello di un cavaliere che voglia salvare la damigella del suo cuore.
-Guarda che è stata Olga a redimerla e a farla sposare, ma il marito non se lo è saputo tenere.-
-Perché, scusa, non è possibile che il marito abbia tutte le colpe, avendola tradita e poi abbandonata?-
-Sì! Ma che dici, Giacomo! Con un tipo come Sara, i mariti alla fine si stancano!-
-Necessariamente tutte le colpe devono essere addossate a lei! Ti fa antipatia! Questa è la verità!-
- No. Vorrei solo che non civettasse con tutti.-
Lasciandolo d’umore alquanto nero, Elena andò a dormire, ma quando si risvegliò si accorse che il fratello non era più a casa. Per questa ragione si sentiva triste, anche perché non lo aveva trovato neppure al locale. Improvvisamente s’aprì la porta e apparve Giacomo tutto festante: - Elena, è venuto il poliziotto dell’altra volta e ha detto che quel mio amico ha ritirato la denuncia.-
Guarda un po’! Lei era angosciata, e invece Giacomo era tutto allegro!
-Lo sai? Ho fatto uno scherzo a Don Carlo: gli ho fatto sparire gli occhiali!-
Benedetto fratello giocherellone! Come faceva a non volergli bene? Lui che le aveva insegnato a leggere e a scrivere. Lui che solo, si era sempre interessato di quella sorellina abbandonata dalla madre.
-Giacomo! Don Carlo uscirà pazzo a cercare quegli occhiali!-
-Ah, ah, ah, ah. Li va lasciando sempre dappertutto, e poi urla che non li trova.-
-Poverino, restituiscili!-
-Non subito però.-
Entrò la vittima dello scherzo.
-Elena hai visto i miei occhiali?-
-Eh, eh, no, no, mi spiace.-
-Accidenti! Sono spariti un’altra volta!-
Andò via infuriato e blaterando che non ne poteva più di doverli sempre cercare.
-Giacomo, restituiscili subito! O gli dirò che li hai presi tu.-
-Va bene. Sentirai che risate!-
Andò via allegro e intanto squillò il telefono. Era Tim che le comunicava di non poter più andare al locale per impegni sopraggiunti.
-Sa Elena, in tribunale abbiamo un caso incredibile. Ci sono dei condomini di uno stabile che vogliono pagare le quote condominiali e invece l’amministratore paga sempre di tasca sua. Adesso quelli lo hanno querelato.-
-Roba da pazzi! D’accordo Tim, ci vedremo un’altra volta.-
“Il mondo è proprio strano,” pensava lei, chiudendo la comunicazione. “Succedono delle cose davvero incredibili! Che idea! Poteva diventare il soggetto per un altro suo racconto. Adesso però, bisognava proprio che si dedicasse alla contabilità di Don Carlo.”
Quella sera, le telefonò Olga.
-Mi trovo già a casa.. Mike ha provveduto a farmi trasportare con l’ambulanza. Una signora portoricana sta qui con me e mi accudisce continuamente.-
-Bene Olga! Stai meglio? Ti senti più in forze?-
-Sì grazie a Dio. Adesso dovrò continuare a fare la fisioterapia.-
-La volontà la troverai con certezza, altrimenti verrò tutti i giorni a sgridarti! Comunque presto sarò da te.-
Infatti, l’indomani mattina era dalla sua amica. Un fisioterapista si trovava con lei. Provava a farle chiudere la mano destra offesa, ma quella rimaneva rigida e inerte. Tentava di farle sollevare il braccio destro, e quello ricadeva pesantemente.
-Dai Olga! Impegnati! Ce la puoi fare! Volere è potere. Ricordi quando lo dicevi a me, mentre studiavo in biblioteca?-
-Sì cara, ricordo e credimi ce la metto tutta, ma è difficile quando il corpo non ubbidisce alla tua volontà.- L’ammalata era affranta e scoraggiata. L’infermiere intervenne: -No signora! Non deve abbattersi. Tutti i pazienti come lei, nei primi tempi, reagiscono a stento e a fatica. Si scoraggiano e vorrebbero abbandonare tutto. Invece la volontà e la sopportazione aiutano verso un recupero graduale, ma sicuro. -
Dopo un’altra mezz’ora di terapia, l’infermiere se n’andò.
-Elena hai conosciuto Ines?- chiese Olga indicando la signora bassa e robusta che le aveva aperto la porta.
-Questa è Elena. Per me è come una figlia.-
La signora portoricana parlava l’idioma statunitense con accentuate inflessioni spagnole e ricorrenti termini sudamericani. Raccontò di abitare nel Bronx, d’essere vedova e d’avere sette figli. Dopo un po’, lasciò sole le due amiche.
-Mi spiace doverti comunicare che Sara continua a comportarsi male, esordì Elena, - provoca tutti e Don Carlo non è contento.-
Olga ebbe un’espressione di tristezza e scosse la testa: - Non sai quante prediche le abbia sempre fatto! L’affido a te perché ormai avrò poco da vivere. Tu invece, puoi starle vicina. L’aiuterai? Promettilo.-
-Tu vivrai a lungo, ma va bene. Lo prometto, ora però non ne parliamo più. Non voglio che ti angosci.-
-Se non ne parlo, è peggio. Ti prego dalle buoni consigli.-
-Il fatto è che ci prova anche con mio fratello Giacomo. Pensa che l’altra sera ha causato una rissa tra lui e un avventore ubriaco. Questo, vedendo Sara così provocante, l’aveva palpata. Lei si è messa ad urlare. E’ intervenuto mio fratello ed è successo il finimondo.-
L’amica era affranta. Tuttavia insistette con maggiore determinazione: - Proprio per questo bisognerebbe farla tornare con il marito! Ricordo che era una brava persona e so che si occupa sempre del bambino.-
-Veramente Sara mi ha detto che le dà solo pochi soldi per provvedere al piccolo.-
-Non ti ha riferito però che va spesso a trovarlo e lo porta con sé.-
-Io, quella ragazza non la capirò mai. Ma scusa, se il marito ha già un’altra donna?-
-Non è detto che l’abbia ancora. Dovresti cercare di indagare e di sapere qualcosa su di lui. Elena, ti prego aiuta Sara!-
-Va bene, lo farò per te.-
L’amica si rasserenò e i suoi lineamenti apparvero più distesi.
Andando via, fu accompagnata alla porta da Ines. Dondolando sulle pesanti gambe, la donna camminava e sorrideva. Le aveva ispirato un’immediata simpatia.
Le toccava pure prendere informazioni sul marito dell’ex prostituta. No! Non doveva pensare a lei in questi termini! Altrimenti Giacomo aveva ragione a dire che le faceva antipatia. Doveva assumere un atteggiamento di benevolenza.

Tornata alla pizzeria, trovò la persona in questione che stava civettando e discutendo con un cliente.
Lupus in Fabula!
Elena intervenne nella discussione e poco dopo, il cliente ringraziò e andò via.
-Sara come sta George? Perché ogni tanto non lo porti qui?-
-Oh no! Temo che dia fastidio e che non mi faccia lavorare.-
-Dai portalo. Ho voglia di rivederlo. Starà con me, lo farò giocare e vedrai che non darà fastidio.-
-D’accordo Elena, quando è così, lo porterò.-
Le venne incontro Don Carlo: -Quel tuo fratello è proprio una cosa impossibile! Mi aveva nascosto gli occhiali per farmi uno scherzo! Beato lui che ha sempre voglia di scherzare.- L’espressione dell’uomo era di chiara benevolenza.
-Devo confessare che anch’io lo sapevo, aggiunse Elena.-
-Bravi! Bravi tutti e due!-
Sara si era allontanata e le sembrò opportuno informare il proprietario del locale del suo colloquio con Olga.
-Sa, le ho promesso che avrei continuato ad aiutare la sua protetta. Mi ha consigliato di prendere informazioni sul marito ed eventualmente, cercare di farli tornare insieme.-
-Macché, ogni tentativo sarà inutile!-
-Ad ogni modo, cercherò d’informarmi. Io credo, Don Carlo, che ciò che facciamo a fin di bene non vada mai perso.-
-Fai pure. Lo sai, di te mi sono sempre fidato.-
-Ed io non tradirei la sua fiducia neppure minacciata di morte.-
L’uomo si allontanò ed Elena si recò nel suo piccolo rifugio.
-Pronto, parlo con l’ufficio del giudice Leight? Oh Tim! Sei tu! Vorrei parlare con Mike. Com’è andata la faccenda dello strano condominio?-
-Elena! Sta bene? Per quanto riguarda quella querela, tutto a posto. Adesso le passo il giudice.-
-Grazie Tim, ma puoi darmi del tu.-
-Okay Elena, ti passo la comunicazione.-
-Pronto Mike. Ci vediamo stasera? Puoi venire da me? Ho da chiederti un favore.-
-Quello che vuoi Elena. Stasera sarò da te.-
Avrebbe preparato un'altra pietanza del suo paese: gli involtini di carne. Come gli spaghetti, le erano rimasti impressi nella memoria. Aveva tutti gli ingredienti necessari per prepararli. Dunque prese delle fettine di carne dal frigo, del formaggio, della mollica e si mise all’opera.
Le venne un’idea. Doveva preparare pure del brodo. Ricordava il modo in cui Mike l’aveva sorbito, e che l’aveva impressionata. Per l’appunto il primo piatto sarebbe stato del consommé.
Puntualmente il giudice arrivò alle venti e recava un piccolo pacco.
-Eccoti qua! Accomodati.-
-Ho voluto portarti un regalo, Elena. E le pose in mano il pacchettino.-
-Che cos’è, Mike? -
Teneva il palmo spalancato.
-Aprilo e saprai di cosa si tratta.-
Aprì l’involto e si accorse che conteneva un sottile filo d’oro con una crocetta.
-Ma che vuol dire questo?-
-Nulla di speciale. Solo credo di potermi permettere di regalarti qualcosa, specie se fa piacere a entrambi. Così, per farmi ricordare sempre da te. -
Ricordarlo! E come poteva mai dimenticare il suo Mike! Lui che aveva sempre mille attenzioni! Le sembrò comunque opportuno dire:
-Non dovevi! E’ troppo. Non era il caso.-
-Non è niente d’importante! Tu sai benissimo che potrei regalarti ben altro!-
A questo punto, era commossa. Non parlava, aveva gli occhi lucidi.
-Sì, però non l’ho portato per vederti turbata, ma piuttosto per vedertelo indosso.- Così dicendo, prese la collanina e le cinse il collo.
Lo lasciò fare. Fu un momento particolare Si sentivano imbarazzati.
Mike, il giudice sicuro di sé, sentì improvvisamente che gli tremavano le mani. Elena era rimasta con le mani alzate come se un bandito l’avesse minacciata.
Finalmente la delicata operazione fu conclusa e si guardò allo specchio.
-Credo che non lo toglierò mai più.-
-Adesso sei tu a turbarmi dolcezza!-
-Basta ora ceniamo. Ti ho preparato un’altra pietanza tipica delle mie parti.-
-Bene, ho una fame da lupi.-
Si sedettero a tavola e il giudice si vide presentare un piatto con del brodo.
-Naturalmente non è questa la specialità del tuo paese-.
-I Francesi direbbero che è una pietanza d’entrée. Insomma, cominciamo con un po’ di brodo, ti va?-
Lui fece cenno di sì e iniziò a sorbire senza produrre alcun rumore.
Quell’uomo non finiva più di stupirla. Quando mangiò gli involtini, sembrò deliziato.
-Sai che ho già scritto un’altra storia? Un dipendente della casa editrice mi ha riferito un fatto realmente accaduto, e io ne ho elaborato un racconto. Senti, Mike, com’è quella faccenda del condominio di cui mi parlava Tim?-
-Ah già! Ne potresti ricavare proprio una novella fuori del comune.-
-Su, racconta.-
-C’è uno stabile ove abitano alcuni condomini integerrimi. Il loro amministratore e coinquilino, da molti mesi non riscuoteva più le quote per la gestione del condominio. Il palazzo è molto bello ed elegante. Stranamente, il custode veniva sempre pagato e anche ogni altro conto per le varie spese e per le bollette risultava puntualmente saldato.
I signori condomini s’informarono di come ciò fosse possibile e seppero che il suddetto amministratore pagava tutto lui. Pensarono che ci fosse del losco e pressarono l’individuo per pagare quanto dovevano. Quello era irremovibile, continuava a pagare lui per tutti. E’ ricchissimo e poteva permetterselo. Però gli altri non si convincevano. Si sentivano in difetto e non volevano fargli fare il filantropo. In poche parole, lo hanno querelato per avere il diritto di sborsare ciò che spetta loro. Ho dovuto istruire il processo ed è saltata fuori la verità.-
-Davvero? Che hai scoperto, Mike? Qual era la verità?-
-E’ venuto fuori che nel palazzo abita una tale signorina piuttosto indigente, di cui l’amministratore è segretamente innamorato. Per non farla pagare e per non mortificarla, pagava tutto lui. Ho stabilito che siano i condomini a pagare e non il magnanimo amministratore.-
-Che storia romantica! Ha dell’incredibile! Sembra ambientata in epoca cavalleresca.-
-Sì è vero, avrai materiale con cui sbizzarrirti per un tuo prossimo racconto.-
-Adesso ho da chiederti un favore, signor giudice.-
-Sentiamo. Per voi mi lancerei nelle fiamme milady!-
Mike sorrideva guardandola dolcemente.
-Bisognerebbe fare delle indagini sul marito di Sara per sapere se sta ancora con quell’altra donna.-
-Perché, scusa, cosa importa ormai questo?-
-Olga afferma che si occupa sempre del bambino e che lo porta con sé. Si potrebbe sondare se ci sia qualche possibilità di farlo ritornare in famiglia.-
Il magistrato aveva l’espressione un po’ interdetta e confusa.
-Continuo a non capire.-
-Mike, una famiglia va salvata se possibile. Sara non si comporta bene al locale. Pensa che l’altra sera ha scatenato una lite furibonda tra Giacomo e un cliente sbronzo.-
-Ah! Ora ho le idee più chiare! Sapevo che quella ragazza non è una santa, ma non supponevo…... E poi, perché Giacomo non si fa i fatti suoi?-
-La cara creatura civetta sempre con mio fratello che c’è caduto come un allocco; si è preso una cotta, sebbene non voglia ammetterlo.-
-Peggio per lui! Dovrebbe invece starne alla larga!-
Elena appariva dispiaciuta. -Non vedo…..…. - aggiunse abbassando lo sguardo.
Mike fu tentato di dirle che, trattandosi di Giacomo, non avrebbe visto neppure il più alto grattacielo di New York, ma preferì evitare.
-Insomma adesso speri che il marito si ripigli Sara.-
-Sì, per questo dovresti chiedere informazioni.-
-Va bene, lo farò. La damigella del mio cuore ha altri desideri?-
Rideva sornione.
Elena era tornata a sorridere.
-No, mio signore. La vostra dama non ha altro da chiedervi, ma vi sarà eternamente grata!-


La mattina successiva, ricevette una telefonata di Andrew. La informava che sulla rivista avevano pubblicato il suo racconto.
Ebbe un tuffo al cuore. Lo avevano pubblicato!
-Grazie! Che bellezza! Non vedo l’ora di comprarla.-
Uscì da casa come una catapulta. Corse alla più vicina edicola e fece l’acquisto. Era affannata. Cominciò a sfogliare la rivista con trepidazione.
Si trovava ferma sul marciapiede e in mezzo alla gente che passava. Ogni tanto qualcuno la urtava, ma Elena non si accorgeva di nulla; aveva occhi solo per il giornale che teneva in mano. Mentre girava le pagine lucide e fruscianti, a un tratto, lesse:< Il nostro concorso>. Capì che si trattava di quello cui aveva partecipato. Infatti, eccolo lì! Era il suo racconto, accompagnato dal proprio nome. Continuava a guardarlo incredula. Non sembrava neppure lo stesso racconto che aveva scritto; eppure era quello, tale e quale. Solo che stampato sul giornale, assumeva una forma e una veste tipografica importante e molto appariscente.
Che contentezza! Davvero era uno dei momenti più belli della sua vita! Adesso sentiva il bisogno di comunicare quella gioia a qualcuno. Però voleva pure assaporare bene la soddisfazione di rileggere per intero il racconto pubblicato.
Stava dunque tornando a casa, quando vide venirle incontro un ragazzo su una sedia a rotelle.
-Henry! Da quanto tempo non ci vediamo! Come stai? Che fai? Sapessi cosa ho in mano!-
-Elena! Che piacere vederti! Sembri raggiante. Ma cos’è una rivista?-
-Sì, guarda hanno pubblicato un mio racconto!-
-Complimenti! Sei diventata scrittrice!-
-Henry perché non ti sei fatto più vedere? Come sta Gim? Tutto bene vero?-
-Non l’ho più rivisto e neppure Emily. Come ti avevo confidato, ho preferito mettermi da parte.-
-Testardo! Senti, dobbiamo rivederci. Prometti che verrai a trovarmi alla pizzeria.-
-Verrò. Promesso.-
Elena lo abbracciò e si lasciarono.
Da casa, comunicò a Mike e a Giacomo che potevano comperare la rivista se volevano leggere la sua novella.
Il fratello si precipitò a un’edicola molto fornita e strabiliò il proprietario acquistando trenta copie. Poi, recatosi a un ufficio postale, preparò un’analoga quantità di pacchi postali da inviare ai parenti e agli amici del paese. Era tutto soddisfatto, si sentiva importante, orgoglioso. La sua Elena cui aveva insegnato a scrivere quando era una mocciosa, aveva scritto per un importante editore americano! A proposito! Ma lui non aveva ancora letto il racconto!
Quando ebbe terminato le operazioni di spedizione, Giacomo si sedette su di una panchina e si mise a leggere. Rivisse improvvisamente la giovinezza della sorella. Tutta la tristezza e la sofferenza che l'aveva accompagnata. Lo sconforto d’essere senza madre, l’angoscia di crescere senza nessuno cui poter chiedere consiglio. I momenti nauseanti dello stupro lo fecero imbestialire. Sentiva di avere il sangue che gli pulsava violentemente. Era cosciente che se avesse avuto l’autore della violenza tra le mani, lo avrebbe massacrato. Si commosse. Povera Elena! Era solo una ragazzina! Sapeva tutto, ma leggerlo, raccontato dalla protagonista era sconvolgente. Ricordava pure bene il sacerdote, Don Mario. Pezzo di mascalzone! Bel prete che era stato! All’inferno doveva andare! Non fare l’uomo di chiesa. Ma capiva che Elena n’era infatuata, almeno da quanto spiegava e narrava. Era sedicenne, giovanissima e immatura! Avrebbe dovuto essere lui, il prete, a comportarsi bene e a saperla rispettare
Il paese! Quanti ricordi! I fratelli che aveva lasciato, la tomba del padre e della moglie. E poi i parenti, gli amici!
Aveva abbassato gli occhi ripensando alla madre, a quella donna che li aveva lasciati tutti per correre dietro ad un tizio di cui si era innamorata.
Chissà che fine aveva fatto! Era stata considerata una svergognata.
Giacomo si sentiva affranto, avvilito. Aveva rialzato la testa e i suoi occhi guardavano lontano, persi nel vuoto di lontani orizzonti.


10

Mike si trovava a casa di Olga e stava conversando con la sua vecchia insegnante. Tra i due c’era un’intesa particolare e un affetto fatto di complicità e comprensione reciproca.
-Sara ha sempre causato guai a tutti. Ti ostini a proteggerla, ma ricordati che non lo merita. In ogni modo provvederò a chiedere informazioni su suo marito.-
-Grazie Mike. Quella poveretta va aiutata. Ho fatto tanto per metterla sulla buona strada!-
Il magistrato sentì il cellulare squillare.
-Sono Elena. Compra la rivista di cui ti ho parlato, troverai pubblicato il mio racconto. Sono euforica Mike!-
-Lo credo e lo sento dalla voce! Adesso vado a comprarla e la farò vedere anche ad Olga. Mi trovo qui da lei. Congratulazioni!-
-Olga! Come sta?-
-Te la passo, mentre io faccio un salto in edicola. Sono contento per te. Ciao.-
La sua anziana amica era seduta su una poltrona e Ines, in quel momento, le stava dando le medicine.
-Ciao Elena! Mike è volato via con le ali ai piedi. Dunque veramente l’hanno pubblicato?-
-Sì! Non sto nella pelle! Vederlo stampato sul giornale è meraviglioso!-
-Sono felice. E dire che hai studiato da autodidatta! Ti ho conosciuta dentro una biblioteca. Senti, Mike mi ha assicurato che s’occuperà del marito di Sara.-
-Gliel’ho chiesto io. Sapremo se ci sono speranze di farlo tornare a casa. Tu come ti senti?-
-Grazie, sempre meglio, e poi Ines è una perfetta assistente. Non dimentica mai le mie pillole.-
-Ora ti lascio. Mi farò risentire. Un bacio.-
In quel momento stava rientrando il giudice. Brandiva in mano la famosa rivista come fosse un trofeo.
-Qui c’è la prova di quanto valga la nostra Elena!-
Ines era ancora presente e lo guardava con un’espressione beota.
-Su quel giornale hanno pubblicato un racconto della mia amica, - spiegò l’ammalata.
-Mike avvicinati e lo leggeremo insieme.-
Fu così che entrambi si trovarono a scorrere in silenzio le righe, le sequenze, le pagine stampate, che narravano le vicissitudini di una giovane esistenza infelice e sfortunata. Quando terminarono, erano uno più commosso dell’altra. Si guardarono e si sorrisero.
-Chissà cosa ne è stato di quel sacerdote!- fece Olga.
-Non m’interessa. So solo che è stato un mascalzone, più ancora del ragazzo dello stupro.-
L’amica lo carezzò.
-Le vuoi molto bene, vero Mike? Significa molto per te.-
Il giudice si era alzato ed eludeva la domanda.
-Vorrei sapere cosa farete se risultasse che il marito di Sara ha ancora un’altra donna.-
-Non ci pensiamo per ora. Prego il buon Dio che il piccolo George possa tornare a vivere con padre e madre.-
-Io spero che la tua protetta si tolga dai piedi e lasci tranquillo il fratello di Elena. Devo andare ora. Ciao Olga.-
Baciò l’amica ed andò via.

Intanto alla pizzeria stavano leggendo il famoso racconto. Il luogo pareva divenuto una sala di lettura. Mancava Sara. Ad un tratto arrivò e recava con sé il piccolo George. Don Carlo, quando lo vide, rimase sorpreso dalla bellezza del bimbo e prese a fargli tante moine. Giacomo che aveva distribuito riviste a tutti, lo guardò sorridendo e si presentò.
-Ciao, io sono Giacomo.-
Arrivò pure Elena.
-George! Piccolo! Ciao amico!-
La riconobbe e le corse incontro.
-Elena! Ciao.-
Le tendeva le braccia e l’abbracciò.
-Ma che piacere rivederti!-
-Elena è vero che mi farai stare qui e mi farai giocare con te?-
-Certo! Oggi starai tutto il giorno con me e giocheremo.-
Il bimbo pareva felice e guardava la madre che soggiunse: -Però non dovrai dare fastidio e ti dovrai comportare bene!-
Tutti i lavoranti del locale si congratularono con Elena per la pubblicazione.
Sara disse: - Voglio leggerlo anch’io.-
George, con la sua amica, s’allontanò. Si diressero verso l’ufficio ed Elena lo fece accomodare. Gli fece vedere tutte le matite colorate e i pennarelli che possedeva. Il bambino era intento a guardare e a ciarlare, quando a un tratto ammutolì. Dall’armadio sito nell’angusta stanza, provenivano dei rumori. Poi il suono di uno starnuto gli fece fare un salto.
-Elena c’è un ladro nell’armadio!-
Era dubbiosa, ma d’improvviso, un pensiero la rasserenò come la vista dell’arcobaleno rasserena il poeta. Doveva trattarsi del fratello giocherellone.
-Giacomo, vieni fuori!-
-Uaaohhhh!- E il suddetto fratello uscì dell’armadio, facendo fare a George un altro salto, accompagnato da allegre risate.
-Ma quest’armadio è pieno di naftalina! Caspita!-
-Sì, effettivamente hai starnutito da sembrare il getto di un sifone.-
Il bambino rideva ancora ed era tutto allegro.
-Giacomo! Ah, ah, ah, sei simpatico! Ah, ah, ah.-
-Giacomo è mio fratello, sai?-
-Mi piace, è buffo!-


Elena, quella sera, tornò a casa pensando ancora al racconto pubblicato.
Bisognava che rivedesse quell’altro in modo da portarlo al presidente della casa editrice. Lesse, corresse, rilesse, vi fece il lavoro di editing, come le avevano suggerito alla casa editrice, e stampò il tutto Quando fu soddisfatta del suo lavoro, andò a dormire.
Di buon ora, si preparò elegantemente. Già immaginava di sottoporre il nuovo elaborato al presidente, Mr. Garyson.
Fu colta da un’idea. “Doveva preavvisare Andrew di ciò che aveva scritto? Pensava di sì. Bene! Avrebbe parlato con il giovane per sentire il suo parere.”

Arrivando negli uffici della casa editrice, fu riconosciuta. Chiese di poter parlare con il collaboratore e lo vide spuntare da una stanza.
-Elena! Che piacere! Venga, si accomodi.-
La condusse in un locale attiguo.
-Senta Andrew, ho scritto un altro racconto e volevo avvisarla che riguarda anche lei.-
-Riguarda me? Ma come, scusi?-
-Ho rielaborato la storia di sua sorella che mi ha raccontato e devo chiederle il permesso di farla leggere al presidente.-
-Toh! E chi l’avrebbe mai detto! Posso leggere io per primo?-
-Certo! Ecco qua.- E porse i fogli al giovane il quale lesse e sembrò entusiasta.
-Sa che le dico: riferisca al presidente che è una storia che riguarda mia sorella e che gliel’ho raccontata io.-
-Va bene Andrew, come vuole.-
Si alzò e la fece annunziare a Mr. Garyson.
L’ufficio del presidente era vastissimo, con poltrone di pelle, quadri appesi alle pareti, vetrate da cui si vedeva la stupenda baia dell’Hudson e i grattacieli di New York. Un fantasioso mobile bar occupava una parete.
Quando Elena entrò, l’obeso signore stava appunto versandosi da bere.
-Ecco la nostra Eleanor! Ha fatto presto a tornare. Brava! Venga, s’accomodi.-
-Mi chiamo Elena signore, ricorda?-
-Ah già, sì certo, Elena! Resta in piedi come la statua della Libertà?-
Si sedette su una poltrona che avrebbe potuto accogliere due individui. Lei teneva in mano i fogli stampati, aveva la borsetta a tracollo e non sapeva dove appoggiare la schiena.
-Gradisce un goccio di Porto, cara?-
-No grazie, a quest’ora non bevo mai.-
-Male! Dovrebbe abituarsi. Si affronta meglio la giornata!-
-Purtroppo sono leggermente astemia.-
Lui continuava a versarsi da bere e intanto passeggiava e la scrutava. L’esame sembrava lo soddisfacesse.
-Allora Eleanor, è stata soddisfatta della pubblicazione?-
-Oh sissignore! Non sembra neppure ciò che ho scritto! Il racconto è riprodotto con fedeltà, ma la veste tipografica lo trasforma. E’ splendido! Però mi chiamo Elena, ah, ah.-
-L’ho ribattezzata, mi capita sempre così con tutti.-
Rideva e scuoteva il grosso ventre.
-Ho portato un altro racconto, Mr. Garyson. E’ una storia realmente accaduta e riguarda la sorella di Andrew.-
-La sorella di chi?-
In posizione eretta e con il bicchiere in mano, aveva inarcato le folte sopracciglia.
-Andrew. L’addetto alle pubbliche relazioni.-
-Oh quello! Il fiume umano di parole. E che c’entra sua sorella?-
-Mi ha raccontato la sua storia e io ne ho tratto una novella, ma gli ho chiesto il consenso per sottoporgliela.-
-Corretto da parte tua, Eleanor!-
-Sono Elena signore.-
Adesso appariva rassegnata e allegra.
-Beh! Dammi, fammi leggere. E’ questa che hai in mano?-
Era passato con naturalezza dal Lei al Tu. Finalmente si sedette e si dispose alla lettura, avendo inforcato dei grassi occhiali. Leggeva e più andava avanti, più pareva interessato e immerso nella narrazione.
Lei si guardava attorno e roteava la testa. Vedeva una parete di legno piena di scaffali e trofei, un antico paravento giapponese, un caminetto moderno. Poi la sua attenzione fu attratta dal dipinto di una bellissima donna.
-Era mia moglie,- gli sentì dire -siamo vissuti assieme per tanti anni, poi ha pensato di ritornare al Creatore e lasciarmi solo.-
Aveva terminato di scorrere le pagine e guardava l’autrice da sopra gli occhiali, con espressione compiaciuta.
-Mi duole Mr. Garyson. Non sapevo.-
-Riconosco il talento ad un miglio di distanza.-
-Le piace il racconto? Davvero signore?-
-Dovremo cambiare il posto della dicitura sui riferimenti a fatti realmente accaduti.-
-Io l’ho inserita alla fine, però ho anche romanzato certi episodi e taluni avvenimenti. Ho dato spazio alla mia fantasia. Se lei afferma che bisogna cambiare qualcosa, sarà così. E’ molto più esperto di me. Chissà da quanti anni lavora in questo campo!-
-Signorina, tu parli troppo! -
-Perché? Stavo solo spiegando il mio modo di procedere. Talora il mio computer è come se scrivesse da solo. Le idee e le frasi vengono giù da sole, senza che io le mediti o che vi faccia lunghe elucubrazioni sopra. Il tutto mi diverte in modo incredibile! Appunto ho cambiato tante volte le sequenze narrative, ho variato l’impostazione e l’ambientazione dei fatti. Ho usato nomi di pura fantasia per i personaggi.-
-Quella tua bocca si può chiudere un momento? Sì? E allora chiudila. Santo cielo! Sembri un personaggio di Shakespeare nei suoi soliloqui. Dunque, a proposito della dicitura famosa, stavo dicendo che la porremo all’inizio del racconto per mettere sull’avviso i lettori e per evitare delle denunzie. D’altro canto, così si opera nell’editoria.-
-Certo, è giusto. Sa signore che ho in mente dell’altro materiale per un nuovo racconto? Anche questo l’avrei tratto da un fatto realmente accaduto e che ha dell’incredibile!-
-Non credevo d’essermi imbattuto in una fornace d’idee. Ma giacche ci sei, racconta. Così io potrò consigliarti e tu potrai dare sfogo al tuo temperamento garrulo.-
Mr. Garyson si alzò e andò a sedersi su di una sedia di fronte ad Elena. Teneva le spalle appoggiate allo schienale e i piedi puntati a terra. Ascoltava e ogni tanto si dondolava. Lei cominciò a narrare del procedimento giudiziario contro un amministratore condominiale, filantropo e innamorato. Raccontò dei coinquilini che volevano pagare le quote condominiali, senza riuscirvi. Diede spazio ai particolari e fu precisa nei dettagli. Infine narrò della scoperta e della sentenza del giudice istruttore.
-Eleanor, conosci per caso il nome di quel tizio?- Il presidente si teneva il mento e continuava a dondolarsi sulla sedia. Elena aveva sentito pronunciare da Mike il nome dell’amministratore incriminato. Pensò di poterlo ripetere.
-Io mi chiamo Elena, lui invece si chiama Theodore Hunter.-
Sentendo questo nome, il corpulento signore diede uno scatto all’indietro e perse l’equilibrio, cadendo rovinosamente sul pavimento.
La sua testa andò a prendere contatto col morbido tappeto. Sembrò però ignorare ogni male fisico. Disteso ancora per terra, alzò gli occhi verso di lei.
-Non vorrai dire che si tratta del mio vecchio commilitone Theo Hunter!-
Non sapeva se ridere o preoccuparsi dell’accaduto. Davvero non si era fatto male? Adesso come avrebbe potuto sollevare la sua poderosa mole?
Invece il presidente diede sfoggio di inattesa agilità tornando in posizione eretta.
Elena sfogò alla sua ilarità e cominciò a ridere di cuore.
Mr. Garyson era la personificazione dell’umana costernazione. La guardava con meraviglia e pareva non riuscisse più a chiudere i suoi occhi bovini. Lentamente, lei smise di sghignazzare.
-Sei sicura che si chiami in quel modo? Ha presso a poco la mia età? S’innamora segretamente e non si dichiara mai?-
-Il nome è certamente quello. Ma perché signore, forse conosce Theodore Hunter?-
-Se lo conosco! Pensa che gli soffiai e sposai la donna che amava, alla quale non era mai stato capace di dichiarare il suo amore.-
-Possibile? Hunter amava la donna del ritratto? Sua moglie?-
-La storia è lunga e complessa, ma il risultato fu proprio quello. Io sposai la donna che lui stesso mi aveva fatto conoscere.-
-Il fatto mi sembra intrigante. Sarebbe un’idea fantastica scrivere tutta la storia, però lei me la deve narrare per intero e nei dettagli.-
-Se non è lui, che storia vuoi scrivere? Prima accertati che si tratti di quel Theo.-
-Io ritengo che una storia possa nascere da qualsiasi idea, anche costruita e frammista di verità e immaginazione. Qualcosa d’inventato con la fantasia, ma che possa partire o appoggiarsi su avvenimenti realmente accaduti. La prego Mr. Garyson, mi racconti ciò che accadde.-
-E va bene! Ascolta dunque e cerca di farne tesoro. Avevo poco più di vent’anni e mi mandarono sotto le armi. Conobbi un ragazzo timidissimo, magro ed allampanato. Si chiamava Theodore Hunter. Facemmo amicizia e divenimmo inseparabili. Ci legava la stessa passione per le buone letture. Ci scambiavamo romanzi e libri di vario genere. Gli altri commilitoni ci chiamavano francobolli, poiché stavamo sempre insieme. Era una di quelle amicizie giovanili fatte di complicità, confidenza e piacere di stare insieme.-
Elena pendeva dalle sue labbra, era coinvolta emotivamente.
-Accidenti! Eravate amici per giunta! E una donna vi divise!-
-Signorina, ascolta e non m’interrompere. Dicevo appunto che eravamo inseparabili e che ci confidavamo ogni cosa. Così lui mi rivelò di essere innamorato segretamente di una ragazza, figlia d’amici dei suoi genitori. Non era mai riuscito ad esternarle il suo amore, per troppa timidezza e ritrosia. Una volta andando in licenza mi propose di andare con lui e di trascorrere quel periodo insieme. Accettai. I genitori erano persone molto abbienti e mi ospitarono come un principe. Ma il bello doveva ancora arrivare. Una sera infatti, mi fece conoscere la ragazza dei suoi sogni. Per me, fu il classico colpo di fulmine. Me ne innamorai e sentii che era la donna della mia vita. A quei tempi ero piuttosto piacente. Sempre robusto, ma non così grosso come ora. Avevo tutti i capelli, la fronte spaziosa, gli occhi grandi e accesi dal fuoco della gioventù. La famosa fanciulla mi ricambiò all’istante e capimmo di essere fatti l’uno per l’altra. Si fece corteggiare. Fu invitante e seducente. Insomma mi fece intendere in mille modi che le piacevo. Ci fidanzammo e giurammo eterna fedeltà. Puoi capire come prese la cosa il mio amico!-
Elena saltò su.
-Però non poteva accusarla, in fondo lei non ha fatto nulla di male. E’ stata la ragazza a scegliere.-
-Sì, ma il mio amico si sentì tradito e non mi rivolse mai più la parola. Quando ci congedammo, le nostre strade si separarono e non seppi più nulla di lui. Mi restò il ricordo di un’amicizia perduta. Spesso penso ancora a lui e rivedo quel ragazzetto che correva sempre a cercarmi. Un ragazzo che trovava in me la sicurezza e la forza per affrontare la vita.
Io mi sposai e vissi felicemente con la mia adorata moglie.-
-E’ una storia romantica, Mr. Garyson, pare un romanzo d’altri tempi. Mi permetta di ricostruirla a modo mio. Lei dovrà aiutarmi. Se è lui il Theo in questione, mi prometta che andrà a trovarlo.-
-Cooosa? Sei uscita di senno? Io andare da Theo? Non lo farò mai! Scordatelo!-
-Signore, pensi che novità assoluta! Mi farà vivere la storia che scriverò.
La prego, l’idea mi è frullata improvvisamente mentre parlava. Dobbiamo costruire insieme tutto il racconto. Io lo scriverò partendo da ciò che mi ha narrato. Poi farò le mie indagini sul famoso Theo e se risulterà, come spero, che si tratta del nostro uomo, dovrà contattarlo.-
-Tu puoi scrivere tutto quello che vuoi e io pubblicherò il tuo racconto. Potrai inventare pure che gli asini volano, ma non sperare che io vada da Theo Hunter.-
Ormai era divorata dal sacro fuoco della creatività. Pensava che la storia andasse vissuta e realmente seguita nella veridicità degli avvenimenti. Ma bisognava che il protagonista riallacciasse i legami con il suo amico.
-Non mi dica di no, signore, io farò la cronaca di tutto ciò che accadrà. Pensi che cosa meravigliosa! Lei mi costruirà la storia, la vivrà, come l’ha già vissuta. Si rivedrà con Theo e seguiremo l’evolversi degli eventi.-
-Eleanor, la fantasia ci permette di compiere i voli più assurdi e pericolosi. Potrai inventare tutto quello che vuoi anche se non si trattasse della stessa persona. Ma non pretendere che riapra una ferita che ancora sanguina.-
-In questo ha ragione. Io cercherò di costruire una storia intrigante e coinvolgente. Rielaborerò tutti gli avvenimenti e li romanzerò. Non dubiti che farò le mie brave ricerche su Theo e gliele comunicherò.-
-Fai come credi. Buon lavoro signorina! Ora procura di scomparire poiché mi hai già rubato gran parte della mattinata.-
Elena balzò in piedi. Non doveva più annoiarlo. Gli strinse la mano e si accinse a scappare via. Il presidente l’accompagnò alla porta e avanzò col suo passo imponente, che faceva pensare ad un elefante a passeggio per una giungla indiana.
In America, aveva spesso sentito parlare di hobby, passioni, manie. Adesso sperimentava una di quelle manie: scrivere. Premere sui tasti del computer e scrivere, scrivere di tutto, racconti, fatti, avvenimenti veri o inventati, non aveva più importanza. L’importante era scrivere!
Doveva incontrare Mike per chiedergli l’ennesima informazione. Aveva bisogno di sapere tutto su Theodore Hunter.
Lo rivide e l’informò della strabiliante notizia che sembrò colpirlo particolarmente. Dopo avergli formulato la sua richiesta, si sentì rispondere: -Dolcezza, mi hai scambiato per un ufficio informazioni? E’ vero che dirigo una sezione del tribunale, ma non è detto che possa spargere notizie sui processi.-
-Mike, ti prego, ho bisogno di sapere l’età di Hunter, dove abita e che vita abbia condotto.-
-Mi spiace, ma non posso dirti nulla, sono legato dal segreto istruttorio.-
-Dimmelo! Dai Mike, devi dirmelo, non farti pregare!-
-Ti ho già detto cose, sul processo, che avrei dovuto tacere. Non posso dire oltre.-
Questa volta, il giudice era davvero determinato, ma le arti femminili vanno oltre ogni maschile reticenza.
-Il signor magistrato è divenuto misterioso! E dire che credevo mi volesse bene e si fidasse di me!-
-Ti ho mai negato nulla, Elena? No. A te non dico mai di no, ma questa volta è diverso.-
-Ti prego! Per il bene che mi vuoi!-
Alla fine, dopo tanto insistere, l’ebbe vinta. Il magistrato rispose con esatta precisione alle sue domande. Quando sentì quei particolari, fece un balzo.
-E’ lui! Capisci Mike, è lui! Ora li farò incontrare e scriverò la storia vivendola.-
La guardò con severità.
-Lascia perdere. Non cercare di conoscere Hunter. Temo sarà difficile fare riallacciare i rapporti a quei due signori. Sai, i vecchi rancori che il tempo ha arrugginito, sono duri da dimenticare.-
-Ci riuscirò, vedrai che ci riuscirò!-
-No Elena, ti consiglio d’evitare.-
Non riuscì a convincerla e si salutarono.
Si trattava adesso di comunicare a Mr. Garyson quanto aveva accertato. Pensò di telefonargli, anche a costo di apparire seccante. Ma non le fu facile averlo passato. Poi sentì dire: - Sei ancora tu, signorina premio Nobel?-
-Signore! E’ lui! E’ proprio lui! Ha sessantotto anni ed è rimasto scapolo. Ha un ingente patrimonio e fa vita da misantropo.-
Dall’altro capo del telefono, silenzio. Udiva solo un respiro pesante e affannoso simile all’ansimare di un treno a vapore.
-Mi ha sentito? Mr. Garyson, ha udito ciò che ho detto?-
-Ho sentito, benedetta figliola, ho sentito, ma forse avrei preferito non rinvangare certi ricordi e lasciarli sepolti nella polvere del passato.-
-E’ assurdo, ma perché? Non capisce che potrebbe rivederlo, riallacciare l’antica amicizia?-
-E’ proprio quello che non voglio. Lui mi odia. Se mi rivede, godrà nel sapermi così brutto e grosso.-
-Chi le dice che nutra questi sentimenti? Il tempo lenisce ogni sofferenza e talora trasforma i brutti ricordi in dolci esperienze. Secondo me, sarebbe felicissimo di rivederla.-
-Elena tu sapresti convincere un condannato a morte che sta andando ad una gita di piacere.-
Questa volta aveva ricordato bene il suo nome. Dal tono della voce, sentiva che rifletteva e che iniziava a cedere. Incalzò: -Avrà perdonato, avrà capito che non aveva nulla da rimproverarle. Se invece lei si ostina a non rivederlo, significa che si sente in colpa, commetterà un peccato d’orgoglio, indegno da parte sua. Senta signore, l’accompagnerò io. Domani andremo insieme a trovarlo.-
Dall’altra parte, silenzio e di nuovo un respiro a stantuffo. La roccia si stava sgretolando.
-Vuoi venire con me per divertirti meglio, vero signorina?-
-Ma no! Sarò testimone di tutto ciò che accadrà e potrò scriverlo con maggiore suggestione e coinvolgimento.-
-Allora la prima cosa che dovremo fare, sarà avvisare Theo che vuoi scrivere tutta la nostra storia. Qualsiasi vera amicizia si deve basare sulla franchezza.-
-Ha ragione. Da lei avrò molte cose da imparare. Domattina sarò qua. Vuol venire con la mia macchina?-
-Non occorre. Ci accompagnerà il mio autista. Ti attendo per le nove.-


11


Una notte insonne! Aveva letto che, alla vigilia di un evento speciale, qualcuno non riesce a dormire. Era accaduto anche a lei. Pensava e ripensava a come sarebbe stato quell’incontro! Si rivoltava nel letto ed immaginava i due signori a guardarsi male. Fu puntuale e trovò una Limousine sotto gli uffici della casa editrice. Mr. Garyson era già a bordo ed un autista impeccabile la fece accomodare. Arrivarono in un quartiere residenziale e si fermarono dinanzi a uno stabile elegante. Il custode li annunziò al citofono, dopo averli squadrati.
-Mr. Hunter, c’è un tale che dice di chiamarsi Garyson, insieme a una signorina.-
-Ah, con una signorina? Con una signorina, eh? Certo, certo.-
Tutti si lamentavano della sua lentezza mentale, ma all’occorrenza Theodore Hunter qualcosa la capiva.
-Mi scusi signore, può vederli?-
-No, dove sono?- disse, volgendo un’occhiata in giro.
-Sono qui e chiedono di vederla. Posso farli accomodare?-
-Vedere me? E perché vogliono vedere me?-
-Non saprei signore.-
-Se mi vogliono vedere sono due seccatori, ad ogni modo li faccia salire.-
Il custode indicò il piano e l’ascensore li depositò davanti ad una porta. Bussarono e venne ad aprire Theodore Hunter in persona. Non riconobbe nessuno e li guardò con aria incantata. Mr. Garyson invece rimase interdetto. Si sarebbe aspettato di tutto: occhiate fredde, voce gelida, urla, ma non quello sguardo tra il deficiente ed il trasognato.
-Theo, sono io. Sono Greg, mi riconosci?-
Continuava a guardarli. Poi li fece passare in un gran salone, e si sedettero.
-Chi dice di essere? Greg? Conoscevo un giovane, Gregory Garyson, quando avevo poco più di vent’anni, ma era un tipo tortuoso. Era il mio migliore amico. Lei scusi chi è?-
-Sono proprio quel Gregory, sono io.-
-Quale Gregory, di chi parla scusi?-
Il presidente sospirò e parlò con la calma di un uomo che conversa con una persona poco lucida di mente.
-Il tuo migliore amico, quello tortuoso come un cavaturaccioli. Avevamo poco più di vent’anni e abbiamo fatto il militare insieme. Eravamo amici inseparabili. Mi chiamo Greg.-
-Io sono divenuto un po’ debole di memoria. Però mi ricordo di te. Rammento quegli occhi. E quella bocca! Mi piacerebbe che non tenessi la bocca aperta quando ti parlo. Sembri un merluzzo.-
Elena intanto, stava riflettendo che Mike non le aveva parlato della labilità mentale di Theo Hunter. Chissà perché!
Il presidente sembrava sollevato.
-Allora non mi tieni rancore! Non sai quanto mi fa piacere rivederti.-
-Ah! Quando dici di essere Gregory Garyson, parli di Greg Garyson. Certo. Certo. E perché dovrei odiarti? Questa è bella! Che hai fatto, scusa?-
-Ho sposato Costance, Connie, la ragazza che tu amavi, ricordi?-
-Chi….?-
-Oh Theo! Hai proprio perso la memoria!-
-Chi dovrei ricordare adesso?-
-L’amavi tanto, mi parlavi sempre di lei, di quanto fosse dolce e cara. Invece io te la soffiai. Ti portai via Connie, perché lei preferì me a te.-
A questo punto, Theo emise un suono come chi mette un dito nell’acqua bollente.
-Ooohhhh! Connie! Quella spelacchiata che appena le parlavo scappava via. Sì, ora ricordo. Fu il primo amore della mia vita, ma per fortuna, tu Greg t’occupasti di portarmela fuori dei piedi. Bel lavoro ragazzo! Ti sarò grato per la vita!-
Altro che novella e racconto! C’era da scrivere una commedia umoristica, pensava Elena. Guardò di sottecchi il presidente che ricambiò la sua occhiata. Appariva costernato.
-Spelacchiata! Fuori dei piedi! Ma come! Se n’eri pazzo e non riuscivi a dichiararti!-
-Questa fu sempre una mia prerogativa. Devi sapere che nella mia vita, non ho mai detto a nessuna di amarla. Sono stato molto riservato. Per questo ho preferito le avventure passeggere, anche a pagamento.-
-Io invece sposai Connie e mi rese un uomo felice. Abbiamo vissuto a lungo insieme. Mi ha dato due figlioli maschi che fanno gli ingegneri all’estero. Non hanno mai voluto occuparsi della casa editrice, forse perché ne furono soffocati. Purtroppo, da qualche anno, un cancro ha portato via mia moglie e sono rimasto solo.-
Parlava con il piacere di conversare e confidarsi con un amico ritrovato. Quello lo ascoltava con grande attenzione.
-Mi spiace molto, Greg. Non ricordo Connie, ma il fatto mi addolora per te.-
Lo guardava con la solidarietà antica che avevano nutrito. Pareva che non si fossero mai lasciati, che si fossero visti il giorno prima. Come quando avevano vent’anni, stando insieme, il tempo si fermava. Negli occhi, una dolcezza profonda, ignota a molti, ma che accompagna sempre le grandi amicizie.
-Come hai vissuto, Theo? Sempre solo? Non ti è mancata una presenza femminile?-
-Devi sapere che ho avuto tante governanti e poi, come compagnia femminile, ho spesso quella di mia sorella Eva. E’ la mia unica parente, con quattro figli che aspirano a spartirsi il mio patrimonio.-
“Quanto materiale per il suo racconto!” pensava Elena. “Vi erano tutti gli ingredienti: c’era il mistero, poi il lato romantico del protagonista. Beh! Avrebbe potuto scrivere e rielaborare tutta la vita di Theodore Hunter. Un’esistenza interessante e strana.”
-Mr. Hunter, io vorrei scrivere un racconto sulla sua vita. Lei sarebbe d’accordo?-
-Una signorina. Il custode mi ha annunziato che c’era una signorina. Greg, chi è costei?-
-Perdonami amico. Non te l’ho presentata. Si tratta di una mia collaboratrice. Scrive racconti per il nostro giornale. Si chiama Elean……Elena, sì, si chiama Elena.-
-Perché vorrebbe scrivere la storia della mia vita? In fondo sono un povero diavolo!-
-Sono venuta a conoscenza del fatto che lei pagava le quote condominiali di questo stabile! Mi sembra un fatto insolito visto che le pagava per amore di una condomina. Davvero mi fa pensare ad un personaggio romantico.-
-Oh, il condominio! L’amministravo bene. Pagavo tutto io! Poi mia sorella lo venne a sapere e pensando che stavo sperperando il patrimonio di famiglia, lo andò a spifferare ai capoccia. Quelli hanno voluto fare la parte degli integerrimi pagatori.-
-So che c’è nel palazzo, una donna indigente di cui lei è innamorato. Insomma, Mr. Hunter, mi permetta di costruirci sopra una storia interessante.-
-Faccia un po’ quello che vuole. Non avrei supposto di divenire un caso. Tutto è cominciato da quando quel giudice mi ha mandato a chiamare e mi ha fatto mille domande. Quell’individuo non lo scorderò più. Mi scrutava come se volesse penetrarmi in fondo all’anima. Io non credo d’avere commesso un grave reato.-
Le ultime parole le fecero effetto. Destarono mille sospetti. Il riferimento a Mike l’aveva sorpresa. Si era comportato stranamente nei riguardi di Hunter! Perché?
-Ma è stato giudicato con equità. La sentenza è stata giusta.-
-Sì giustissima. Quello che voglio dire è che il giudice, da quando mi ha conosciuto, non mi ha mollato più. Mi perseguitava, mi telefonava, mi faceva sorvegliare dai poliziotti. Non sono mai riuscito a capirne il motivo. Io non sto più bene con la testa, ma posso ancora vivere da solo e pensare a me stesso.-
Mille campanelli suonavano nella mente di Elena e le idee frullavano. Mike aveva scoperto dell’altro. Ma cosa? Improvvisamente impallidì ed ebbe un sobbalzo. Forse lo sapeva! La sua immaginazione certo galoppava troppo! Il pensiero però era presente, incalzante. Il giudice aveva scoperto che quell’uomo era il suo padre naturale! No! Non era possibile! Queste cose succedono solo nei romanzi. Eppure lei voleva scrivere un racconto. Lo voleva vivere. Adesso la famosa realtà romanzesca superava ogni limite.
-Signore, sto per farle una domanda indiscreta e molto privata. Per caso, nel passato, ha avuto dei rapporti con una donna che le ha generato un figlio naturale, affidato poi alle suore?-
-Eleanor! Che dici! Che domande fai?- Mr. Garyson la guardava con disapprovazione.
-Theo, non starla ad ascoltare, ha le traveggole e come ogni scrittore non si fa i fatti propri.-
-In ogni caso non riesco a seguirla, signorina. Lei tergiversa sull’argomento e non mi fa capire nulla. Sia chiara. Sia esplicita. Sospetta per caso che ci sia stata una suora che abbia avuto un figlio da me?-
Aveva detto di non stare bene con la testa. Era del tutto stordito e svanito! Le veniva quasi da ridere.
-Non una suora. Chiedevo se ricorda di avere avuto un figlio naturale, che è stato affidato a un istituto di suore.-
-Eppure le parole figlio e suore mi suscitano dei ricordi. Come qualcosa che abbia a che fare con mia sorella. La rivedo, infuriata, mentre strepita che porterà quel figlio alle suore. Ma dovrebbe chiedere a lei, signorina. I miei ricordi sono molto sfumati purtroppo.-
Adesso Elena guardava con maggiore attenzione quei capelli ricciuti e folti, ormai quasi tutti brizzolati. Osservava l’altezza imponente dell’uomo, sebbene incurvato e rinsecchito dall’età; i tratti regolari e gradevoli, solcati dalle rughe. Vagamente, Mr. Hunter poteva somigliare a Mike, ma forse era tutta suggestione.


La Limousine li stava riconducendo alla casa editrice. Mr. Garyson aveva un’espressione sorpresa e il suo atteggiamento faceva pensare ad un punto interrogativo.
-Mia cara, affermare che sono trasecolato sarebbe poco, dirti che cado dalle nuvole sarebbe retorico. Insomma Elena! Perché hai fatto tutte quelle domande? E soprattutto, come facevi a sapere quelle cose?-
Bisognava rispondere. Era necessario dare una spiegazione a quel signore tanto disponibile. Ma non poteva tradire la fonte delle sue informazioni. Queste le erano state fornite con molta reticenza e violando un segreto istruttorio.
-Quello che posso dire è che sono a conoscenza di fatti privati. La prego, non mi chieda altro. Soffochi la sua curiosità. So che è difficile, ma lei ha una tempra d’acciaio.-
-Tempra d’acciaio un corno! Adesso tu parli! E’ vero che ha un figlio? Lo voglio sapere!-
-E’ solo un sospetto. No, non posso dire che sia vero. Calma! Proprio questa è soltanto una mia illazione. Mr. Garyson, forse la mia fantasia ha già creato il caso e mi è saltato in mente di rivolgergli tutte quelle domande.-
L’anziano signore parve riflettere. Guardava lontano; si era estraniato e non parlava più. Preferiva sentirlo motteggiare e sparare sentenze. Il suo silenzio rendeva l’atmosfera pesante. Poi si riscosse e riprese la solita aria sorniona.
-Ho capito Eleanor. Tu, come il poeta di Shakespeare, dai nome all’aereo nulla. Voglio ancora darti credito. Scrivi, crea, inventa. Dai spazio alla tua fantasia. Io pubblicherò tutto, però non credere di avermi gabbato. Prima o poi, saprò ogni cosa.-
Lo abbracciò. Gli slanci spontanei sono sempre i più belli. Lo baciò con trasporto filiale e vide spalancarsi quegli occhi di rinoceronte buono.


Arrivò tardi alla pizzeria e vi trovò un trambusto incredibile.
Vi erano poliziotti e detectives dappertutto; alcuni tavoli erano rovesciati, tutti i dipendenti si trovavano nel ristorante e alcuni avventori stavano rispondendo alle domande degli uomini di legge.
Elena restò allibita, ma si rese conto che doveva essere avvenuta una rapina. Don Carlo era pallido e si reggeva la testa rispondendo alle domande degli inquirenti.
-Sì, erano solo due e avevano il viso coperto. Erano armati e ci hanno minacciato tutti. Mi hanno intimato di aprire la cassa e mi hanno scaraventato a terra.-
Giacomo s’avvicinò alla sorella. Aveva un’espressione che non gli aveva mai visto. Pareva che fosse disgustato e agitato da una furia repressa.
-La vedi? E’ tutta tremante! Ma è solo una farsa. Erano suoi amici. L’ho scoperto perché ha indicato loro la cassa di nascosto.-
-Giacomo, ma di chi parli? Che stai dicendo?-
-La santarellina! Adesso fa finta di essere terrorizzata, ma io l’ho vista- e intanto indicava Sara.
-Non è possibile! Hai visto male. Giacomo eri troppo agitato! Non dire queste cose!-
-Ero il più calmo di tutti; se non fosse stato per le pistole, li avrei massacrati quei porci! Mi sono accorto che conoscevano il locale. Erano stati pilotati.-
Non la difendeva più, la disprezzava e la guardava con ribrezzo. Di nuovo, la vita si rivelava strana! Sara non era più nel cuore del fratello. Si era tolta dai piedi.
La chiamarono: -Elena, ti cercano al telefono.-
Era Mike: -Che cosa è successo? Chi mi ha risposto era agitatissimo!-
S’accorse di non avere voglia di parlargli. La fiducia in lui era compromessa e poi era preoccupata per Don Carlo.
-C’è stata una rapina! Hanno svuotato la cassa e hanno seminato il panico.-
-Tu come stai? Elena stai bene?-
-Non ero qui. Sto bene, grazie.-
-Don Carlo è certamente assicurato contro i furti. Sarà risarcito. C’è stato qualche ferito?-
-No, per fortuna no. Ci sono dei poliziotti che fanno domande.-
-Sì certo. Lasciateli fare e state tranquilli. Volevo comunicarti che il marito di Sara non ha più una compagna. Tra breve sarò lì. Su dolcezza, fatti animo!-
Il giudice udì un riso amaro.
-Giacomo mi ha confidato che i rapinatori erano complici di Sara. Dice che l’ha sorpresa mentre indicava la cassa.-
-E’ possibile. Nel passato aveva amicizie poco raccomandabili. Però il tono della tua voce non mi piace. Elena che hai?-
-Non c’è bisogno che tu venga, Mike. Andrà tutto a posto.-
Aveva detto questo con un tono gelido di cui non si rendeva conto.
Dall’altra parte, la sorpresa e il silenzio furono eloquenti.
-Io cosa ti ho fatto? Non sono certo il mandante della rapina! Ad ogni modo, sto arrivando.-
Sentì chiudere la comunicazione e rimase a riflettere. Se nutriva dei dubbi sul comportamento di Mike, doveva subito parlargliene senza lasciare che i sospetti facessero la ruggine, minando il loro rapporto. Intanto doveva pensare a Don Carlo. Si alzò e andò a confortarlo.
Uno dei poliziotti stava segnando il numero della polizza assicurativa e diceva al proprietario: -Non si preoccupi, tutto sarà sistemato. Passi domani al posto di polizia per guardare le foto segnaletiche.-
Gli uomini dell’ordine andarono via e mentre rimettevano a posto i tavoli e le stoviglie sparpagliate, sopraggiunse Mike.
-Vi siete presi un grosso spavento, eh? Coraggio! L’importante è che non ci siano stati feriti e colluttazioni.-
Intanto guardava Elena con insistenza.
-Ma cosa hai? In fondo non c’eri e non è successo nulla di grave. Don Carlo ha solo un bernoccolo e recupererà quasi tutto con l’assicurazione. Hai un’espressione agonizzante!-
Cercava di farla sorridere e di sollevarle il morale. Gli fece cenno di seguirla nel suo ufficio.
-Mike devo dirti una cosa che non c’entra con la rapina. Ho il sospetto che non mi abbia detto tutto su Hunter. Forse lavoro troppo di fantasia, ma stamani ho ricevuto delle confidenze dallo stesso Theo.-
Il giudice divenne terreo e cambiò espressione; abbassò lo sguardo e la sua voce ebbe un tono cupo.
-Hai conosciuto quell’uomo stolido e stravagante?-
-Oh poverino! E’ una persona simpaticissima! Un vero signore, un po’ all’antica, ma tanto ammodo. Lui stesso confessa di non stare più bene con la testa, ma questo è dovuto all’età. Tu non mi avevi confidato questo particolare.-
Il magistrato appariva triste.
-Non valeva la pena di descriverti il soggetto. E poi sì, quando l’ho visto, mi ha ricordato il mio padre naturale, quello che mi lasciò dalle suore. Però non avrò mai la conferma, perché ci vorrebbe la prova del DNA. E’ molto cambiato. E’ un povero diavolo rimbambito!-
Si era sfogato, era abbattuto e addolorato, ma era di nuovo il suo Mike!
-Che dici! E’ la più bella persona che potessi conoscere! Dovevi assistere all’incontro e al riconoscimento con Mr. Garyson. E’ stata una scena commovente e comicissima. Hanno riallacciato la loro amicizia ed erano entrambi felici. Io ho avuto il permesso di scrivere su Mr. Hunter. Ora anche tu dovrai concedermelo. Ti assicuro che rielaborerò ogni particolare, romanzerò la storia, la infiorerò di mille invenzioni. Il tutto sarà cambiato e rielaborato.-
La guardava con la solita espressione di dolcezza.
-La nostra scrittrice è di nuovo all’opera! Io preferirei di no, proprio perché il caso mi tocca da vicino; ma so che ogni tentativo di dissuaderti, sarà inutile. Dunque fa come vuoi, però non tirarmi in ballo come magistrato, mi raccomando.-
-No certo! Ci mancherebbe!-
-Parlando d’altro, sarebbe opportuno che Giacomo riferisca agli inquirenti ciò che ha visto.-
-Oh no Mike, ti prego. Pensa al dispiacere di Olga! E’ meglio fare capire a Sara che sappiamo tutto. Le parlerò io. Sono già contenta che mio fratello non ne sia più invaghito.-
-Già, è come se avessi vinto alla lotteria!-
Il giudice rideva. Aveva riacquistato la sua espressione serena. Sentiva che il loro affetto non era stato intaccato. La complicità e la confidenza non avevano subito scosse. Avevano chiarito tutto. Si erano capiti reciprocamente.
La porta si spalancò all’improvviso e Sara entrò a catapulta. Era sconvolta, aveva i capelli scarmigliati, piangeva e urlava.
-Elena non è vero! Tuo fratello dice che l’ho fatta fare io la rapina, ma non è vero! Non c’entro niente io! Mi dovete credere!- Continuava a lacrimare e a portarsi le mani ai capelli.
Mike uscì da quel luogo angusto, ove le urla rimbombavano.
-Calmati. Sara non gridare. Non dai un bello spettacolo. Don Carlo ha già avuto abbastanza traumi e dispiaceri per oggi, non aggravare la faccenda.-
Ma ormai era troppo tardi. Il proprietario del locale aveva udito gli strilli ed era entrato.
-Che cosa succede ancora? Perché gridi tu? Perché stai piangendo?-
Elena intervenne: -Non è niente! E’ una sciocchezza, effetto dello shock e dello spavento.-
Il pover uomo era stanco.
-Vada a casa. Qui penseremo a tutto noi. Non si preoccupi oltre.-
Andò via. Poco dopo, entrò Giacomo con un dito puntato verso la colpevole.
-Non voglio più sentire una parola. E smettila di gridare come una sguattera. Mia sorella sa ogni cosa e ti denunceremo.-
-Io non li conoscevo! Hai visto male! Elena ti supplico non mi denunciare, non dirlo a nessuno. Fallo per mio figlio!-
L’accenno al piccolo George, fece cambiare l’atteggiamento di Giacomo. Scambiò un’occhiata con la sorella e uscì.
-Sara, non ti succederà nulla, ma dovresti davvero pensare di più a tuo figlio. Pensa a cosa proverebbe se sapesse che la sua mamma è complice di ladri. Hai ripagato in questo modo chi ti ha solo fatto del bene. Bella gratitudine!-
L’incriminata aveva ripreso a piangere, ma questa volta erano lacrime di pentimento e dolore. Si teneva le mani sul volto e singhiozzava.
-Io ritengo che potresti cercare di riavvicinarti a tuo marito. Per amore di George! Potresti fare questo tentativo, anche se ti costa e non vorresti.-
Aveva rialzato il viso e fissava Elena intensamente, con gli occhi gonfi e rossi dal gran pianto.
-Credi sul serio che mi riprenderebbe? Ha un’altra donna! Oh Elena, quanto bene gli volevo!-
-No, non ha più una donna. E poi ama moltissimo suo figlio. Questo lo sai!-

Rientrata a casa, sentì squillare il telefono. Si affrettò a rispondere.
Era Olga.
-Come stai? Credo che ti avrei chiamata io. Come procede la fisioterapia?-
-Oh Elena! Sapessi! Muovo la mano destra! Faccio una fatica enorme, ma riesco ad articolarla!-
-Bene! Te lo dicevo io! Insisti Olga, tornerai come prima, devi solo avere pazienza e non stancarti.-
-Come prima non tornerò, ma ora sono convinta che la mano e il braccio potrò utilizzarli. La gamba destra è molto compromessa; lo afferma pure il terapista. Ad ogni modo, non mi arrendo e continuo a tentare di muoverla.-
-Ho tante cose da raccontarti. Sono successi fatti nuovi. Ho raccolto materiale per il mio prossimo racconto. Non appena verrò a trovarti, ti aggiornerò su tutto.-
-Brava Elena! Scrivi! Mi hai ripetuto tante volte che volere è potere, ma questo vale anche per te. Io però devo chiederti l’ennesima cortesia. Non sbuffare, lo so che sono noiosa e dovresti mandarmi al diavolo.-
-Sentiamo. Non sbuffo, promesso.-
-Hai conosciuto Ines. Per me è divenuta indispensabile e mi è molto affezionata. Ieri mi ha confidato che il suo figlio maggiore è stato licenziato. Ho pensato che potresti farlo assumere come cameriere.-
-Olga! Il locale non è un ufficio di collocamento.-
-Lo so cara! Ti metto in difficoltà. Fai finta che non abbia detto nulla.-
-Dirai ad Ines che mandi suo figlio da noi. Vedrò quello che posso fare.-
-Il tuo cuore è grande! Grazie tesoro, sei un angelo!-
-No, il vero angelo è Don Carlo. Se farà lavorare anche questo ragazzo, dovrai ringraziare lui.-
Quella notte sognò il suo datore di lavoro vestito da diavolo, che urlava e rideva sadicamente dicendo che avrebbe licenziato tutti e avrebbe chiuso la pizzeria.
Si svegliò di soprassalto. In un momento come quello, successivo alla rapina, sarebbe stato assurdo chiedere al povero Don Carlo di assumere altro personale. Continuò a rigirarsi nel letto e riprese sonno. Fece un sogno differente e strano: vedeva il suo paese e una donna agonizzante che invocava aiuto. Chiedeva alle vicine chi fosse e quelle rispondevano che si trattava di sua madre.
Non dormì più.
Si alzò dal letto e s’accorse che suo fratello era in cucina anche lui sveglio.
-Non dirmi da sorella saccente, che avevi ragione. Lo so perfettamente che sono stato uno stupido a credere che Sara fosse una brava ragazza. E’ una specie di delinquente!-
-Non esageriamo. Tu Giacomo, non conosci vie di mezzo. Per te tutto è bianco o nero.-
Io credo invece che sia una persona da aiutare, una donna che ancora non ha trovato un equilibrio.-
-Quello che potrà trovare sarà solo il carcere. Dovrebbero toglierle il bambino o rovinerà pure lui.-
-Oh no! Mi è sembrata pentita e poi mi ha confessato di volere ancora bene al marito. Spero sempre che la famiglia si ricomponga e che metta la testa a posto.-


L’attendeva l’incombenza di fare assumere il figlio di Ines. Questi si presentò alla pizzeria. Era un giovane basso, tarchiato e corpulento.
Spesso, taluni cercano di dimenticare la loro indigenza facendo uso di superalcolici. Tony n’era un esempio. Per dimenticare, beveva fino a che gli occhi non gli si offuscavano. Ciò aveva inciso sfavorevolmente sulla sua linea. Quel giorno per giunta, claudicava poiché aveva una vescica al piede, dovuta alle orrende scarpe che portava. Era però sobrio e sveglio. Quando parlava, dava l’impressione che si fosse aperta la porta di un’osteria.
Elena era sensibile d’olfatto e avvertiva con immediatezza tutti gli odori. Quando Tony le si avvicinò e aprì bocca, si sentì gelare, ma provò molta pena. Non fu così per Don Carlo.
-Ora basta! Non assumo più nessuno. Digli di andarsene! Mi spiace, ma per ora non ho necessità di nuovo personale.-
-La prego, lo so che non è un momento propizio, ma la pizzeria e il ristorante rendono sempre molto, per fortuna!-
-No Elena! Ti ho detto di no.-
-Io le assicuro che è una persona bisognosa. Don Carlo si tratta di un’opera di carità-.
Era la frase che lo faceva crollare e capitolare. Il buon uomo era davvero di una generosità fuori del comune.
-Digli di andare in cucina, farà il lavapiatti.-
-Grazie mille! Andrò da Olga per comunicarglielo.-
Mentre stava uscendo, vide un’alta figura: era Gim, perfettamente ristabilito.
-Guarda chi si rivede! L’eroe! Ciao, sei sempre più in gamba!-
-Ciao Elena! Come va? Che piacere rivederti!-
-Dai entra, uscirò più tardi.-
Sedette accanto all’amico e s’informò di tutto ciò che riguardava la sua salute e l’avvenuta riabilitazione. Cambiando improvvisamente discorso:
-Sai che ho incontrato Henry? Mi ha detto che non vi frequentate più. Ma tu, hai continuato a vedere Emily?-
-No. E’ stata lei a non volermi più vedere. Mi fatto subito capire che non le interessavo.-
-Le interessava però Henry, ma a quanto pare non è riuscita ad irretirlo.-
-Sì, lo avevo capito. E’ difficile irretire chi scompare dalla circolazione. Le donne sono un vero guaio! Per colpa sua, ho perso l’amico più caro che avessi.-

Più tardi, Elena guidava per recarsi da Olga. La guida le conciliava la meditazione. Ora rimuginava intorno all’amicizia. Ricordava d’avere letto, nella traduzione americana, il De Amicitia di Cicerone, e aveva tanto apprezzato le dissertazioni del celebre oratore latino. Lei era dell’avviso che ogni vera amicizia sia sempre accompagnata da un sentimento di abnegazione. Proprio quello che aveva dimostrato Gim nei confronti dell’amico. A sua volta, Henry aveva fatto altrettanto. Però una donna li aveva divisi.
Intanto era sopraggiunta a destinazione e le venne ad aprire Ines. Quando la vide, la donna portoricana abbassò gli occhi e non disse nulla. Anzi s’allontanò in tutta fretta. Lei restò a guardarla con espressione interdetta e con la bocca lievemente socchiusa. Si sarebbe aspettata esternazioni di gratitudine. Invece niente. Olga, al contrario, la ricevette con entusiasmo e non finì più di ringraziarla.
Continuava a non capire: -Hai riferito ad Ines che abbiamo assunto suo figlio?-
-Oh sì certo, era felice! Piangeva e mi baciava!-
-Mah! Non mi ha neppure guardato.-
-Compatiscila Elena, è una povera sventurata!-
Già! Faceva esperienza di uno strano tipo di esseri umani. Di quelli cioè che non ti dimostrano la loro riconoscenza neppure se li punti con una rivoltella. Vengono colti da un assurdo ritegno e preferiscono ignorarti, sfuggirti, come se invece che del bene, avessi fatto loro un grave torto. Come se la tua presenza rievocasse lo stato di bisogno e la vulnerabilità in cui tutti ci possiamo venire a trovare. Difatti poco dopo, l’amica chiamò Ines per avere portate delle medicine e questa s’avvicinò, continuando a non guardarla e facendo finta che Elena non fosse presente.
A questo punto, lei scoppiò a ridere. Fortunatamente era dotata di senso dell’umorismo e non aveva peli sulla lingua.
-Perché ridi, mia cara?- fece Olga.
-No niente. Pensavo a com’è strano il mondo! Sai, improvvisamente mi è ritornato alla mente un vecchio adagio del mio paese. Diceva che bisogna sempre guardarsi dal fare del bene ai porci e l’elemosina ai preti.-
Ines lasciò cadere il farmaco e scappò via. L’ammalata aveva sbarrato gli occhi: - Elena! Ma cosa ti è saltato in mente!-
-Mi è sfuggito. Però se penso a quanta fatica morale mi sia costato fare assumere suo figlio!-
Parlarono d’altro e vide come Olga riuscisse a muovere la mano destra. A fatica, sollevava pure il braccio che tremolava ed era lentissimo, ma si muoveva. Le raccontò tutte le novità che riguardavano la sua recente attività di scrittrice e la nuova conoscenza di Theo Hunter. L’amica l’ascoltava interessatissima, ogni tanto rideva ed era entusiasta.
Trascorsero insieme molte ore, dimentiche del tempo che trascorreva e assaporando il piacere di conversare, scambiandosi opinioni e giudizi. Erano profondamente diverse, per età, per cultura, temperamento e carattere, ma legate da un profondo affetto e da una grande stima reciproca.
Quando andò via, non si aspettò assolutamente che Ines si facesse viva. Infatti la donna non l’accompagnò e non comparve.

Nel frattempo, nelle cucine dove Giacomo era capocuoco, era avvenuta la conoscenza tra lui e Tony.
Il soggetto aveva solleticato la verve dell’eterno giocherellone.
-Ah bene! Ti ha fatto assumere mia sorella. Sì, sì, Elena è mia sorella.-
Il ragazzo era timidissimo e sempre impacciato: -Grazie, molte grazie, ehm….cosa devo fare?-
Il tanfo del suo alito dipinse il tipo.
-Non preoccuparti, la tecnologia ci ha messo a disposizione le macchine lavastoviglie.
Dovrai solo occuparti di riempirle e svuotarle in continuazione. Lo fa già anche un altro ragazzo. Come mai non hai provveduto a calare di peso? Sei ancora giovane.-
Tony arrossì e prese a farfugliare: -E’ che, ve....de, i…o ogni tanto bevo.-
-Davvero! E perché? Ti rovini la salute!-
-Lo so, ma mi lascio andare e alzo il gomito.-
La tentazione di fare uno dei suoi soliti scherzetti fu grande. Giacomo esordì: -Allora, tanto per cominciare, dovresti procurare di non assumere più alcolici, poi ti posso consigliare un preparato dimagrante eccezionale. Anch’io, tempo fa, ne feci uso per perdere dei chili e devo ammettere che i risultati sono stati eccellenti.-
Stava parlando di un potente lassativo.
-Proverò a non bere più, però sa, il fatto è che non ho i soldi per comprare farmaci dimagranti.-
-Oh! Possiamo trovare una soluzione. Sei fortunato! Ho giusto qui, da qualche parte, le erbe che presi e che mi sono rimaste.-


Gabriella Cuscinà
Senatore


Italy
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Inserito - 15/03/2007 :  17:59:21  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Gabriella Cuscinà Invia un Messaggio Privato a Gabriella Cuscinà
12


Giacomo rideva al pensiero degli effetti indesiderati che quel preparato avrebbe scatenato nello stomaco di Tony. Stava dunque prelevando le erbe, quando si sentì dire: - Ahi, ahi, ahi! Di nuovo problemi di stitichezza, eh?- Era Don Carlo che lo aveva sorpreso e che sapeva bene a cosa servisse quel farmaco. Ebbe un moto di sorpresa.
-Beh, ee, sì, purtroppo!-
Poi si apprestava a tornare dal lavapiatti, quando vide un tizio alto, smilzo e dinoccolato che gli rivolse la parola.
-Lavora qui vero Elena la scrittrice?-
-Cosa? Ah sì! Elena. E’ mia sorella. Lavora qui. Sì certo.-
Theo Hunter, poiché il visitatore era lui, fu felice dell’incontro.
-Sorella! Vuol dire che lei è il fratello, ovvero che siete nati da stesso padre e stessa madre. Germani, ovvio! Lei è il germano di Elena. Bene, bene, bene.-
Giacomo restò a guardarlo con la bocca lievemente socchiusa. Poi:
-Mi scusi, ma lei chi è?-
-Io chi sono? Già, chi sono io? Perché me lo chiede? Bella domanda! Lo sa che in questo preciso istante non lo ricordo? Abbia pazienza! Sono in avanti con gli anni e non ci sto più con la testa!-
L’altro era trasecolato. Non riusciva a credere alle proprie orecchie e lo guardava con gli occhi sgranati.
-Ma perché cerca Elena? Se non sono indiscreto?-
-Voleva scrivere la storia della mia vita. Hunter! Ecco! La storia di Theo Hunter. Quindi volevo sapere se avesse parlato con mia sorella.-
Il suo interlocutore era confuso. Agitò la testa.
-Perché dovrebbe parlare con sua sorella e poi chi è Hunter?-
-Theo Hunter sono io, capisce, e sua sorella doveva parlare con mia sorella. Già, ma come si chiama mia sorella?-
-Ricorda perlomeno il perché le nostre rispettive sorelle si sarebbero dovute abboccare?-
-Abboccare? Come due pesci! Ah, ah, ah. Sì, è vero, sembra proprio che la mia germana somigli ad un pesce.-
Giacomo a questo punto, scoppiò a ridere. Poi ricomponendosi:
-Allora, ricapitoliamo. Lei è Theo Hunter. Cerca mia sorella Elena, la quale purtroppo non è qui, e che è scrittrice. Sua sorella doveva parlare con Elena. Giusto?-
- Eva! Ecco! Si chiama Eva! Lo sa che lei è molto simpatico?- Theo si cominciava a divertire.
-Grazie, lei è gentile. Però, sempre se non sono indiscreto, chi è Eva?-
-E’ quella che ha lasciato il bambino dalle suore. Per questo, credo, Elena vuole scrivere la storia.-
L’altro stava vivendo una specie d’incubo. Non si raccapezzava più.
-Chi era questo bambino? Perché fu lasciato dalle suore?- Giacomo teneva le mani spalancate e aveva l’espressione esasperata.
-Non lo so. Mi dispiace, ma non lo so.-
“Era meglio desistere. Sì, sì”, pensò d’un tratto. “Doveva smettere, prima d’impazzire”.
-Senta, Elena non c’è e non so quando tornerà. Le conviene ripassare un’altra volta. Le dirò che l’ha cercata.-
-D’accordo. Arrivederci allora. Mi fa piacere aver conosciuto un cugino della scrittrice.-
Andò via con il suo passo dinoccolato e con quell’espressione sempre un po’ fra le nuvole. Giacomo restò a guardarlo andar via. Poi cominciò a riflettere su come sia terribile avere delle malattie. Intanto ritornava verso le cucine dove Tony lo stava aspettando.
-Ha portato il dimagrante?-
-Come? Cosa? Ah no. Ehm, non l’ho trovato. Mi spiace, ma non ti posso aiutare.- Ci aveva ripensato. Era orribile quello che stava facendo.
Nella nostra esistenza, è tremendo soffrire, avere malanni e fare soffrire gli altri. Se il ragazzo si fosse sentito molto male, n’avrebbe avuto rimorso.

Rivide la sorella soltanto la sera, a casa. Era ansioso d’incontrarla perché l’umana curiosità anche in lui non faceva difetto. Non appena le fu di fronte: -Scusa Elena, chi è il bambino che è stato portato dalle suore e chi è Theo Hunter? Oggi è venuto a cercarti e ha cominciato a blaterare cose che mi hanno lasciato a bocca aperta.-
Lei era trasecolata, non si sarebbe attesa una comparizione del suddetto Theo.
-E’ venuto alla pizzeria? E come ha fatto a sapere dove lavoro?-
-Adesso fai tu le domande? Io non ne so niente, ma muoio dalla curiosità d’essere messo al corrente di tutto.-
-La storia è lunga, ma se vuoi ti racconterò ogni cosa, o quasi.-
Fu così che Elena informò il fratello sulla figura di quel vecchio amico del presidente Garyson. Della sua esistenza romanzesca. Un tipo parecchio stordito. Naturalmente omise tutto ciò che riguardava Mike. Dopo che ebbe a lungo spiegato e narrato, il fratello insistette: -Sì, ma cosa c’entrano il bambino lasciato dalle suore e la sorella?-
-Oh niente! Di sua sorella ne ha parlato lui. Invece, per quanto riguarda il bambino, ho inventato tutto io per farlo parlare di più.-
Giacomo era ancora poco convinto.
-Lui voleva sapere se avevi parlato con sua sorella. Perché avresti dovuto farlo scusa?-
Adesso lei era seriamente in imbarazzo.
-Smettila dai! Quello è un povero signore che non sta bene.-
Andarono a dormire, ma Elena pensò che, a proposito della sorella di Hunter sarebbe stato interessante conoscerla.


L’indomani mattina si presentò nuovamente in casa di Theo che l’accolse con gran piacere.
-Oh guarda chi si vede! La cugina di quel simpaticone della pizzeria!-
Ormai aveva imparato a conoscerlo e rettificò:
-Sono la sorella non la cugina, sono Elena, quella che vuole scrivere un racconto su di lei.-
-Perché tu voglia scriverlo non lo capirò mai, neanche se invece di chiamarmi Theodor Hunter, mi chiamassi Theodor Roosvelt!-
-Mr. Hunter, lei aveva affermato che io dovrei parlare con sua sorella. Si chiama Eva, se non ricordo male, solo che io non ne conosco il numero telefonico, né tanto meno l’indirizzo. Potrebbe fornirmeli?-
-Ah sì, Eva, quell’aristocratica spelacchiata. E’ anche molto spilorcia sai? Ma perché avevo detto che dovresti parlarle? Secondo me, non ti conviene giacché quell’arpia sarebbe capace di farti sentire un verme e raccontarti fandonie in quantità.-
Ci sono dei momenti nella vita di ciascuno di noi, in cui ci chiediamo il motivo per il quale stiamo facendo una determinata cosa. Per Elena, era uno di quei momenti. Non sapeva cosa rispondere con precisione ed esclamò: - Mr. Hunter, mi dia l’indirizzo di sua sorella, la prego.-
Il brav’uomo si trovò in difficoltà. Infatti non lo ricordava, e dovette andare a scartabellare tra le varie rubriche, prima di trovarlo. Cercava nello studio, guardava negli armadi del salotto e non veniva a capo di niente. Controllava nella stanza da letto e non c’era nulla. Alla fine lanciò un urlo:
-Il bagno! Sì, sì, è nella rubrica che tengo in bagno.-
Andando via, Elena aveva la mente ottenebrata. Tra l’altro sentir parlare con tanta acredine di una sorella era come sentire Eurialo che raccontava malignità su Niso.
Si recò comunque all’indirizzo che le era stato dato e si ritrovò in uno dei quartieri più esclusivi di New York. Si fece annunciare e comprese che sarebbe stato difficile avere accesso in quella dimora, ma volle egualmente provare. Alla fine vi riuscì e si ritrovò in un appartamento tra i più eleganti che avesse mai visto. Le tornarono in mente le misere case del suo paese. Dopo aver atteso per vari minuti, s’aprì una porta, riparata da un tendaggio di velluto e comparve una donna che aveva l’aspetto più di un’istitutrice inglese che di una signora statunitense. Era alta e segaligna, ossuta e impettita, con un naso a becco d’aquila. Il capo ricoperto da una strana capigliatura bianca, inanellata e laccata che Elena non tardò ad identificare come una parrucca.
Spelacchiata aveva detto Theo. Già, quella era la spiegazione. Doveva possedere pochissimi capelli, dunque mascherava la sua calvizie con un posticcio.
-Mi hanno detto che lei è amica di mio fratello, - esordì, - questo non depone a suo favore. Mi dica perché è venuta e cosa vuole-.
“Che bel tipetto!” Pensava lei. “Proprio una sorella affezionata!”
-Mr. Hunter mi ha accennato di aver avuto un figlio, che lei signora, affidò a un istituto di suore. Siccome sono interessata a questa storia, vorrei che lei me la confermasse e che mi raccontasse i particolari.-
Aveva intuito che sarebbe stato meglio metterla dinanzi al fatto compiuto. Doveva farle credere di sapere già tutto, anche se non fosse stato vero niente.
Eva infatti, quando sentì quelle parole, impallidì, strinse le labbra, ma poi riacquistò la sua aria altezzosa.
-Non vedo come la cosa possa interessarle, signorina, e poi Theo non ha mai avuto un figlio.-
Questo era un colpo basso. La dolce signora tendeva a negare. Ricordò di avere sentito parlare dei figli di Eva e di eredità. Cercò ancora di giocare d’astuzia.
-L’eredità di suo fratello non si sa ancora a chi andrà, poiché lui vuole redigere un testamento e si è ricordato di avere un figlio illegittimo, che fu consegnato alle suore.-
-Cooosa! Un altro testamento! E’ pazzo. Adesso è proprio fuori di senno. Lo farò interdire!-
La signora aveva preso a passeggiare nervosamente per la stanza.
Elena comprese di essersi spinta troppo in là e corresse il tiro.
-Signora, l’eredità andrà di certo ai parenti più prossimi. Però io credo che sia onesto, anche di fronte a Dio, rivelare l’esistenza di un figlio.-
Il riferimento a Dio sortì effetti insperati. La donna era ormai avanti con gli anni e forse aveva già provato dei rimorsi di coscienza. Si sedette di nuovo, abbassò il capo e disse:
-Beh, noi ci siamo sempre rifiutati di accettare quel figlio. Eppure è vero. Lo ha avuto molti anni fa da una donna d’origine araba-.
-Davvero? E non l’ha mai sposata? Perché?-
-Oh! Era solo un’avventuretta! E poi Theo non avrebbe mai voluto sposarla. Però la teneva nella sua casa e quella mise al mondo un bambino. A quanto pare, il parto andò male e restò in fin di vita. Prima di morire, pregò mio fratello di pensare alla creatura. Morì e lui si trovò, impreparato a dover pensare al piccino. Lo tenne con sé solo qualche tempo e non volle riconoscerlo. Quando capì che non ce la faceva più e che lo avrebbe fatto crescere male, si rivolse a me. Io gli consigliai di affidarlo a un istituto.-
Elena immaginava che stava sottacendo tutte le insistenze e i lavaggi di cervello che aveva fatto al fratello per convincerlo a liberarsi del disgraziato bambino.
-Ho capito. La ringrazio signora. La saluto scusandomi per il disturbo, ma le voglio anche ricordare che Theo adesso non sta bene e avrebbe bisogno d’affetto e di cure. Ci pensi. In fondo lei è sua sorella.-
-Ci penserò. Buon giorno signorina-.


13

Mike l’aveva cercata per tutta la mattinata, ma il suo telefonino risultava irraggiungibile. Finalmente riuscì a mettersi in comunicazione.
-Elena, ciao, ti ho chiamato varie volte poiché ho da farti una proposta insolita.-
-Ah sì? Sentiamo Mike, sono tutta orecchie.-
-Domani partirò per una conferenza molto importante. Mi recherò a Cancun, nel Messico. E’ un posto meraviglioso, vicino ai Caraibi. Ci sono sole e mare, e potremmo fare una vacanza insieme. Ti sto invitando a venire con me, non dirmi di no, dolcezza.-
Elena non si attendeva una cosa del genere e rimase per un attimo interdetta.
-Devo invece dirti proprio che non potrò venire. Devo lavorare e poi sarà meglio che tu vada solo.-
-Dai Elena! Non fare la preziosa. Sai benissimo che puoi assentarti. Ci resterò molto male se mi farai andare senza di te, triste e desolato. Oppure sei una povera ragazzina che non può accompagnarsi a un bruto?-
Come continuare a dirgli di no? Mike aveva mostrato tanto entusiasmo!
-A che ora dovremmo partire? Quanti giorni mancheremo?-
-Oh bene! Vedrai che ci divertiremo e ti farò vedere posti strabilianti! L’aereo parte alle undici del mattino. Portati un costume da bagno e abiti leggeri. Là fa molto caldo. Tra quattro giorni saremo di ritorno.-
Non sapeva se rivelargli le confessioni di Eva oppure no. Temeva di turbarlo. Ormai era chiaro quale fosse la realtà, ma solo la prova del DNA avrebbe potuto confermare tutto. Prima o poi comunque avrebbe dovuto dirglielo.

Alla pizzeria trovò Tim in compagnia di una donna bruna e bella.
-Signorina Elena, le presento mia sorella Amanda.-
-Piacere! Complimenti Tim! E’ splendida.-
-La ringrazio, - fece la persona in questione.
Aveva l’aria grave e ritrosa della persona molto timida. Contegnosa e seria, pareva che non sapesse sorridere. Eppure il suo viso era affascinante. Con enormi occhi neri, orlati da una frangia scurissima di ciglia. Capelli folti e castani. Possedeva dei lineamenti regolari e armoniosi. Le fattezze del corpo erano scultoree. Forse non era più molto giovane.
-Mia sorella lavora come segretaria in un’azienda ubicata qua vicino. Oggi eravamo insieme per il pranzo e mi sono ricordato che in questo locale si mangia bene.-
-Bravo! Vi faccio servire subito.-
Le venne incontro Giacomo.
-Oh Elena! Ti ha cercato Don Carlo. Si meravigliava del fatto che in questi ultimi tempi, sparisci sempre.-
Guardò poi le persone che erano con lei e sembrò folgorato dalla visione della donna che aveva di fronte. Tacque e rimase immobile a fissarla. Amanda aveva abbassato lo sguardo, ma poi i suoi occhi erano tornati a guardare Giacomo. Tra i due era intercorsa improvvisamente una specie di corrente elettrica.
-Tu conosci Tim, vero?- fece Elena, -questa è sua sorella e lavora come segretaria qui vicino. Lui è Giacomo mio fratello e si occupa come capocuoco delle cucine.-
Si strinsero la mano e questa volta l’elettricità fu avvertita da entrambi.
-Siete qui per mangiare?- disse Giacomo - ditemi cosa preferite e vi farò fare un pranzo da nababbi.-
-Grazie, - fece Amanda - io mangio pochissimo e andrà tutto bene.-
- Ci faccia portare cosa ha di meglio, - intervenne Tim - oggi festeggio il mio compleanno.-
-Auguri!- esclamarono gli altri due. Li fecero sedere ad un tavolo appartato.
-Sapete che domani partirò con Mike e andremo a Cancun, nel Messico?-
-Dove? Ma come! Così all’improvviso!- Il fratello era sorpreso.
-Deve andare per una conferenza, me lo ha comunicato solo poco fa e ha insistito perché andassi anch’io.-
Andò a parlare con Don Carlo. Doveva comunicargli che si sarebbe assentata per andare con Mike. Il brav’uomo si compiacque della novità e le augurò di divertirsi.

L’unica valigia che possedeva era ancora quella con cui era arrivata in America. Quella sera prima di tornare a casa, ne acquisto una nuova. Vi mise dentro un costume da bagno e due abiti leggeri, un paio di sandali, un pigiama da notte e il necessario per la toletta. Pensò di non aver mai compiuto un viaggio di piacere nella sua vita, e avvertiva quasi un senso di colpa nel farlo. Sarebbe stato bello però! Elena conservava ancora, dentro di sé, i tabù che le erano stati inculcati. Aveva evoluto la propria mentalità, ma era difficile sradicare certe convenzioni e taluni principi con cui si è cresciuti. La sua adolescenza era stata amara, tremenda, segnata da due esperienze traumatizzanti, eppure nella coscienza più profonda ancora rimanevano abbarbicati dei preconcetti retrivi. La sua anima era stata ferita e ancora sanguinava. Talora si rendeva conto di non riuscire veramente ad aprirsi verso l’altro sesso. Come se qualcosa la bloccasse. Pur avendo superato quei traumi giovanili, manifestava delle ripercussioni emotive. Non poteva pensare serenamente a un normale rapporto con un uomo. Voleva bene a Mike, le piaceva molto, ma non riusciva ad accettarlo del tutto e forse mai sarebbe riuscita ad accettare nessuno.


L’indomani mattina, era già pronta di buon’ora. Aveva indossato un paio di jeans e una camicetta rossa che metteva in risalto la sua chioma. Non si truccava quasi mai, tranne che in rare occasioni. Non ne aveva bisogno. La sua carnagione ed i suoi enormi occhi topazio risaltavano senza alcun artifizio.
Arrivarono all’aeroporto puntuali per il chek in. Furono però imbarcati con un’ora di ritardo sul previsto. Sulla pista, prima del decollo, l’aeromobile rimase per un’altra ora e tutti i passeggeri sbuffavano e si chiedevano il perché di tanto ritardo. Quando sentì i motori rullare, avvertì un vago senso di paura. Quella fu un’esperienza indimenticabile. Infatti il loro aereo fu coinvolto in una perturbazione meteorologica.
Mike la guardò e scoprendole un certo pallore, le sorrise beffardo. Poi le strinse la mano e disse: -Tra breve saremo a destinazione.-
Invece mentre erano in volo, udirono uno scossone tremendo e il vuoto d’aria che seguì fu agghiacciante. Qualcuno urlò e qualche bambino pianse. Gli scossoni e i traballamenti furono continui e si accesero le spie che avvisavano di agganciare le cinture. L’aereo scese in picchiata per evitare la perturbazione e la sensazione fu quella di precipitare. Si ritrovò col viso nascosto sulla spalla di Mike. Poi lentamente l’aeromobile riprese il suo normale assestamento e lei sollevò gli occhi. Tutti erano sconvolti e i bambini continuavano a lamentarsi, ma il peggio era passato.
Dopo un’altra ora, iniziò l’atterraggio. Sentendo le ruote che toccavano terra, esclamò: -Al ritorno non prenderemo più l’aereo, vero?-
-Dolcezza, come vedi non è successo niente. Elena, non dirmi che hai avuto paura!-
La guardava ironico e scherzoso, ma anche lui aveva tirato un sospiro quando aveva udito azionare il sistema frenante.
Un taxi li condusse in uno degli hotel più lussuosi di Cancum. Attraversando quei luoghi meravigliosi, brulicanti di vita e di persone vestite da spiaggia, si sentiva trasportata in un altro mondo. Un’atmosfera vacanziera regnava ovunque e il caos di New York pareva lontano.
Il salone d’ingresso dell’hotel era occupato da una fontana che lanciava getti d’acqua sino al soffitto. Avevano riservato loro due suite molto eleganti, poste al decimo piano. Vi erano degli ascensori panoramici e cascate di fiori ovunque. Mike la lasciò davanti alla porta della sua stanza, pregandola d’essere pronta dopo mezzora. Lei cominciò ad ispezionare quella suite e le sembrò il paese della Cuccagna. Vi era un ingresso pieno di fiori e frutta d’ogni specie. Un salotto immenso con mobili antichi e divani soffici. La stanza da letto aveva una parete interamente di vetro che si affacciava sull’oceano. Ciò che la colpì fu il bagno, con una vasca simile a una piscina e attrezzata per l’idromassaggio.
Elena si guardava attorno e quel lusso l’inebriava. Vi era un frigobar, ricco d’ogni ben di Dio. L’aria dell’appartamento era fresca al punto giusto e certamente climatizzata. Si sentì improvvisamente felice di aver accettato l’invito di Mike, altrimenti non avrebbe visto tutte quelle magnificenze.
E poi il mare! Lo aveva di fronte e sentì che esercitava su lei un’attrazione enorme. Il mare era stato sempre una sua grande passione. Quello era l’oceano, azzurro, calmissimo, profondo e suggestivo.

Si spazzolò i capelli, dopo essersi rinfrescata nel bagno. Si cambiò in fretta indossando uno dei prendisole che aveva con sé. Guardandosi allo specchio, si accorse che la sua carnagione non era per niente abbronzata, ma nello stesso tempo era di una luminescenza particolare.
Aprendo la porta a Mike, lo vide particolarmente bello. Aveva indossato un completo che metteva in risalto la muscolatura atletica. Sembrava più alto e i riccioli erano ancora bagnati per la recente doccia.
Andarono in giro a visitare la cittadina e videro ritrovi e negozi strani e accattivanti. Vi erano parchi gioco in quantità e la gente formicolava ovunque. Elena riusciva a capire perfettamente la lingua spagnola poiché somigliava all’Italiano, perciò si sentiva orgogliosa di potergli tradurre tutto ciò che leggeva o ascoltava.
Si fermarono a cenare in un ristorante sul mare e mangiarono pesce e molluschi. Mike le fece bere dell’ottimo vino. Le narrò degli aneddoti molto divertenti e lei rideva e beveva. Quando si alzò dalla tavola, s’accorse che le gambe la sorreggevano a stento. Dovette appoggiarsi a lui che le circondò le spalle. L’effetto dell’alcol era tremendo. Difatti cominciò a ridere per ogni cosa. Più rideva, più si accorgeva di non riuscire a trattenere il riso. Il giudice comprese il motivo di quell’ilarità e fu contagiato dall’allegria.
Quella notte Elena sognò che il loro aereo stava precipitando e si svegliò di soprassalto. Si alzò e s’affacciò sulla terrazza che guardava l’oceano. Lo spettacolo era incantevole. La luna piena si rifletteva sulle onde e inargentava le acque.
-Non dormi, dolcezza?-
Udì la voce che proveniva dal terrazzo adiacente.
-Mike! Non dormi neppure tu! Stavo sognando di precipitare in volo. Il cuore mi è saltato in petto e mi sono svegliata.-
-Io invece non dormivo perché stavo pensando a te e a quanto sono innamorato. Sai Elena, a volte ho l’impressione di essere uno scolaretto alla sua prima esperienza sentimentale. Non ho mai amato veramente nessuna donna e penso che o avrò te o non vorrò mai più nessuna. Quindi aspetto sino a quando tu mi vorrai.-
Non si attendeva quelle parole e rimase in silenzio. L’istinto del cuore era di gettarsi tra le sue braccia, ma ancora una volta qualcosa la bloccava.
-Elena, hai mai letto il romanzo di Marnie? E’la storia di una ragazza che ha vissuto episodi di violenza. Poi da adulta, rimane psicologicamente incapace d’avere normali rapporti con l’uomo che ama. Tu mi fai pensare a quella storia. Dimmi almeno se mi vuoi un po’ di bene. Io mi sono sempre illuso di sì.-
-Oh Mike! Lo sai benissimo che ti voglio bene! E’ solo che non riesco a decidermi.-
Lo sguardo di lui s’era animato come se tutta la luce della luna si riflettesse in quegli occhi da arabo. La guardava con dolcezza e le parve di potersi squagliare dinanzi al calore di quello sguardo.
-Bene! Ora vai a dormire dolcezza. Domattina ti sveglierò e andremo a nuotare.-


Sull’aereo che li stava riportando a New York, lei ripensava a tutti i momenti magici trascorsi. Erano stati su una spiaggia circondata da palme e da fiori d’ogni colore. Vi erano centinaia di gabbiani che volavano lanciando il loro eterno richiamo. Avevano nuotato in un mare verde e limpidissimo, dove i pesciolini multicolore si vedevano ad occhio nudo. Avevano scherzato felici e si erano sdraiati sulla sabbia a prendere il sole.
Ora la sua pelle appariva arrossata, ma non avvertiva bruciore.
Quando Mike era stato impegnato per la conferenza, era rimasta a passeggiare e a visitare negozi acquistando regalini per i suoi amici.
Uno dei momenti indimenticabili era stato quando l’aveva portata a ballare. Suonavano una musica lenta e romantica. Lui era un ottimo ballerino e seguiva il ritmo perfettamente muovendosi sciolto e sicuro.
Avevano capito che ballare insieme era una cosa che li faceva divertire in modo coinvolgente. Si erano cimentati nel Tango e poi avevano volteggiato nel Valzer. Quindi avevano danzato al suono di una musica struggente e sentimentale. Stretta tra le braccia di Mike, aveva capito che sarebbe stato per sempre il suo porto di quiete, la persona cui appoggiarsi nella vita, quella cui dedicare se stessa senza deluderlo.
Ora però sull’aereo, sentiva che ancora non sarebbe riuscita a decidersi. Tra l’altro rimaneva il dubbio se riferirgli le confessioni di Eva.
Si decise e prendendolo sotto braccio: -Sai Mike, ho da svelarti un segreto.-
- Finalmente ti sei decisa a confessare che mi ami e che non mi vuoi sposare perché hai dieci figli!-
-Dai! Non scherzare. La cosa è seria. Io ho parlato con la sorella di Hunter.-
L’espressione di Mike cambiò. I suoi lineamenti divennero duri, guardò fisso dinanzi a sé e disse: -Potevi farne a meno.-
-Non ho rivelato nulla su di te e sulla tua esistenza. La mia curiosità è stata irresistibile e sono andata a trovarla.-
-Brava! Hai dunque conosciuto quella mia eventuale zia!-
-Non essere sarcastico Mike! In fondo non ho fatto niente di grave!-
-Talora la curiosità eccessiva può essere una colpa.-
-Sei animato dal tuo antico astio verso quella gente.-
-No. Avrei preferito non rinvangare le mie disgrazie.-
-Quella donna ha cercato di negare la realtà, poi si è convinta e ha ammesso che Theo ha avuto un figlio.-
Mike aveva uno sguardo indecifrabile, teneva le labbra serrate e i suoi lineamenti erano tesi. Gli strinse il braccio, ma parve improvvisamente insensibile.
-Ha affermato che lo ha avuto dalla relazione con una donna araba.-
Si voltò a guardarla; i suoi occhi erano sempre freddi e turbati.
-La teneva in casa e lei restò incinta,- continuò Elena. - Morì subito dopo il parto e gli affidò il bambino. Eva assicura che non volle tenerlo più di qualche anno, dopodiché lo portò alle suore. Secondo me, ha mentito, non ha detto che deve avergli fatto il lavaggio del cervello perché se ne sbarazzasse.-
Il giudice rimaneva con la testa abbandonata all’indietro. Dopo parlò e la sua voce era cupa.
-Non saprò mai se è veramente mio padre, poiché per averne la certezza dovremmo fare entrambi la prova del DNA. Ho deciso che non m’interessa e non voglio saperlo.-
-Dovresti però cercare di perdonare, Mike, di pensare a lui come a un povero uomo che non ha avuto il coraggio e la forza di crescerti. Invece sembrerebbe che il solo ricordo ti faccia male.-
-Sì, perché io ricordo quell’uomo, so che gli volevo bene e avevo fiducia in lui.-
Quelle parole erano toccanti. Elena gli strinse nuovamente il braccio e questa volta le prese la mano e gliela baciò.
-Non parliamone più, d’accordo? Tanto non approdiamo a niente.-
Il volo di ritorno fu tranquillo e sicuro. Non s’accorsero del trascorrere del tempo e quando si ritrovarono nel caos dell’aeroporto Kennedy, rimpiansero i luoghi incantati che avevano lasciato.

Una nuova sorpresa attendeva Elena al suo rientro a casa.
Era ormai sera inoltrata. Aprì la porta d’ingresso e vide, avvinghiati sul divano, Giacomo ed Amanda. Si stavano baciando con trasporto e quando udirono la porta aprirsi, balzarono e si svincolarono come due anguille.
Non s’aspettava di vedere quella scena, ma reagì con disinvoltura.
-Salve! Che piacere vedervi! Vedo che avete fatto amicizia. Il nostro aereo è arrivato poco fa. Ci siamo divertiti un mondo!-
Giacomo fu il primo a riaversi dalla sorpresa.
-Ciao Elena, sai noi due abbiamo scoperto di amarci e di voler stare insieme. Entrambi siamo liberi da impegni sentimentali e dunque..…..-
Amanda era rossa in viso, con gli occhi bassi, appariva in imbarazzo.
-La timidezza mi ha sempre impedito di trovare qualcuno che non mi prendesse in giro e che mi volesse bene veramente. Giacomo mi ha fatto capire di comprendermi e di accettarmi come sono.-
Elena si sentì entusiasta: - Evviva! Bene, accidenti! Sono contenta! Ho una cognata che farà felice mio fratello!-
I due innamorati si guardarono negli occhi e sorrisero.
-Tuo fratello è una persona meravigliosa, espansivo, giocherellone, il contrario di me. Forse per questo ci siamo attratti. Prometto di non deluderlo.-
Lui era agitato.
-Non sai come sono felice, sorellina! Finalmente avrò una vera moglie. Quella del paese è vissuta poco tempo, poverina. Credo di non essere mai stato innamorato come ora.-
Cominciarono a parlare di combinare il matrimonio. Non vi era alcun impedimento e non avevano bisogno di attendere. La conversazione si fece allegra e animata. Elena voleva sapere se Tim ne fosse informato.
Poi immaginò che, al matrimonio, tutti si sarebbero vendicati e sbizzarriti in mille scherzi. Giacomo assicurò che sarebbe stata una cerimonia allegra. Amanda rideva, parlava poco e lo guardava adorante. Furono d’accordo per celebrare il matrimonio il mese successivo. Nel frattempo, i futuri sposi avrebbero cercato casa e organizzato i festeggiamenti.
-Il mio regalo di nozze sarà una sorpresa-, fece Elena -e naturalmente voglio essere testimone.-
-Mi piacerebbe che fossi mia testimone,- disse Amanda.
Elena l’abbracciò sotto lo sguardo commosso di Giacomo.



14

Nessuno può vivere solo. Completamente solo. Isolato da tutti. Il destino rende l’uomo, sul finire dei suoi anni, sempre più desolato e la compagnia di un altro essere umano può aiutarlo. Questi erano i pensieri di Elena, mentre si recava alla pizzeria. In fondo suo fratello, senza rendersene conto, era stato sempre alla ricerca di qualcuno con cui condividere l’esistenza. Qualcuno d’amare, che gli facesse veramente compagnia. Avevano abitato insieme in quegli anni, tuttavia si capiva che non era soddisfatto. Le voleva un bene enorme, ma non stava volentieri in quella casa ed era sempre fuori. Aveva bisogno di una dimora sua e di una compagna che fosse disposta a dedicargli la vita. Sembrava che l’avesse trovata! Si sentiva soddisfatta e si accorgeva di essere profondamente affezionata a Giacomo.
Le sorprese non erano però finite.
Arrivando al locale, vi trovò Henry che stava conversando con Don Carlo.
-Guarda chi si vede! Ti sei fatto vivo finalmente! Che piacere riabbracciarti!-
-Ciao Elena. Avevo proprio desiderio di rivedervi! Mi mancavate.-
Lo abbracciò. Gli diede delle pacche sulle spalle come un amico ritrovato. Don Carlo aveva un’espressione compiaciuta e sorrideva.
-A che ora siete arrivati ieri sera? E’ andato tutto bene?-
-Siamo tornati tardi. Ci siamo divertiti. Ho visto cose meravigliose e ho trascorso i giorni incantevoli. Ho da comunicarvi una bella notizia!-
-Oh, era ora! Vi siete decisi? Vi sposate?- Don Carlo era contento.
-Macché! Che cosa ha capito! Si sposano Giacomo e Amanda.-
-Chi! E chi è Amanda?-
-Non ricorda? E’ la sorella di Tim. Credo che mio fratello abbia avuto il classico colpo di fulmine.-
-Ah sì, ora ricordo! Quella bella donna! Bene! E’ riuscito a conquistarla.-
-A quanto pare hanno deciso di sposarsi il mese prossimo.-
Giacomo era venuto fuori delle cucine e si era accorto della presenza di Henry. In quel momento era nell’identica posizione sentimentale di un’allodola in amore. Poco mancava e si sarebbe messo a cantare stornelli amorosi. Gli balzò l’idea di telefonare a Gim per invitarlo alla pizzeria. Avrebbe fatto incontrare i due amici. Sarebbe stata una sorpresa per tutti. Doveva solo fare in modo di trattenere Henry. Si mise all’opera e compose il numero telefonico. Gim rispose e domandò: -Venire subito? Perché?-
-Vieni e poi te lo dico. Per favore ragazzo!-
-D’accordo, arrivo.-
Adesso si trattava di non fare andare via il paraplegico. Avanzò con passo atletico e afferrò Henry alle spalle.
-Sei tornato mascalzone! Non ti muovi più! Brindiamo alle mie prossime nozze!-
Don Carlo sembrava offeso. Aveva l’aria sostenuta di una persona in disappunto.
-Non mi avevi detto nulla farabutto! Vorrà dire che non ti farò nessun regalo.-
-Cosa? Stamani lei non c’era, altrimenti sarebbe stato il primo a saperlo.-
-Già tutte scuse! Io non verrò neppure al matrimonio. Ah, ah, ah.-
Elena prese una bottiglia di Champagne.
-Il mio fratellone si sposa! Ehi ragazzi, venite brindiamo!-
I dipendenti del locale si unirono all’allegria. Dopo un po’, Henry cominciò a salutare.
-Fermo là, dove vuoi andare!- Il futuro sposo l’aveva bloccato.
-Beh, adesso devo proprio andare. Prometto che verrò al matrimonio.-
-Aspetta, che premura hai?-
-Sai, ho un appuntamento per andare al cinema.-
-Sì, tra poco te n’andrai. Intanto bevi alla mia salute.- E riempiva il bicchiere del ragazzo.
Henry dopo aver bevuto varie volte, fece di nuovo per andare.
-Ma no! Rimani con noi! Dopo tanto tempo, vuoi andar via così presto?-
Elena si meravigliò di quell’insistenza.
-Giacomo, se ha un appuntamento, lascialo andare.-
-No, rimane.-
Non c’era verso che lo facesse muovere. La cosa diveniva strana e anche comica.
Intervenne Don Carlo: -Lascialo in pace, scusa!-
-No, da qui non si muove!-
Intanto Gim stava entrando. Henry si volse. Gli occhi dei due amici s’incontrarono. Fu come quando s’alza un sipario: il silenzio divenne palpabile, pareva che il locale fosse divenuto deserto. I ragazzi non udivano più nulla. La sala era ovattata, come fuori del mondo. Il paraplegico spinse la propria carrozzella verso Gim. S’abbracciarono. La scena avrebbe commosso anche uno spirito incallito. Elena aveva gli occhi umidi. Don Carlo si soffiava il naso e Giacomo era gongolante e sghignazzava. Si erano ritrovati! Dopo un anno di separazione, i due amici s’incontravano, si guardavano negli occhi e avevano l’impressione di essersi lasciati il giorno prima. La felicità era evidente. Non parlavano, continuavano ad abbracciarsi e a ridere.
-Eroe, hai capito adesso perché ti ho fatto venire?- Giacomo aveva l’aria di chi la sa lunga.
-Bravo! Mi hai fatto proprio una bella sorpresa!-
Come se questo non bastasse, entrò Amanda e il fidanzato l’abbracciò festante.
-Ehi ragazzi! Questa è la mia futura moglie!-
Le voci che seguirono furono di contentezza generale. Le frasi salaci non furono risparmiate. Tutti guardavano Amanda e la poverina era arrossita.

Poco dopo, tutti tornarono alle loro consuete occupazioni ed Elena invitò la cognata nel suo ufficio.
-Vieni con me e chiacchieriamo un pochino.-
Si sedettero e Amanda si guardò attorno. Scorgeva carte e incartamenti ovunque, carpette e fogli pieni di numeri.
-Strano che ti debba occupare tanto di calcoli, cifre e contabilità, se non sbaglio ami invece scrivere novelle.-
-Sì è vero, mi rilassa e m’appassiona poter raccontare e inventare storie. Però vedi, questo è il mio lavoro, è impegnativo, ma in compenso mi lascia un margine di libertà non indifferente.-
-Sai Elena, ho bisogno di confidare a qualcuno un segreto, una cosa che mi tormenta da sempre.-
-Se vuoi, sarai per me una sorella e farò di tutto per meritare la tua fiducia.-
-Avrai notato che sono piena di timori, come se il mio prossimo fosse sempre pronto ad aggredirmi. Il motivo c’è e me l’ha confermato anche uno psichiatra.-
-La cosa non mi ha stupito. Ognuno di noi è fatto a modo suo. Al mio paese affermavano che la donna deve stare con gli occhi bassi. Ah, ah ah.-
Amando sorrise, con quel suo sorriso dolce ed affascinante, fatto di denti smaglianti.
-La mia famiglia arrivò dalla Francia e si stabilì a New Orleans. Io sono nata in quella città. I miei genitori morirono giovanissimi e sono cresciuta con i nonni, insieme a Tim.-
-Anche tu dunque non sei originaria degli Stati Uniti. Come vedi, qualcosa ci accomuna-.
-Avevo circa sette anni, quando mi accadde una cosa gravissima che mi ha segnato per sempre.- I suoi lineamenti erano divenuti tesi. Elena l’osservava con sollecitudine.
-Uno zio frequentava molto spesso la casa dei nonni, era un tipo anziano, scherzoso e mi faceva giocare. Un pomeriggio, eravamo rimasti soli poiché i nonni erano usciti con mio fratello. Ricordo perfettamente il momento in cui abusò di me che non capivo cosa mi stesse facendo.-
Le lacrime solcavano il suo viso e un’angoscia profonda era apparsa in quegli occhi bellissimi. La sua interlocutrice le prese la mano e gliela strinse con affetto e solidarietà.
-Su Amanda, non pensarci più! La perversione umana è quanto di più riprovevole possa esistere. Tu eri una bimba innocente e non potevi difenderti. Non hai colpa di nulla. E’ comprensibile che sia rimasta timida ed inibita.-
-Elena, quell’uomo mi fece terrorizzare! Disse che non avrei mai dovuto raccontare niente a nessuno e così, per molto tempo, non parlai. Dopo qualche anno morì e allora narrai tutto alla nonna, che mi proibì anche lei di farne cenno.-
-Povera Amanda!-
-Non sai quanto bene mi fa parlare con te! Confidarmi con una persona comprensiva!-
-Anche a me, da adolescente, è successa una cosa analoga.-
-Sì lo so, ho letto quella tua famosa novella.-
-Temo di essere rimasta anch’io segnata.-
-Sai, non so se dovrò mai svelare a Giacomo il mio segreto.-
-Sì, devi farlo. In primo luogo perché non vi siano segreti tra voi, e poi mio fratello è buonissimo e saprà aiutarti.-
-Ho paura. Temo che possa restare male.-
-Che dici! Giacomo è una persona impulsiva, ma ho capito che è innamorato di te e saprà comprenderti.-

Mike camminava per le vie di New York verso il palazzo di giustizia.
Era sereno e colmo di buone speranze. Difatti sentiva che il suo legame con Elena stava sempre più consolidandosi. Il loro rapporto assumeva tutto l’aspetto di una relazione amorosa. Si sentiva sempre più innamorato. Avere trascorso quei giorni insieme, soli, felici, l’aveva reso pieno d’eccitazione. Sapeva ormai che Elena era la sua donna e alla fine si sarebbe decisa a sposarlo. Era solo questione di saper aspettare. Aveva dovuto adoperare tutta la sua forza di volontà per non cedere alla tentazione di portarla a letto. Sapeva che ancora non era pronta, che si sarebbe rifiutata, non per mancanza d’amore, ma perché un blocco psicologico l’attanagliava.
Elena! Il suo nome risvegliava dolci pensieri, sensazioni di gioia e tormento. Rivedeva quel viso espressivo e bello, dai lineamenti accattivanti e si sentiva in estasi. Capiva cosa volesse dire essere disposto alle più grandi pazzie per una donna.
Girò l’angolo, là dove si trovava la solita edicola e vide il nome di lei. Restò colpito. Poi guardò meglio e s’accorse che si trattava della rivista edita da Garyson. Vi era pubblicizzato un nuovo racconto. Si doveva trattare della storia che riguardava la sorella di Andrew. Elena ancora non lo sapeva. Pensò di portarle la rivista e di farle una sorpresa.
Ma la sorpresa l’avrebbe ricevuta lui.
Arrivando, aveva bussato e aveva udito delle grida. Era salito di corsa e l’aveva trovata agitata. Stava parlando al telefono.
- L’avete portata all’ospedale! Oh no! Come sta? E’ viva?-
Dopo, posò l’apparecchio e si buttò tra le sue braccia.
-Olga ha avuto un altro ictus. E’ ricoverata in fin di vita. Al telefono era Sara.- Piangeva e i singhiozzi la scuotevano.
Mike era rimasto paralizzato. Anche lui amava quella donna di un amore particolare. Sentiva il cuore spezzato, ma doveva infondere coraggio ad Elena.
-Dolcezza, non è detto che muoia. Andiamo subito a trovarla. Vedrai che ce la farà!-
Giunsero velocemente al nosocomio. La trovarono gravissima e i medici fecero capire che le restava solo qualche ora di vita. Tuttavia Olga capiva e teneva gli occhi aperti. S’accorse della loro vicinanza e accennò un sorriso vago e mesto. Poi mosse appena la mano ed essi si avvicinarono. Riusciva a parlare: -Miei cari ormai la vostra amica vi lascia. Me ne vado felice perché vi vedo insieme e so che sarà per sempre.-
La voce era flebile e l’ansimo notevole.
-Non dire così, tu resterai con noi.-
-Ho visto Sara con il marito.-
In un cantuccio, c’erano Sara che piangeva e il marito che la confortava. Tra i due pareva che vi fosse una normale armonia. S’accostarono.
-Ragazzi rimanete insieme. Rispettatevi, crescete con saggezza vostro figlio. Ditegli che Olga è andata in paradiso.-
Adesso quasi rantolava. Tutti piangevano. Anche Mike non riusciva a trattenere le lacrime.
-Vi ho voluto tanto bene.-
Aveva chiuso gli occhi. Quella dichiarazione d’amore l’aveva pronunziata a spezzoni. Erano state le sue ultime parole prima d’esalare l’estremo respiro.
Elena s’inginocchiò e la guardò disperata. Chinando il capo su quel letto di morte, singhiozzò a calde lacrime. Mike la sollevò e s’abbracciarono, uniti dal dolore che solo chi perde una persona amata può comprendere. Quando si calmarono, pensarono al funerale.
La cerimonia fu celebrata il giorno successivo. Una folla inaspettata vi partecipò. Olga era conosciuta da molte persone avendo trascorso la sua esistenza a fare del bene e a prodigarsi in opere di assistenza. Ora che se n’era andata, si ricordavano di quella dolce signora che aveva un sorriso e una parola buona per tutti.
Al cimitero, Elena piangeva. Giacomo e Don Carlo stavano in silenzio. Sara e il marito, tenendosi per mano, guardavano la bara. Mike cercava di non allontanarsi dagli altri, ma era avvicinato da svariate persone.
Il sacerdote fece un’omelia di commiato toccante e significativa. Ricordò di avere avuto quella signora accanto nei momenti più difficili della sua missione. Una donna sempre pronta e disponibile per ogni opera di carità e ogni azione umanitaria.
Prima che la cassa fosse deposta, ognuno di loro vi depose un fiore.
Addio cara amica! Addio per sempre!
Elena pensò che un giorno avrebbe rivisto la sua Olga. Anzi non era neppure lontana. Era con il buon Dio e vegliava su di lei.
I convenuti si allontanarono. Salì sull’auto di Mike.
-Torneremo qualche volta a portarle dei fiori.-
-Certo dolcezza! Torneremo. Ieri, quando sono venuto, ti stavo portando una lieta sorpresa. Poi gli eventi non mi hanno dato il tempo di parlartene.-
-Di che si tratta Mike?-
Lui allungò il braccio e prese la rivista.
-Guarda, c’è una cosa che ti riguarda.- Gliela porse contento di sollevarle il morale.
Elena guardò il giornale. -La mia novella! L’hanno pubblicata!-
Il dolore non era più cocente, la vita riprendeva a scorrere nonostante le cicatrici del cuore.
Mike la guardò: -Certo Olga ne sarebbe stata contenta. Dobbiamo farci animo Elena! Sento il cuore amareggiato poiché amavo quella donna, ma so che devo andare avanti per la mia strada. Spero d’averti accanto sempre, come lei ha detto.-
Non rispose; il capo chino, stava fissando la novella. Aveva l’impressione che non fosse la stessa. Sembrava importante, ben stampata e impaginata.
-Dovrò rimettermi al lavoro e continuare a scrivere. Hai ragione, non dobbiamo lasciarci abbattere. Riprendiamo la nostra vita. Il suo ricordo ci accompagnerà sempre!-
-Tra l’altro- aggiunse lui -Giacomo vorrà celebrare il suo matrimonio. Mi diceva, a proposito, che ha trovato una piccola casa. I preparativi ti serviranno come distrazione.-
Stavano tornando verso Little Italy.
La giornata era splendida. A Giugno, New York era meravigliosa. Il verde dei parchi rigoglioso, le fontane effondevano la loro acqua e qualcuno n’approfittava per bere.
Era bella quella città! Elena aveva imparato ad amarla come una parte di se stessa. New York le aveva offerto una nuova vita, varie amicizie, lavoro, benessere. Le aveva dato la possibilità di formarsi una cultura. Le stava offrendo l’opportunità di scrivere, di scoprire quel lato sconosciuto della sua personalità. Come aveva fatto per migliaia di immigrati di tutto il mondo, quella città le aveva dato il modo di rifarsi un’esistenza!
Mike la lasciò al locale dopo averle depositato un bacio sulla mano.
Don Carlo la confortò.
-Coraggio Elena! La vita continua!-
-Ha ragione. Anzi, pensavo che tra qualche tempo ci sarà il matrimonio di Giacomo. Vorrei che potessimo organizzare il ricevimento qui. Mio fratello pagherà ogni spesa.-
-Questo non lo permetterò. Contavo d’offrire il pranzo di nozze come regalo. Cucineremo qualcosa di speciale.-



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Gabriella Cuscinà
Senatore


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Inserito - 15/03/2007 :  19:14:03  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Gabriella Cuscinà Invia un Messaggio Privato a Gabriella Cuscinà
15


Mancava poco al famoso matrimonio e lo sposo era sempre impegnato con il suo lavoro.
-Giacomo devi comprarti il vestito per la cerimonia,- diceva Elena.
-Sì, sì, appena ho un minuto libero andrò,- rispondeva lui. Invece non andava mai. L’occupazione di capocuoco era gravosa.
-Hai acquistato dei mobili per la tua nuova casa?-
-No, ma ci penserò subito.-
La sorella si rivolgeva alla sposa.
-Amanda, ma non ha ancora preparato nulla!-
Quella era pacifica e serena. Aveva fiducia in lui e non si scomponeva.
-Non preoccuparti Elena, vedrai che penseremo a tutto.-
A proposito del pranzo di nozze, Giacomo aveva saputo del regalo di Don Carlo. Aveva tossito, aveva abbassato i suoi occhi nerissimi, si era grattata la testa e poi aveva esclamato: -Porca miseria! Don Carlo, ma vi costerà un patrimonio! Io ho intenzione d’invitare molta gente.-
-Puoi invitare tutta New York! Io so che da quando sei in cucina, i miei guadagni sono raddoppiati.-
Un giorno, effettuò l’acquisto dell’abito. Ne capiva poco in fatto di gusto e raffinatezza. A Elena non sarebbe piaciuto. Comprò uno smoking celeste, di stoffa molto leggera, con i risvolti di raso, una camicia bianca, una cravatta pure celeste di raso, scarpe e calze bianche. Era tutto orribile, ma Giacomo non se ne rendeva conto, felice d’aver trovato quello che cercava. Unico intoppo: bisognava fare dei ritocchi alle misure. Tornò al locale e annunziò a Don Carlo d’aver compiuto l’acquisto.
-Dovranno consegnarmelo tra breve; vi erano delle modifiche d’apportare.-
A quello s’accese un lume! Poteva essere l’occasione propizia per giocare a Giacomo uno scherzo e finalmente, rendergli pan per focaccia.
-Ah davvero? Perché, cosa c’era che non andava?-
-Mi veniva un po’ stretto e devono allargarlo.-
-Dove l’hai acquistato? Qual è il negozio?-
Il futuro sposo fornì queste informazioni senza nulla sospettare.
Il giorno successivo, Don Carlo si recò al negozio indicatogli. Spiegò al proprietario le sue intenzioni e dichiarò d’aver bisogno che lo sposo ricevesse lo stesso abito non modificato. Poi naturalmente, all’ultimo momento, avrebbe ricevuto quello adatto. Il proprietario si mise a ridere e fu d’accordo per lo scherzo, a patto che fosse ripagato per l’affitto di un altro abito.
-Naturalmente! Non c’è problema! Non si preoccupi.-
Pregustava la faccia che avrebbe fatto Giacomo allorché si fosse accorto che il vestito da cerimonia gli andava stretto!
La futura sposa comprò i mobili per la stanza da letto.
Il fidanzato chiese: -Amanda, è lungo il letto? Non vorrei dormire con i piedi fuori.-
Scoprirono che, essendo un letto basso e moderno, non era conforme alla sua altezza.
-Io non ci potrò dormire!-
Trovarono allora una specie di monumento che sarebbe stato adatto al gigante Golia!
Don Carlo, tornando all’argomento del vestito, disse di voler essere presente alla vestizione.
-La cerimonia religiosa sarà alle undici, verrò da te per le nove del mattino.-
-Ma no, lasci stare grazie, farò da solo.-
-Verrò; l’aiuto di un altro uomo è sempre importante.-
-Non venga, mi sentirei imbarazzato. Ah, ah, sono un timido, ah, ah.-
-Timido! Un manigoldo come te! Lascia che venga e ti sarò utile.-
Elena s’era unita e chiedeva: - Fratellone hai acquistato i mobili per la cucina? No? Dai! Usciamo con Amanda.-
-Non è possibile, devo ritornare a lavorare.-
-Ma non dire sciocchezze,- intervenne Don Carlo - qui ci penseremo noi.-
-Va bene, andiamo.-
Passarono a prendere la futura sposina che era sempre soddisfatta e contenta di tutto. Si recarono in uno di quegli ipermercati dove chiunque può fare acquisti importanti. Giacomo avvistò dei mobili da cucina di grandi dimensioni, con accessori annessi.
-Bene! Compriamo questi.-
Amanda disse: -Sì, se ti piacciono.-
-Scusa, ma che proporzioni ha il vano da arredare?- fece Elena.
-Oh! E’ vero! E’ un vano stretto. No, questi mobili sono troppo grandi. Cerchiamone degli altri.-
Vide dei mobili poco voluminosi, ma con forno e frigo grandissimi.
-Ecco, forse ci siamo!-
-Sei abituato a lavorare nella cucina di un ristorante. Giacomo, a casa tua non avrai bisogno di fare ristorazione.- Elena era sempre buona consigliera.
-Hai ragione, cerchiamo ancora.-
Solo che nel dimenarsi tra i vari espositori del reparto, andò a sbattere contro una pila di batterie da cucina. Nel crollare a terra, tutto l’armamentario produsse un rumore fragoroso! Gli avventori si girarono e accorsero dei dipendenti. Un bimbetto che stava correndo felice, inciampò tra le varie pentole e scivolò. Fortuna volle che rimase illeso. Elena aveva temuto il peggio. Vollero rimettere tutto a posto, ma il direttore assicurò che non c’era stato danno e che non dovevano preoccuparsi. Finalmente trovarono quello che faceva al caso degli sposi e ordinarono tutto. Giacomo firmò un assegno e si avviarono all’uscita.

Incontrarono Jak, il famoso personaggio dello scherzo dell’orologio. Questi si fermò e li fissò. Altero e ancora offeso, proseguì senza salutare.
Il futuro sposo gli andò dietro e lo bloccò.
-Jak! Non mi saluti! Dai, finiscila di pensare sempre a quel benedetto orologio! Stringiamoci la mano. Guarda, ti presento la mia futura moglie e mia sorella.-
Amanda mostrava di conoscere l’individuo. Elena fu sollecita a salutare e a presentarsi. Jak fissava la fidanzata di Giacomo.
-Noi ci conosciamo bene! Anzi potrei dire che siamo stati a letto insieme. Ah ah ah ah ah. Invece, lavoravamo solo nella stessa azienda.-
Giacomo era rimasto interdetto.
-Ah! Vi conoscevate!-
La gelosia s’era insinuata in lui.
Amanda rispose: -Eravamo impiegati nello stesso ufficio, ma Jak non lavora più da noi.-
Appariva imbarazzata.
-Chi la fa, l’aspetti! Ora avrai il dubbio, ma sappi che la tua fidanzata è un esempio di rara serietà. Comunque sei perdonato. Invitami al tuo matrimonio. Ciao a tutti.-
Aveva salutato e se n’era andato, lasciando Giacomo con l’amaro in bocca. Lui non sapeva d’essere geloso, invece in quel momento si sentiva come Otello dopo le rivelazioni di Iago. Riprese a camminare, ma era cupo in viso e non guardava più Amanda.
La sorella lo sollecitò: -Giacomo non pensare a ciò che ha detto! Voleva solo farti arrabbiare. Abbi fiducia nella donna che ami.-
-Sì certo.-
Restava però muto e con lo sguardo turbato.
-Era un impiegato come tanti altri, ha voluto scherzare e farti ingelosire.-
La povera Amanda era frastornata, tanto che nell’attraversare la strada, non badò ad un’auto che sopraggiungeva e sarebbe stata investita, se il fidanzato non fosse stato pronto a bloccarla abbracciandola.


Arrivò il fatidico giorno del matrimonio.
La celebrazione religiosa era stata fissata in una chiesa cattolica, per le undici del mattino. Lo sposo doveva trovarsi all’altare a quell’ora. La sposa sarebbe sopraggiunta subito dopo.
In casa di Elena fervevano i preparativi. L’ansia e l’eccitazione erano palpabili. Più che una casa, pareva una bolgia dell’inferno! C’erano vestiti ovunque, scarpe sparpagliate, saponi, profumi vari dappertutto.
L’occasione era unica ed importante. Giacomo s’era infilato dentro la vasca e non veniva fuori.
-Hai deciso di diventare un baccalà?- lo sollecitava la sorella.

Alle nove, si presentò Don Carlo. Elegantissimo, in tàit grigio e nero. Aveva i capelli lucidi e ai polsi sfoggiava dei gemelli di brillanti.
-Accipicchia che eleganza! Complimenti Don Carlo!- fece Elena.
Adesso lo sposino aveva terminato le sue abluzioni. Spandeva un profumo intenso, persistente, dalla fragranza vagamente muschiata.
-Chissà perché ancora non hanno mandato l’abito. Comincio quasi a preoccuparmi.-
Invece poco dopo, arrivò il fattorino con il pacco.
-Oh finalmente!-
Andò in camera sua, seguito da Don Carlo.
-Non ho bisogno d’aiuto, grazie.-
-No, Giacomo in due è meglio che da soli e poi non dirmi che ti vergogni di me!-
-Ma figuriamoci!-
Lo sposo apparve in tutta la sua possanza da Maciste! Indossò della biancheria intima nuova. Infilò una camicia di seta bianca e i pantaloni. Questi erano stretti di vita e corti di gamba!
-Colpo di mille bombe!- esclamò esterrefatto.
Provava ad abbottonare il cinto, tirava, e non riusciva a chiudere i bottoni!
-Perbacco! E’ stretto! Non posso indossare questi pantaloni! Accidenti! Che abito mi hanno mandato!-
Era fuori di sé.
-Tira indietro la pancia, scusa, dai che ce la fai!-
Don Carlo era invece divertissimo.
-Non si tratta di pancia. Questi pantaloni non sono stati modificati. E ora come faccio?-
-Prova la giacca. Stai calmo. Se va bene, nasconderà i pantaloni.-
-Sono corti! Non posso metterli!-
-Dai! Infila la giacca!-
Anche quella però, era stretta e corta di maniche.
La furia delle Erinni, in quel momento, era poca cosa a confronto dell’ira di Giacomo!
-Che il diavolo se li porti! Accidentaccio! Quelli del negozio mi hanno mandato un vestito sbagliato!-
-Ah, ah, ah, ah.- Don Carlo non aveva mai riso tanto, provocando il nervosismo dello sposo.
-Non vedo cosa ci sia da ridere! Capisce che non posso andare a sposarmi così! Sembro Charlot!-
-Ti piace fare scherzi, eh Giacomo! Lasciami divertire! Questa volta te n’ho fatto uno io, ah, ah, ah, ah.-
-Cooosa?! Uno scherzo? Questo vestito è uno scherzo? E dov’è l’abito giusto? Don Carlo, sono tutto sudato! Dovrò rifarmi la doccia! Amanda tra poco sarà in chiesa! Siamo rovinati!-
-Ah, ah, ah! Sei tutto sudato! Ah, ah, ah. Non fare così, a momenti arriva l’abito!-
Invece non arrivava. Aspettavano, passeggiavano.
Elena telefonò al negozio per sollecitare. Le fu risposto che il commesso era per strada. Invece non giungeva. Anche l’autore dello scherzo cominciava ad agitarsi. S’era fatta l’ora in cui avrebbero dovuto trovarsi in chiesa. Giacomo era infuriato! La sorella preoccupatissima! Don Carlo afferrò il telefonino.
-Pronto, Amanda, dove ti trovi? Giacomo ha avuto un contrattempo con l’abito. Appena è tutto a posto, ti richiamo.-
-Un contrattempo, un corno! Accidenti! Accidentaccio! Tutto per colpa sua!-
Lo sposo era proprio fuori di sé.
Arrivò il sospirato abito! Lo indossò stile Superman e telefonò alla sposa assicurando che stava per avviarsi. Arrivarono contemporaneamente in chiesa. Lui corse dinanzi all’altare dando l’impressione di disputare i cento metri piani.
Fu una cerimonia commovente.
Alla pizzeria, tutto era stato predisposto in modo sontuoso. Il luogo non pareva più lo stesso. Addobbato, con sobrietà, di fiori colorati. I tavoli erano apparecchiati con porcellane e cristalli. Gli invitati erano tutti elegantissimi. Elena aveva indossato un abito di classe, attillato, scollatissimo, che metteva in risalto il suo incarnato e i suoi capelli castani.
I regali furono dei più svariati e simpatici.
C’erano tutti. Finanche Mr. Garyson e Theo Hunter. Erano presenti pure Sara con il marito e il piccolo George.
Il banchetto consisteva in pasta, pesce, carne, dolci e gelati di vario genere. Si erano aperte le danze e gli sposi ballavano, tra i lazzi e i sorrisi di tutti. Elena ballava con Mike. Mentre volteggiavano, si trovarono vicini al tavolo di Theo Hunter che guardò il magistrato con un sorriso indecifrabile. A un certo punto si alzò.
-Toh! Chi si rivede! Il signor giudice. Come va figliolo?-
Mike l’aveva scrutato.
-Bene signore, grazie, lei come sta?-
-Perché non si è fatto più vedere? M’ero affezionato a lei.-
L’imbarazzo dell’altro era evidente e palpabile.
-Beh, quando un procedimento giudiziario è concluso……..-
-Sì, ma lei mi piaceva, mi stava sempre alle calcagna. Mi piaceva figliolo.-
-Sono contento di questo. Ora ci scusi.-
E riprese a ballare. Elena lo guardava.
-Non dire nulla! Per favore non dire nulla!- le disse.
Era impenetrabile, rabbuiato.
Giacomo ed Amanda erano al settimo cielo! Non si erano aspettati tutta quella magnificenza.
Ma la sorpresa maggiore doveva ancora arrivare!
Ormai il ricevimento volgeva al termine e gli sposi stavano salutando, prima di salire sull’auto che li avrebbe portati all’aeroporto.
Elena aveva notato, in fondo alla sala, una donna anziana e dimessa che era entrata e si guardava intorno. Tra gli auguri e gli applausi, Amanda aveva lanciato il suo mazzo di fiori ed era salita in auto. Finalmente gli sposi erano partiti! S’avvicinò alla donna appena entrata e chiese cosa desiderasse.

16

-Vengo a trovare i miei figli,- disse -si chiamano Giacomo ed Elena.-
Un lungo brivido le percorse la schiena. Pensò, in un primo momento, di non aver udito bene. Era rimasta di ghiaccio e non riusciva a proferire parola. Quella donna aveva parlato in italiano e continuò: -Signorina mi perdoni, non parlo l’inglese, lei capisce la mia lingua?-
Si riscosse: -Sì sì, parlo italiano e la comprendo perfettamente. Ma lei chi è scusi?-
-Arrivo adesso dall’Italia e vengo a cercare i miei figli, che lavorano qua. Forse però ho sbagliato il momento.-
Era pallida, stanca e smarrita. I capelli grigi, appuntati dietro la nuca. Aveva occhiaie profonde. Le mani rovinate e raggrinzite tremavano. L’espressione degli occhi era triste. Occhi belli, grandi, di un nero vellutato.
-Venga, andiamo nel mio ufficio, parleremo con più calma.-
La fece accomodare.
-Ha detto che i suoi figli si chiamano Elena e Giacomo?-
-Sì. Credevo che li avrei trovati qua.-
-Lo sposo che stavamo festeggiando era Giacomo.-
-Lui! Non l’ho visto. Era lo sposo?-
-Io ehm, eh eh, sì, io sono Elena- affermò con voce incerta.
La donna ebbe un sussulto. Poi divenne ancora più pallida e le mani s’agitarono maggiormente.
-Non mi conosci vero? Non mi riconosci figlia mia!-
Aveva portato le mani al volto e singhiozzava, destando compassione.
-Non posso ricordare, poiché ero molto piccola quando sei andata via.- Sentiva un tremito interno, che non aveva mai provato.
-Ho sbagliato tutto nella mia vita, perdonami, oh perdonami!-
Elena dapprima restò immobile. Non parlava e pareva inebetita. Intanto sentiva una pena struggente. Senza rendersene conto, allungò un braccio a sfiorare la spalla della donna. Quella la guardò con il volto inondato dalle lacrime. Protese timidamente le mani. L’abbraccio fu inatteso. Anche Elena piangeva.
In quel momento, Mike entrò e la scena lo colse impreparato. Restò interdetto, con espressione incredula.
-Ti stavo cercando, stanno andando via tutti e ti vogliono salutare.-
-Vieni Mike, ti presento mia madre!-
Il giudice ebbe l’impressione di sognare.
-Tua madre!-
Era entrato pure Don Carlo ed aveva udito le ultime frasi. Il silenzio, a questo punto, era tombale!
-Sì, sono Pina, sono la madre di Elena e Giacomo, ma ora andate a salutare i vostri ospiti.-
Si guardarono in viso e senza dire nulla uscirono. Salutarono gli invitati e tornarono dalla donna.
-Io sono il proprietario del locale. I suoi figli lavorano qui, signora- si presentò Don Carlo.
-Io sono il giudice Mike Light, piacere.-
Conoscevano la storia di quella donna, ma facevano finta di non sapere nulla. Comunque l’imbarazzo era tangibile ed Elena cercava di non farlo pesare.
-Mia madre è arrivata dall’Italia ed è molto stanca. Vorrei che venisse a casa mia.-
La signora Pina non avrebbe voluto invadere la vita della figlia, ma quella chiese a Mike di accompagnarle.
Poco dopo, con la sua auto, il giudice le lasciò dinanzi casa e andò via.
-Il mio appartamento è piccolo e l’ho condiviso con Giacomo. Ora potrai prendere il suo posto.- Come il solito, si mostrava generosa.
-Grazie, accetto figlia mia, ma non vorrei esserti di peso.-
-No, però dovrai anche trovare un’occupazione. Qui a New York, tutti lavorano.-
-Certo! Io da quando vi ho lasciato, non ho fatto altro che sgobbare!-
-Che cosa hai fatto di preciso?-
Non riusciva a chiamarla mamma. Non sapeva perché, ma non ci riusciva.
-Vuoi che ti racconti tutta la mia vita?-
-Sì, mi piacerebbe. Ma non sei obbligata.-
-Ascolta Elena. Tua madre si è comportata malissimo con voi. Ho abbandonato il marito e sei figli. Ma la mia colpa l’ho espiata con una lunga serie di disgrazie e dolori!-
-Mi dispiace, non sapevo.-
-E come potevi sapere! Quando ti lasciai, avevi sei anni. Ricordo che avevo perso la testa per un ambulante che veniva al paese a vendere la sua merce.-
-Non ho mai saputo chi fosse, però ricordo che soffrii.-
-Mi portò con sé in un altro paese e mi ospitò. Ben presto iniziò a mostrarsi violento e manesco. Mi bastonava e pretendeva che lo servissi come una schiava. Compresi d’aver sbagliato a dargli ascolto e a lasciarmi convincere, ma era troppo tardi.-
-Perché non hai cercato di tornare?-
-Tuo padre mi avrebbe scacciato, era inutile, sapevo che non mi avrebbe mai perdonato. Continuai a vivere con quell’uomo, ma la vita era divenuta impossibile.-
-Potevi rivolgerti alla polizia!-
-Mi vergognavo, avevo paura del giudizio della gente. Ogni sera si ubriacava e mi picchiava. Quando non ne potei più, scappai e mi rifugiai in un’altra località. Vissi in un ospizio per poveri e andavo a lavare scale per raggranellare quattro soldi. Mi ero ridotta proprio come una povera mendicante. Sfacchinavo tutto il giorno, ma non mi lamentavo.-
-Che esperienze terribili! Non avrei immaginato! I miei fratelli non parlarono più di te, ma non dimenticarono.-
-Credi che Giacomo non vorrà rivedermi?-
-Non credo, beh forse sì, non saprei.-
-Alla fine trovai una famiglia di brave persone e restai con loro per circa vent’anni. Avevano una bambina che ti somigliava e aveva la tua età. Abitavo con loro e mi dimostravano affetto e fiducia. Io li ricambiavo e in particolare ero affezionata a quella bimba. Purtroppo però, quando compì diciotto anni s’ammalò gravemente. Doveva subire il trapianto di un rene. Non si trovava il donatore. Mi offrii io e risultai compatibile. Dunque oggi vivo solo con un rene, ma sono felice d’avere salvato quella creatura.-
- Com’è strano mamma! Mi abbandonasti, ma poi hai rischiato la vita per un’altra ragazza!-
Elena l’aveva spontaneamente chiamata mamma.
-Sì figlia mia, t’abbandonai, ma non vi ho mai dimenticato! Prima di essere operata, ricordo che pensavo proprio a te.-
-Che ne fu poi di quella ragazza?-
-Visse felicemente, si è laureata e lavora come giornalista. Gira il mondo; fa l’inviata per un giornale.-
-E la sua famiglia? Perché la lasciasti?-
-Negli ultimi tempi, assistevo l’anziana nonna e mi occupavo di lei. Quando morì, tornai al paese e chiesi informazioni di voi. Seppi che tu e Giacomo eravate qui a New York. Decisi di raggiungervi anche perché in quella famiglia non avevano più bisogno di me.-
-Potrai abitare qui e se hai fatto assistenza agli anziani, potresti occuparti della stessa cosa. Cercheremo di recuperare il tempo perduto e di dimenticare il passato! In fondo, ogni essere umano commette degli errori, più o meno gravi, l’importante secondo me, è sapersi ravvedere e tornare sui propri passi.-
-Io non parlo la lingua. Come potrò assistere degli anziani?-
-In questa città, quasi tutti gli immigrati italiani nei primi tempi non hanno mai parlato bene l’ inglese. Poi lentamente s’impara. La lingua non è mai stata un impedimento per chi voglia lavorare in questo paese.-
-Va bene Elena, faremo come dici tu. Grazie figlia mia! Tua madre ha generato una creatura comprensiva che non meritava!-
-Non si tratta di meritare o non meritare. Ognuno di noi, nella vita, è responsabile delle proprie azioni e nessuno può veramente giudicarci. Io non ti giudico, mamma, spero solo che riusciremo a convincere Giacomo a fare altrettanto.-
-Per lui sono come morta, vero?-
-Non ha mai più parlato di te e so per certo che quando tornerà, resterà allibito di trovarti qui. Comunque per ora, non pensiamoci e diamoci da fare a cercarti un’occupazione.-
-Elena, un’ultima cosa voglio chiederti. Al paese mi raccontarono strane cose, terribili esperienze che avresti vissuto. E’ vero?-
-Quando avevo quindici anni, fui stuprata da un ragazzo vicino di casa. Successivamente, in una circostanza incresciosa, ebbi un rapporto carnale con un giovane sacerdote del paese. Se è questo che ti hanno raccontato, corrisponde tutto a verità.-
-Povera figlia mia! Eri senza madre. Oh come mi sento colpevole!-
-E’ inutile rinvangare il passato, non pensiamoci più.-


Mike non si fece vivo per alcuni giorni.
La signora Pina nel frattempo trovò lavoro presso un istituto per anziani, dove cercavano donne disposte ad aiutare dei vecchi ammalati.
Una mattina, Elena ricevette una telefonata: - Ciao, sono Mike. Ho una novità da comunicarti. Ci ho ripensato. In questi giorni mi sono sottoposto alla prova del D.N.A. -
-Mike è stupendo! Theo Hunter sarà contento. Andremo da lui e gli comunicheremo la novità.-
-Va bene. Ero sicuro che ti avrebbe fatto piacere. Tu piuttosto che mi racconti della signora Pina?-
-Oh poverina! Mi ha raccontato tutte le traversie e gli affanni della sua vita! Proprio un’esistenza infelice da quando ci ha lasciato! Adesso lavora presso un istituto per anziani ed è serena.-
-Sono contento dolcezza! Ci risentiamo e andremo da Hunter.-
Una bella mattina del mese di luglio, si recarono a casa dell’anziano signore. Mentre erano in auto, chiacchieravano cercando d’immaginare come avrebbe preso la cosa.
-Secondo me, ne sarà felicissimo,- diceva Elena.
-Sì, ma dovrà fare anche lui l’esame del D.N.A. Cosa dirà sua sorella?-
-Potrà dire quel che vuole. Ormai il fratello è abbastanza in età per decidere da solo.-
Venne ad aprire in pigiama. La sua magrezza era più evidente in quelle vesti. Theo doveva essersi svegliato da poco. Era più svanito del solito. Aprì la porta e restò a guardarli attonito: -Ci conosciamo? Il portiere mi ha annunziato la signorina Elena. Non ricordo però chi sia. Ad ogni modo, accomodatevi prego.-
-Ma come! Mr .Hunter non si ricorda di me? Sono Elena e questo è il giudice che lei conosce tanto bene!-
-Giudice! Mah! In questo momento non rammento nulla. O forse sì. C’era un giudice che scriveva novelle. Aveva un’amica che camminava con un altro mio amico.-
-Sono io che scrivo novelle per una rivista; lui invece ha istruito un processo contro di lei.-
-Ah già! Quella che lavora per Greg Garyson! Questo è invece quel ragazzo intrigante e simpatico. Dov’è stato figliolo? Cosa ha fatto?-
-Ho continuato a fare il magistrato, ma non mi sono dimenticato di lei, signore.-
-Mi fa piacere, però ora ditemi cosa posso fare per voi.-
-Si ricorda quando le dissi che esisteva la possibilità che lei avesse un figlio illegittimo?-
-No, non ricordo niente di simile. Miei cari, non sono stato capace di fare nulla di buono nella mia vita. Figuriamoci un figlio!-
-Eppure esiste quest’eventualità. Cosa penserebbe se le assicurassi che il giudice Light, probabilmente, è suo figlio?-
-Direi che sarebbe troppo bello! Però non è così purtroppo. Io un figlio! Ah,ah,ah. Assurdo, proprio assurdo!-
Intervenne Mike: - Ho fatto indagini sulla sua vita trascorsa. Una donna d’origine araba ha avuto un figlio da lei e quel bimbo fu abbandonato in un istituto di suore. Anche io sono stato abbandonato presso delle suore. La data della mia nascita coincide con quella del bambino, e anche il nome della mia vera madre. Ora si tratterebbe di stabilire se il padre è lei. Questo si può fare solo con la prova del D.N.A. Io l’ho già fatta. Dovrebbe farla anche lei.-
-La prova di che? Non m’intendo di queste cose. Che sarebbe?-
-E’ una specifica analisi del sangue dalla quale si potrà stabilire se lei è il mio padre naturale.-
-La faccio! Oh sì sì, la faccio subito! E davvero potrebbe risultare che sono tuo padre? Che bellezza! Saresti contento figliolo di sapere che ti ho generato?-
-Adesso che la conosco meglio, credo che ne sarei felice.-
-Oh, ma se dovesse risultare che non è così, ti avrò sempre nel cuore come un figlio, il figlio che mi sarebbe piaciuto avere!-
-Grazie! Lei è una persona generosa. Sarò fiero d’averla come padre.-
Gli occhi di Elena erano lucidi e Theo se n’accorse.
- S’è commossa, signorina? Beh, penso che certe scene siano da soap opera. Ma la vita è tutta una sceneggiata! Lei però quando si deciderà a sposare il mio ragazzo?-
Divenne rossa: -Io e Mike siamo grandi amici, ma non è escluso che un giorno mi deciderò a sposarlo, se ancora mi vorrà.-
Andarono via, dopo aver preso accordi per accompagnare Theo a fare le analisi.
Così un giorno si recarono in un nosocomio affinché l’anziano signore vi si sottoponesse.
-Ragazzi, questo è un ospedale! Perché siamo venuti qua, scusate?-
-Mr. Hunter le dovranno prelevare il sangue, non ricorda?-
-Il sangue? E perché devono prendere il mio sangue? Io sto bene!-
-Sì, lei sta benissimo! Ma se non glielo prelevano, non si potrà stabilire la sua paternità!-
Elena era armata di pazienza.
-Ah già! Devi scrivere la storia della mia vita, signorina. Ora t’è saltato in mente di stabilire se sono pure tuo padre. Però se così fosse, non potrai più sposare Mike, perché in quel caso sareste fratelli!-
Si misero a ridere.
-Che dice! Bisogna avere la prova che lei è il padre di Mike. Per questo le faranno il prelievo.-
-Io lo so! Sono suo padre. Non voglio tolto il sangue!-
-Non può saperlo senza le analisi. Sarà questione di un minuto.-
-Ho paura! Non voglio fatta un’iniezione!-
-Ma non è niente! Coraggio!-
Mike adottò una strategia diversa.
-Vuole avere sul serio la certezza d’essere mio padre?-
Furono parole determinanti. Theo acconsentì, ma quando vide l’infermiere con la siringa, prima impallidì, poi svenne. Accorsero altri infermieri per rianimarlo ed aiutarlo. Quando si riebbe del tutto, cominciò a gridare:
-Presto! Levatemi questo maledetto sangue per questa stramaledetta analisi! Fate presto e non ne parliamo più!-
Fu fatto, e finalmente il poverino si tranquillizzò. Elena gli offrì un caffè.


Dopo vari giorni, ritornarono per conoscere l’esito di quell’esame. Naturalmente risultò che avevano lo stesso D.N.A.
Il giudice quando seppe il responso, restò muto con gli occhi bassi. Elena non era abituata a vederlo commosso. Theo li guardava e sorrideva.
- Lo sapevamo che ero suo padre no? Tu figliolo, sei commosso perché provi gioia nell’avere la conferma della verità. Credo invece che dovresti piangere per la pena di avere un genitore così malandato, un uomo che non ragiona più bene. Mi dispiace per te Mike! Io ringrazio il buon Dio del dono che ha voluto farmi. Non ne sono degno e soprattutto non merito un figlio così. Ad ogni modo, mi sento l’uomo più felice della terra!-
Come resistere a tanta modestia e tanta dolcezza? Mike lo abbracciò mentre Elena continuava ad asciugarsi gli occhi.
Andando via, lei prospettò l’eventualità di riferire alla sorella di Theo la nuova scoperta.
-Sino a ora, non ne ha saputo nulla- fece l’anziano signore -però prima o poi lo verrà a sapere e farà come una matta. A me non importa. Io sono felice d’avere ritrovato un figlio.-
-Sua sorella non dovrà temere niente. Io non aspiro ad alcuna eredità.-
-Ragazzo, non mi conosci bene! Sono uno smemorato e uno svanito, ma quando voglio riesco ancora a ragionare. Il mio patrimonio andrà ai nipoti, ma redigerò un nuovo testamento nel quale disporrò che la mia casa vada a te. E sai perché? Perché proprio in quella casa, visse tua madre, anche se per breve tempo.-

17


Un bel mattino, alla pizzeria tornò Giacomo. La sorella fu contenta di rivederlo, ma preoccupata di dovergli comunicare le novità sulla madre.
-Giacomo! Siete tornati!- esclamò abbracciandolo, -Amanda dov’è, come sta?-
-Ciao Elena! Amanda è già tornata al lavoro. Vi saluta tutti.-
-Vi siete divertiti? Com’è stato il viaggio?-
-Oh tutto meraviglioso! Ti lascio immaginare, eravamo come due colombi!-
- Mi fa piacere. Sai Giacomo, ho da comunicarti qualcosa, ma andiamo nel mio ufficio, parleremo con più calma.-
- Cosa c’è? State tutti bene?-
-Non preoccuparti, la salute è ottima, la novità è un’altra.-
Andarono e si guardarono con il loro solito sorriso complice.
Si sedettero ed Elena cominciò: - Lo stesso giorno del tuo matrimonio, mentre stavate andando via, vidi presentarsi una donna anziana e un po’ malandata.-
-La conosciamo? Chi era scusa?-
-No, io non la ricordavo, anzi non la riconoscevo.-
-Perché? Avresti dovuto riconoscerla?-
-Mi disse che era venuta a cercare i suoi figli, Elena e Giacomo.-
Il fratello divenne terreo, gli occhi s’incupirono, non parlò e strinse la mandibola.
-Mi sentii gelare il sangue, ma siccome la vidi male in arnese, mi fece pena e la condussi qui in ufficio. Mi feci riconoscere e lei si mise a singhiozzare. Mi parve disperata. Quello che provai fu una sensazione indicibile, una compassione enorme. In breve, la portai a casa. Ora abita con me e lavora come assistente agli anziani.-
-Elena, non aggiungere altro! Questo rende amaro il mio ritorno. Ad ogni modo la cosa m’interessa poco e non voglio vedere quella donna.-
-Non è vero che t’interessa poco! Il dolore interessa tutti noi! Tu hai sofferto per lei!-
-Ti ho detto di non parlarne più! Basta! Non voglio vederla!-
-Mi ha raccontato la sua storia,- proseguì imperterrita -mi ha assicurato che si pentì subito di ciò che aveva fatto, ma non tornò sapendo che nostro padre l’avrebbe cacciata.-
-Elena, non continuare, non voglio ascoltare.-
-Giacomo, ha sofferto tutta la vita, anche peggio di noi! Mi ha raccontato che ha vissuto in un ospizio per poveri e che ha lavato scale.-
-Non m’interessa.- Cominciava però a mutare atteggiamento.
-Vive con un rene solo, poiché molti anni fa, ne donò uno dei suoi ad una ragazza della mia età.-
-Sì però t’aveva abbandonato!-
-Ma s’è riscattata! Perché non vuoi capire?-
-Perché io ricordo quanto soffrii e quale vergogna provai! Ricordo la mia povera Elena, piccola, sola e abbandonata dalla madre!-
-Non soffrire più Giacomo! Se non la perdonerai, continuerai a soffrire!-
-Non ce la faccio, mi dispiace, ma non ce la faccio!-
-Ce la puoi fare, io ti conosco e so che sei una persona buona. Ma non sarai più in pace con te stesso fino a quando non avrai perdonato nostra madre!-
Il fratello si agitò nervosamente. Abbassò il capo riflettendo. Si alzò e mosse qualche passo avanti e indietro. Alla fine, si girò su se stesso ed esclamò:
-La rivedrò, Elena, la rivedrò, ma non ti assicuro nulla.-
-Oh! Bene, basterà questo! Poi il resto verrà da solo.-


Così, qualche sera dopo, Giacomo si recò a casa della sorella. La signora Pina era già tornata e attendeva con trepidazione il figlio, che si fermò sulla soglia vedendola. Gli apparve molto invecchiata, sciupata, debole, indifesa. Ciononostante, rimase freddo e distaccato. Salutò con un cenno del capo.
-Giacomo, questa è nostra madre- fece Elena.
-Sì lo so, la riconosco. Buona sera signora.-
La povera donna protese le mani e poi le riabbassò.
-Giacomo! Non mi hai perdonato! Hai ragione, vi ho fatto troppo male!-
Era scoppiata a piangere e destava una grande pena. La guardava con occhi mesti e impenetrabili.
-Non sei è tornata neppure quando è morto tuo marito.-
-Non ho saputo nulla! A quei tempi vivevo in un ospizio, come una mendicante.-
-Potevi ritornare quando l’hai saputo.-
-Giacomo, l’ho saputo dopo quattro anni e non ebbi più il coraggio di tornare. Solo qualche tempo fa, sono stata al paese e ho avuto notizie di tutti voi.-
Era scossa da singulti, le mani tremavano a nascondere il volto emaciato. Il figlio la guardava e vedeva una donna distrutta dal dolore. Ebbe compassione e si avvicinò.
-Perché sei venuta a New York?-
-Ho saputo che eravate qui. Ho desiderato rivedervi e raggiungervi.-
-Ci hai rivisto!-
-Perdonami figlio mio! Perdonami!-
La capacità di perdonare è una prerogativa, in genere, delle tempre forti e coraggiose, è una caratteristica degli animi generosi e pacifici. Chi è proclive a perdonare, a lungo andare, non sa conservare astio verso le offese. Giacomo rientrava in quella categoria di individui. S’avvicinò ancor di più alla madre e, come aveva fatto Elena, allungò un braccio a sfiorarle la spalla. Quella si buttò sul suo petto. L’abbraccio fu lungo e silenzioso. Entrambi non parlarono. La signora Pina continuava a piangere ed Elena, che aveva assistito alla scena, dovette asciugarsi gli occhi. Il fratello invece non era facile alle lacrime, ma in quel momento, sentiva un nodo in gola e non riusciva a proferire verbo. Appena vi riuscì: -Voi donne piangete sempre! Ora basta!- disse, cercando di darsi un contegno.
-Hai ragione Giacomo, - fece la madre scostandosi da lui, -ma sono lacrime di gioia figlio mio!-
Si asciugò gli occhi e continuò: - So che ti sei sposato.-
-Sì. Il giorno stesso che sei arrivata. Mia moglie ignora che ti trovi qui. Ma sa di te.-
La sorella intervenne: -Adesso bisognerà presentarle nostra madre.-
Lo sguardo divenne imbarazzato. Stava combattendo una battaglia interiore. Temeva di scadere agli occhi della moglie, facendole conoscere quella donna. Aveva chinato la testa e non rispondeva.
- Non potrai tacere a lungo, dovrai farle sapere che si trova qui.-
Giacomo trasse un sospiro: -Sì certo! Tornando a casa stasera, le racconterò questa novità.-
-E’ bella tua moglie! L’ho vista il giorno che vi siete sposati,- fece la signora Pina.
Il figlio ebbe un sorriso dolce, l’espressione divenne tenera e gli occhi guardarono lontano.
-Amanda è soprattutto una creatura dolce e pulita. Ci siamo innamorati a prima vista. E’ stato il classico colpo di fulmine. Riempie la mia vita e ora non saprei vivere senza di lei.-
-Sono contenta, Giacomo, sono contenta per te.-
La madre esprimeva partecipazione sincera. I due si guardarono con quell’affetto che mai, nonostante tutto, era stato dimenticato.


Tornando a casa, Giacomo abbracciò sua moglie: -Ciò che sto per dirti è strabiliante.-
Amanda l’aveva guardato con affetto e curiosità.
-Non ti saresti mai aspettata che rivedessi mia madre!-
I lineamenti di lei vibrarono come degli arboscelli scossi dal vento.
-Tua madre! Ma Giacomo! Non è in Italia? Mi hai sempre detto che per te, è come morta!-
-Invece è qui. Si trova a casa di Elena e io l’ho incontrata.-
-Così, improvvisamente! Pare impossibile!-
-E’ arrivata il giorno stesso che ci siamo sposati. Ti ha anche visto. Mi ha detto che le sei piaciuta.-
- Com’ è? Sta bene? Perché è venuta a New York?-
-Ha saputo che io ed Elena vivevamo qui e ha voluto rivederci. A quanto ho capito, non aveva più un posto dove vivere.-
-Giacomo tu l’hai perdonata vero? Sono sicura di sì! Quando me la farai conoscere?-
-Tra qualche giorno. Andremo da mia sorella e la conoscerai. Alloggia nella sua casa. Elena pare faccia parte dell’esercito della salvezza! Ah ah ah ah.-
-Tua sorella è una persona molto altruista, un’anima generosa. E’ bella fuori e dentro!-
-E’ la scrittrice di famiglia! E pensare che le insegnai io a leggere e a scrivere!

Così dopo alcuni giorni, i due sposini si recarono una sera da lei.
La signora Pina era nervosa e trepidante; si era vestita come meglio poteva e passeggiava.
-Mamma stai calma. Verrà solo Giacomo con sua moglie, non il Presidente degli Stati Uniti!-
-Mi chiedo cosa penserà di me Amanda. Che effetto le farò?-
-Qui a New York, la mentalità della gente è diversa. Stai tranquilla. E’ una creatura schiva, ma disponibile e cordiale. Ti conoscerà con piacere e andrete d’accordo.-
Quando andò ad aprire la porta, l’anziana donna rivide il figlio e volse gli occhi sulla figura che era con lui. Bella, ma non appariscente, dai lineamenti dolci e delicati.
-Giacomo, - disse - com’è bella tua moglie!-
-Questa è mia madre.-
Amanda fu pronta a sorridere e lo sguardo era di tenera curiosità, mentre diceva:
-Sono contenta di conoscerla.-
-Ho sbagliato tanto nella mia vita Amanda, sono un essere indegno! Ma amo i miei figli.-
L’altra le prese le mani: -L’amore supera ogni altro sentimento, signora, chi ama può riuscire a farsi perdonare tutto.-
S’abbracciarono e Giacomo era soddisfatto. Si grattava la faccia e metteva le spalle in fuori. Dopo che furono seduti, chiese:
-Gli altri nostri fratelli li hai più rivisti? Ne hai avuto notizie?-
-Ho cercato di rivederli tutti, ma si sono fatti negare, non hanno voluto rivedermi.-
Il figlio abbassò il capo. Elena prese a parlare d’altro.
-Adesso che sei sposato, non avrai più tanta voglia di tormentare la gente e fare scherzi continui!-
-Non tocchiamo questo tasto!- fece Amanda. -Mentre eravamo in Florida, ad una coppia di sposini, ha fatto uno scherzo tremendo!-
La signora Pina lo guardava affettuosamente, scuotendo il capo.
-Non sei cambiato figlio mio. Quando eri piccolino, al paese, t’infilavi sotto la tonaca del parroco e gli abbassavi le brache.-
La moglie rise.
-Ha fatto credere al povero sposino di essere un ex fidanzato della moglie, con la quale aveva avuto un bambino. Voleva finanche notizie del figlio! Lo sposino continuava a chiedere come mai non ne sapesse nulla.-


Gabriella Cuscinà

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