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cuocoligure
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Inserito - 19/07/2006 :  18:14:06  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a cuocoligure

Continuado con mutazioni, la serie iniziata da Ophelja, propongo di citare mestieri veri (o presunti) che ormai.... appartengono alla storia più che alla geografia! più che mestieri in-possibile, mestieri IN-DIS-USO .

inizio con:
BECCAMORTI

Trattasi di persona con denti aguzzi e forti, che in periodi di guerra, aveva il compito di….
beccare i piedi dei “finti” morti , ( di coloro, cioè, che si fingevano morti per non …. andare a… morire in guerra!).

cuocoligure

Capinera
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Inserito - 11/08/2006 :  16:11:36  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Capinera  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Capinera
LE TRECCIAIOLE
sono coloro che intrecciavano le paglie,per farne cappelli.In Toscana sono esistite fino al 1300,ed hanno continuato il loro lavoro fino alla metà del nostro secolo
Capinera

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Capinera
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Inserito - 05/05/2007 :  20:27:13  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Capinera  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Capinera
LO STRACCIVENDOLO

Andava in giro a raccattare stracci, soprattutto di lana, che metteva in un grosso sacco portato a tracolla. In un braccio portàva un capiente canestro con gli oggetti più svariati: piatti, bicchieri, pettini, quadri, spremilimoni, posate, fiori di plastica profumati (si fa per dire) ecc.
Si trattava di oggetti di scarso valore per povera gente che costituiva però la stragrande maggioranza della popolazione, che faticosamente, ma con dignità affrontava la vita quotidiana. A1 grido di "cingiàre ué" tutte le donne si affacciavano, prendevano i loro stracci da barattare e iniziavano le lunghe trattative per farsi dare più roba possibile.


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ophelja
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Inserito - 05/05/2007 :  22:28:30  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a ophelja
Il raccoglitore di capelli


Mi raccontava mia madre che quando era giovane era comune veder passare per le strade del suo paese , "u' capillare" .

Munito di forbici e di un piccolo sacco, l'uomo "comprava" i bei capelli delle donne del sud.

A volte la vendita sottendeva un sacrificio, fatto da una generosa ragazza per comprare qualcosa di indispensabile per la propria famiglia.


Ophelja
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Bartolomeo
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Inserito - 07/05/2007 :  04:13:03  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Bartolomeo
L'ARROTINO

"MULAFUERBC", "ARROTINOOO", "EL MULITAA", "LE REMOULEUR" :dal sud al nord, l'omino in bicicletta gorgheggiava il suo richiamo agli angoli delle strade.
Affilava forbici, coltelli, rasoi, falcetti, riparava ombrelli e fornelli a gas.
Noi ragazzi, a capannelli, ci si incantava a vedere i rapidi e precisi movimenti delle sue dita, le scintille sprigionate dalla mola, le gocce d'acqua che stillvano lentamente da un tubicino a lubrificare l'attrito fra la pietra e la lama.


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Capinera
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Inserito - 07/05/2007 :  22:31:04  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Capinera  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Capinera
LA LAVANDAIA

Tale attività era svolta da donne di famiglia povera e bisognose di tutto e di tutti.Faccevano il bucato semplice se si trattava di biancheria minuta ma molto spesso dovevano affrontare il bucato più corposo, con l'apporto della liscija(acqua e cenere) la cui azione emolliente riusciva a pulire tutto quanto veniva messo nella tinozza
Da ricordare un particolare, in quella cenere veniva inserito il resto di un ramoscello bruciato di lauro (alloro) il quale trasmetteva, attraverso l'acqua che sgocciolava, il suo profumo rendendo più gradevole il bucato.
Arrivati a questo punto, ormai non c'era altro da fare che tirare via tutto dalla tina e, capo per capo strizzare e risciacquare con acqua fresca e abbondante. Ancora un altra strizzata e via verso le spenneture(pietre).Dove si stendeva la biancheria al sole

Capinera


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Bartolomeo
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Inserito - 09/05/2007 :  02:51:57  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Bartolomeo
LA CARDATRICE

A cavalcioni dell'attrezzo di fabbricazione artigianale, la cardatrice, mediante una maniglia, faceva oscillare il pendolo cardante su una superficie controcardante, muniti di appositi denti fra i quali la lana veniva pettinata, sciolta e ripulita.
I materassi, che l'uso prolungato rendeva duri e scomodi, erano rigenerati e resi soffici mediante la cardatura della lana di cui erano imbottiti.

La carda a mano, oggetto di utilizzo femminile.
Era utilizzata durante le serate invernali per cardare lana e canapa.

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Capinera
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Inserito - 12/05/2007 :  18:20:07  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Capinera  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Capinera
L'ombellaio

L’ombrellaio era una figura tipicamente autunnale e invernale. In genere indossava giacca e cappello neri, pantaloni di foggia militare e scarpe grandi e robuste da camminatore.
Lo si vedeva girare per le strade con l’arrivo delle prime piogge, invitando le donne ad affidargli un parapioggia da riparare. Parapioggia, spesso, tartassato da mille acquazzoni, dissestato dal vento, rosicchiato dalle tarme, consunto ma conservato, poiché
le finanze erano talmente scarse da non poter neanche pensare all’acquisto di un nuovo ombrello.
L’ombrellaio recava con sé un'attrezzatura costituita da pinze, filo di ferro, stecche di ricambi, ritagli di stoffe, aghi, spaghi di vario genere, forbici. Il tutto riposto in una cassetta di legno sulla quale sedere durante il lavoro che non era né facile, né breve.
Egli arrangiava sulla tela o aggiustandola o cambiandola del tutto; armeggiava con la pinza sui pezzi metallici e sul manico finché l’ombrello non tornava a funzionare come prima.


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Elena Fiorentini
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Inserito - 12/05/2007 :  19:12:17  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Elena Fiorentini  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Elena Fiorentini
I materassai di Milano

A Milano passava un uomo periodicamente nelle case e chi aveva bisogno di rifare il materasso o i cuscini, bisognava provvedere a portare in cortile i sacchi con la lane dei materassi o cortili sama
mntellati. La lana che passava attraverso la macchina cardatrice e la lana usciva bianca e soffice come nuova, ne veniva aggiunta anche di nuova, perchè con la cardatura una parte veniva dispersa. Alla fine il materasso risultava grande il doppio.
Il traliccio alla sera era già lavato e asciugato e il materasso era come nuovo.
A volte occorrevano alcuni giorni se la famiglia era numerosa e c'erano motli materassi da rifare.
I mestieri inutili
Io avevo scritto dei mestieri inutili, tipo "fag i paposs ai musch",fare le scarpe alle mosche, ma sono talmente inutili che non riesco più a ricordarmi in quale area li ho inseriti.

Elena

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luisa camponesco
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La rimagliatrice

Era il tempo delle calze di seta, costosissime, una smagliatura era una catastrofe ma ecco con tanta pazienza e degli strumenti appositi la smagliatura veniva riparata. Era il tempo delle calze con la cucitura che ora stanno tornando di moda anche se non ci sarà più bisogno di rimagliarle.

Luisa CamponescoVai a Inizio Pagina

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Inserito - 20/05/2007 :  16:39:50  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Capinera  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Capinera
Lo Stagnino

Lo stagnino aveva due luoghi di esecuzione della sua professione: nel laboratorio e nelle strade. Il lavoro consisteva nel fare le saldature a stagno per "aggiustare" vari tipi di recipienti metallici; pentole, pentoloni, contenitori di lamiera per l'acqua da usare nelle abitazioni, ma soprattutto nel passare o ripassare uno strato di zinco all'interno delle pentole di rame. Questa ultima operazione era necessaria per poter utilizzare le suppellettili di rame, perchè esso rilascia una sostanza tossica a contatto con gli alimenti, lo strato di zinco creava un sicuro isolante. Gli arnesi che erano usati dallo stagnino erano: delle grosse forbici per tagliare le lamiere da utilizzare per rattoppare, un ferro per fondere lo stagno ed applicarlo nei posti dove era necessario. La forma di questo arnese era più o meno quella di un martello di ferro con la parte finale del manico composta di materiale termoisolante in considerazione del fatto che la parte metallica veniva immersa nella brace incandescente, delle barrette; di una lega di stagno e piombo (per le saldature dolci) di una lega di zinco rame e piombo (per le saldature forti), dei martelli di varia dimensione per sagomare i rattoppi di lamiera. Il metodo di saldatura sfruttava la diversa fusione dei metalli, il ferro aveva la stessa funzione dei moderni saldatori per i circuiti elettrici, ma a differenza di questo era riscaldato col fuoco quindi strumento indispensabile per gli stagnini era un fornello per il fuoco, che spesso era una normale latta di quelle usate per le riserve alimentari, la latta era riempita di carbone, al quale si dava fuoco fino a ridurlo in brace.

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Bartolomeo
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Inserito - 22/05/2007 :  04:23:15  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Bartolomeo
I RENAIOLI DI FIRENZE

Provvedevano all'estrazione della rena dalle cave dell’Arno.
La sabbia o rena, è un componente della calcina e, in quanto materiale da costruzione, veniva particolarmente richiesto nei periodi di maggiore attività edilizia.
Il lavoro dei renaioli era faticoso, rischioso e poco remunerato.

La rena estratta dal fiume veniva vagliata e ammassata lungo le sponde dell’Arno, suddivisa in mucchi in base alla sua finezza: pillore, ghiaione, ghiaia, renone e rena fine, questa, detta anche sabbia a velo, era riservata ai lavori di rifinitura, dagli intonaci alle basi per la trattazione artistica delle pareti.

Nei "renai" veniva fatta asciugare e poi trasportata e consegnata con il "barroccio" agli imprenditori edili.

Strumenti del lavoro dei renaioli oltre al "barroccio" o carro, erano i "barchetti" o "navicelli" sui quali veniva caricata la rena estratta dal fondo del fiume. I "barchetti" ogni sera venivano portati a riva e custoditi agli scali, per evitarne l'uso illecito durante la notte. Il barchetto, ben curato e funzionante, nelle piene dell'Arno veniva utilizzato come mezzo di soccorso per trasportare le persone.
I renaioli erano esperti conoscitori dei pericoli del fiume e da sapienti intervenivano nel salvataggio di qualche turista o bagnante sprovveduto.


FORMA
una
FIRMA
FERMAVai a Inizio Pagina

Bartolomeo
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IL LUSTRASCARPE

Una cassetta con uno sportellino per mettervi spazzole,cerette e vernici, una sedia alta per il cliente e una bassa per lui, il lustrascarpe.
Si sistemava all'angolo di una piazza in un punto di passaggio e aspettava leggendo il giornale.

Quando arrivava il cliente gli porgeva il giornale e passava al primo trattamento: quello di alzargli l'orlo del pantalone, sistemargli il piede in un sottoscarpa e infilargli nella scarpa da un lato e dall’altro due pezzi di cartone per non sporcare le calze; seguiva la spazzolatura per spolverare.
A questo punto il nostro passava sulle scarpe un vecchio pennello da barba, bagnato nell’acqua con poca anilina. Se occorreva passava un po' di vernice oppure del grasso; seguivano una spazzolata e una strofinata di panno a striscia lunga, tirato da una mano all’altra con maestria e sveltezza da punta a tacco.
Operazione finita, il cliente restituiva il giornale e pagava.



senza FIRMA
soffre la FORMAVai a Inizio Pagina

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Inserito - 31/05/2007 :  22:19:41  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Capinera  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Capinera
«BUZZURRI»
RICORDATI anche nel grande vocabolario della Crusca dove si legge: «buzzurro: questo nome suol darsi in Toscana a quelli svizzeri che nella stagione dell’inverno ci vengono a a.esercitare.lo loro industria di far bruciate, ballotte e pattona, vender castagne e farina dolce».

L’immigrazione dei «buzzurri» a Firenze risale al 1720, ma secondo una storia scritta dal can. Borrani essi sarebbero discesi dalla Svizzera in Italia alla fine del secolo decimosesto, incoraggiati da San Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano. Questi vedendo le misere condizioni dei poveri castagnari li esortò a venire a svernare nella metropoli lombarda, donde poi si spinsero anche in Toscana.

Alla vendita delle castagne crude e cotte e della farina dolce aggiunsero quella della pattona o polenta con notevole vantaggio finanziario, perchè subito tale prodotto di loro fabbricazione incontrò il favore dei fiorentini.
Secondo notizie tramandate da alcuni vecchi «buzzurri» di generazione in generazione, il primo che si stabilì a Firenze fu un certo Pietro Antonio Gianella di Leontina nel Canton Ticino

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Bartolomeo
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Inserito - 04/06/2007 :  04:12:35  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Bartolomeo
IL MADONNARO

Era un artista di strada chiamato comunemente madonnaro per le immagini sacre, principalmente Madonne, che era solito disegnare per strada.
Il Madonnaro era un artista ambulante nomade che si spostava da un paese all'altro in occasione di sagre e feste popolari. Eseguiva i suoi lavori con il gesso o altro materiale povero su strade, marciapiedi, selciato dei centri urbani. Grazie alle offerte del pubblico traeva il proprio sostentamento.
Quest'arte è stata presente in tutta l'Europa, come appurato da varie descrizioni che si trovano in testi e lettere, fin dal XVI secolo.

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Capinera
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Inserito - 04/06/2007 :  19:00:28  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Capinera  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Capinera
"CANTASTORIE"

Questa figura, erede di una tradizione risalente agli araldi greci e ai giullari medievali, era conosciuta negli anni antecedenti la prima guerra mondiale. La sua attività, anche se a prima vista poteva apparire di puro intrattenimento, era al contrario molto utile perché permetteva alla gente di conoscere reali fatti di cronaca, curiosità e, qualche volta, indiscrezioni. Il cantastorie era un nomade che girava per le piazze, per i mercati delle città più disparate, offrendo al suo pubblico qualche momento di svago. Dopo essere salito su uno sgabello, cominciava il suo racconto servendosi di un altoparlante e di un cartellone sul quale erano rappresentate le scene salienti della sua narrazione.


Con un sottofondo musicale, dopo aver terminato la rappresentazione e dopo aver capovolto il cappello, chiedeva l'offerta e poi ripartiva alla volta di altri paesi.

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Bartolomeo
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Inserito - 09/06/2007 :  01:01:06  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Bartolomeo
IL BOTTAIO
Il mestiere del bottaio è ormai quasi scomparso.

Era un'arte: si curvavano col fuoco le doghe di legno accuratamente preparate con appositi arnesi
(pialletti, strumenti di misurazione, sgorbie).

Formato il corpo laterale cinto di robusti cerchi in ferro o, anticamente, anche di liste di castagno,si completava il tutto con i dischi di chiusura.


Tratto da: http://www.vecchimestieri.it/Artigianato.htm

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Capinera
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Inserito - 10/06/2007 :  18:07:25  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Capinera  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Capinera
LA FILATRICE

Era una donna che trasformava una massa informe di batuffoli di lana in un filo da lavorare successivamente con i ferri da calza, per ricavarne coperte, maglie, mutande, calze, ecc.
Questa era una attività antichissima, la cui origine si perde nella notte dei tempi, ed era eseguita sempre allo stesso modo.
Oltre alla lana la filatura a mano riguardava tutte le fibre vegetali come il cotone, la canapa, il lino.
Per eseguire questo lavoro era necessaria un’ottima preparazione tramandata da madre in figlia, ed l'impiego di gran parte della giornata.
La filatrice stringeva sotto l’ascella sinistra una canna che terminava in una specie di gabbietta, detta conocchia; alla conocchia era avvolto il batuffolo di lana. La donna con la mano sinistra teneva fermo il capo della bambagia da filare , mentre con il pollice e l’indice dell’altra mano stirava il filo dal batuffolo sovrastante . Con la saliva si bagnava i polpastrelli ed iniziava ad allungare il filo da ritorcere gradatamente, lo fermava alla punta del “fuso di legno” a forma di cono e postolo sulla gamba gli imprimeva, spingendolo, un repentino e rapido moto circolare.
Il filo di lana, rafforzato dall’azione torcente che garantiva la massima consistenza, veniva fissato al fuso e il prelievo del batuffolo dalla massa continuava.

La filatura a mano della lana fino a trent’anni fa era diffusissima nelle famiglie perché permetteva di ottenere gli indumenti necessari e nello stesso tempo di guadagnare qualche soldo.

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Bartolomeo
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Inserito - 15/06/2007 :  04:26:52  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Bartolomeo
IL LINOTIPISTA
Era il compositore tipografico addetto alla linotype, macchina per la composizione tipografica meccanica inventata negli Stati Uniti nel 1881 dal tecnico tedesco Mergenthaler.

La macchina, che aveva tastiera letterale (simile a quelle delle macchine da scrivere) su cui il linotipista componeva il testo, fondeva in tempo reale lettere di piombo, accorpandole riga per riga; consentiva, quindi, una rapida composizione delle matrici per la stampa dei giornali.
Utilizzata per oltre un secolo, è stata soppiantata dall'avvento dei computers.


Al riguardo, un sito interessante è: http://www.linotipia.it/index.html


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Elena Fiorentini
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Inserito - 15/06/2007 :  23:04:13  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Elena Fiorentini  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Elena Fiorentini
I cercatori d'oro
Un mestiere in disuso ma praticato fino a qualche decenni fa in Lombardia, era quello del cercatore d'oro.
I cercatori usavano gli stessi metodi dei cercatori dei film americani della corsa all'oro.

La ricerca avveniva in Lombardia, lungo le spiagge sabbiose e brillanti di mica del fiume Ticino.

Il prezioso minerale, trasportato dai torrenti che scendono dal Monte Rosa attraverso il lago Maggiore, era molto scarso e non bastava ad arricchire e presto l'attività fu abbandonata.
Non mi risulta che siano mai comparse gigantesche pepite.
Le spiagge erano molto belle, ora l'inquinamento a trsoportao concime sulla sabbia finissima e particolarmente suggestiva e al suo posto sono comparsi alberi mostruosi.
Insieme ai cercatori d'oro, sono scomparsi i capanni sul fiume dove andare a fare colazione e i bagnini delle colonie estive, distrutte dalle violente piene e non riptristinate.

Cercatori d’oro
http://www.minieredoro.it/ticino%20a%20castelnovate.htm

e nel sito dei vecchi mestieri legati alla vita del fiume

http://www.parcodelticino.pmn.it/infosulparco/vecchimestieri.html#02

possiamo leggere la testimonianza del figlio di un cercatori di Varallo Pombia :

"Fino all'ultima guerra, da Varallo Pombia a Galliate c'erano 600 cercatori, anche di più. Allora sì che conveniva!

Una giornata di lavoro era dalle 4 di mattina alle 9 di sera, ma se era una giornata buona se ne trovava 10 o 15 grammi a testa. Ce n'era molto di più di oro, perché le piene erano più forti di adesso...era dieci volte la paga di un operaio.

Mio padre era uno dei più grandi cercatori di Oleggio, aveva due dipendenti."

(Testimonianza raccolta dalla voce di Umberto Caletti, Loreto di Oleggio, 1983).

Elena

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Bartolomeo
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Inserito - 19/06/2007 :  03:08:18  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Bartolomeo
IL FUOCHISTA
(ferroviario)

Anche questo è un mestiere in dis-uso, per il massiccio avvento della trazione elettrica nella seconda metà del secolo scorso.
Il lavoro di accensione e riscaldamento della locomotiva richiedeva pazienza e fatica, ma in marcia il lavoro del fuochista si complicava.

Tanto per cominciare il treno era in movimento e, quando spalava il carbone, aveva un piede sul tender ed un piede sulla locomotiva.
Tra l’altro, il fuochista doveva rifornire la caldaia di acqua, per reintegrare quella utilizzata come vapore, e far sì che la pressione fosse sempre al massimo.
Quando immetteva nuova acqua in caldaia, questa si raffreddava, quindi immediatamente doveva provvedere a spalare altro carbone, poi bagnarlo, per non aver l'aria piena di polvere di carbone.
Era inoltre necessario spazzar via il carbone caduto; essendo lo spazio stretto e poco stabile, era meglio rimuovere corpi estranei che potevano capitare sotto i piedi.
Spazza, bagna, spala, carica l'acqua, spazza, bagna, spala... avanti così per tutto il viaggio.
Alla fine la sua pala aveva caricato in forno alcune tonnellate di carbone.

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Capinera
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BERNASCANTI

Nella Toscana rurale di un tempo non era difficile imbattersi in qualcuno che avesse il dono naturale di "cantare a braccio", o "cantare di poesia" per usare un'espressione più comune in Toscana, che fosse cioè capace di improvvisare canti su argomenti suggeriti solo qualche minuto prima, producendo nei casi più felici vere e proprie poesie cantate. Fino agli anni Sessanta si usava distinguere fra il "Cantar di scrittura" e il"Cantar di bernesco", ossia fra il cimentarsi nel canto su storie scritte da altri autori e la vera e propria improvvisazione dei temi. Gli improvvisatori erano infatti definiti anche "bernescanti", da Francesco Berni di Lamporecchio, divenuto famoso nel XVI secolo per possedere questa qualità e per l'acutezza delle sue esternazioni.
Le occasioni in cui cantar d'ottava erano le più varie, e spesso ciò avveniva, d'inverno, nelle veglie intorno al focolare e, d'estate, la sera sull'aia. I giovani avevano modo così di imparare facilmente e la trasmissione orale avveniva in maniera spontanea. Tra i maggiori esponenti di questa tradizione, nella Toscana dell'Ottocento, ebbero un'adeguata fama Beatrice di Pian degli Ontani e Pietro Frediani da Buti. Con la scomparsa della civiltà contadina, l'eredità di questa tradizione resta oggi patrimonio di pochi, e per lo più di persone anziane. E' solo in anni relativamente recenti che per fortuna si è iniziato a capire quanto sia importante la conservazione delle testimonianze di questa particolare forma di cultura popolare, ma ancora poco è stato fatto in questo senso.

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I CARBONAI

I carbonai che operavano in inverno nella Maremma toscana e laziale erano quasi tutti provenienti dall'Appennino pistoiese, tanto che talvolta erano chiamati semplicemente "pistoiesi". Partivano per lo più senza la famiglia, in piccoli gruppi di sei o sette persone, quante ne erano necessarie per far funzionare una carbonaia, accompagnate da un garzone, detto Meo, forse una contrazione del nome di un santo assai venerato San Bartolomeo. Senza alcun contratto, in una condizione che oggi definiremmo di sfruttamento minorile, questo adolescente doveva sobbarcarsi il compito di servire alla piccola comunità dei carbonai, facendo loro da mangiare, tenendo in ordine la capanna e assolvendo a mille altri incarichi come cercare la legna, scavare le buche, dar fuoco alla carbonaia.
Emarginati, sfruttati, associati nell'immaginario popolare ai banditi e ai cattivi delle fiabe, tornavano alle proprie case a maggio, come scrive Giuseppe Giusti a Pietro Thouar. Il mestiere del carbonaio è oggi in disuso (sembra che l'ultima compagnia di carbonai sia stata formata nel 1955), soppiantato il carbone di legna da altre fonti di energia, più adatte ai moderni mezzi di riscaldamento. Fare il carbone, tuttavia, era un'arte di cui ogni carbonaio andava fiero. L'abilità si misurava dalla grandezza dei pezzi di carbone estratti dalla carbonaia fino a riuscire a carbonizzare, senza sminuzzarlo, un intero fastello di legna. Il carbonaio poco abile produceva invece solo brace e perciò, con disprezzo, veniva detto bracione.
La carbonaia si costruiva su una "piazza" ben spianata sovrapponendo dei tronchi disposti in quadrato a formare un camino. Intorno ad essi si appoggiava la legna, in pezzi di varia lunghezza (da 30 centimetri a 1 metro) e si circondava con alcune file di zolle dette "pellicce". Si copriva il tutto con foglie secche e poi con terra non argillosa né sassosa. Si accendeva quindi la carbonaia introducendo nel camino braci accese e si alimentava il fuoco con piccoli pezzi di legno. Il tempo di cottura variava a seconda della quantità e delle dimensioni della legna; mediamente con circa 6 quintali di legna si otteneva un quintale di carbone. Quando la cottura era finita si toglievano sassi, radici e altri corpi estranei con un rastrello, si faceva raffreddare per 24 ore e poi si raccoglieva il carbone. Tale operazione si faceva di notte, per vedere eventuali resti di carbone acceso e con zoccoli di legno per non bruciarsi i piedi

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Produzione di cesti, canestri, gerle con intreccio di strisce di legno di castagno


Un'antica lavorazione del castagno riguarda la costruzione di cesti di varie forme, che venivano utilizzati in passato per diversi scopi. La tipologia dei recipienti in castagno intrecciato è in effetti assai varia. La prima distinzione da fare riguarda la forma del fondo, che può essere rotonda o quadrangolare. Al primo tipo appartiene il corbello, il contenitore più diffuso e da cui prende il nome il mestiere del corbellaio. A seconda del materiale che dovevano contenere, si distingueva fra corbelli da pasta, corbelli da zoccoli, ginori, questi ultimi destinati al vasellame della famosa ditta toscana. Poco diversa dal corbello è la canestra, mentre la cesta ha il fondo quadrangolare. Le ceste che venivano prodotte erano: la cesta da asparagi, la cesta da spinaci, la cestina da fichi secchi, la cesta bucata, nella cui intrecciatura venivano lasciati degli spazi vuoti per favorire l'areazione dei prodotti agricoli, e la gavagna, una cesta grande con bocca quasi ovale e bordi superiori fatti a treccia..
Le condizioni di vita e di lavoro degli artigiani dei cesti in castagno sono sempre state molto dure: l'insalubrità dell'ambiente di lavoro, in genere oscuro e umido, la bassa retribuzione e il metodo del lavoro a cottimo, che caratterizzarono il periodo di maggiore sviluppo di questa produzione fra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento, hanno spinto sempre più persone ad abbandonare questo mestiere, anche in conseguenza della crisi del settore derivante dall'introduzione della plastica nella produzione di imballaggi. Proprio in corrispondenza con questo abbandono, l'artigianato delle ceste intrecciate in castagno ha avuto negli ultimi decenni una risonanza internazionale, ma il riflesso positivo che tale risonanza ha portato non basta a scongiurare la fine di questa attività, che viene portata avanti ormai da pochissimi artigiani, ai quali non sembra volersi affiancare nessun giovane disposto ad imparare

Contrasto fra un Corbellaio e un Contadino

.. Corbellaio: Contadino convien che ti consigli che quando hai lavorato una giornata, mezza viene il padron che te la pigli e la fatica tua non è pagata, e con poca polenta ai propri figli a stento fai passare l'invernata, ma noi con sole ott'ore è fatta tutta e si mangia braciole e pasta asciutta.
Contadino: Ma la fatica tua poco ti frutta, perché state all'oscuro a lavorare, in una tana tenebrosa e brutta che l'aria pura non si può gustare, l'avete il viso dalla pelle asciutta dal troppo lavorar senza mangiare e col timor la sera e la mattina che sospenda il commercio Terracina. ...


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Capinera
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Inserito - 23/12/2007 :  16:30:44  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Capinera  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Capinera
Lo ZAMPOGNARO

Chi non si ricorda degli zampognari!
Viaggiavano in coppia uno suonava la zampogna, strumento simile ad una cornamusa, l'altro la ciaramella, strumento a fiato fatto di canne. Indossavano un giubbotto senza maniche di montone ed un cappello guarnito di nastri

Quello dello zampognaro non era un vero e proprio mestiere. Era una missione. Per lungo tempo scomparsi ora stanno tornando grazie al rinnovato interesse per la cultura e le tradizioni popolari.
Ed è bello ascoltare suoni dolci di nenie Natalizie

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antonio sammaritano
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Inserito - 24/02/2008 :  18:17:09  Mostra Profilo  Visita la Homepage di antonio sammaritano  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a antonio sammaritano
Lu fumiraru (in siciliano IL LETAMAIO)

Molti anni addietro non era difficile osservare il letamaio al lavoro per le campagne.In realtà si trattava di una attività extra per arrotondare il già pochissimo che si guadagnava all'epoca.
Una volta che pecore,mucche,cavalli erano state ricondotte nelle fattorie egli, munito di pala e ceste ne raccoglieva gli escrementi per poi venderli ai proprietari terrieri che concimavano i loro vigneti...
Un modo come un altro di mantenere onestamente la famiglia e assicurare ai propri figlioli e alla moglie le scarpe,un vestito nuovi e un gelato la domenica pomeriggio.

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Elena Fiorentini
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Inserito - 24/02/2008 :  21:28:25  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Elena Fiorentini  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a Elena Fiorentini

L'assaggiatore di letame


La storia del letamaio mi ha rammentato un racconto simile fatto da mia mamma e dai suoi fratelli, evidentementi scossi.

I tre fratelli da bambini trascorrevano i mesi estivi in campagna, a mezza strada tra Milano e Pavia, dove avevano più volte visto all'opera l'assaggiatore di letame.

Dandosi grande importanza l'assaggiatore con una bacchetta raccoglieva un pizzico di letame e l'assaggiava in punta di lingua per costatare se il letame pizzicava ed era trasformato in concime per i campi e pronto all'uso, sia per i campi o per essere venduto, pooii pronunciava la fatidica frase: "E' maturo" , allora si dava il via agli affari o alla concimazione.

Elena Fiorentini

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cuocoligure
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Inserito - 03/06/2008 :  01:45:03  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a cuocoligure

L' acquaiolo

In tantissime zone europee, non solo in Italia, la figura che percorreva le strade dei paesi piú aridi e nella stagione piú calda, era quella dell’acquaiolo.
Colui cioé che, letteralmente, vendeva l'acqua per strada e che era generalmente anche proprietario di pozzi. Questo venditore ambulante riempiva i barili e li trasportava con muli o con carrettini trainati da asinelli. L’unitá di misura, soprattutto al sud, era il viaggio, cioé di un barile.
Non mancavano, tuttavia, le donne che vendevano acqua fresca a bicchieri o caraffe, attingedola da otri di terracotta, che conservavano l’acqua particolarmente fresca.

Nella foto: Acquaiolo di Siviglia, di Diego Velazquez - 1560 –London A.Museum


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cuocoligure
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Inserito - 12/07/2008 :  00:59:36  Mostra Profilo  Replica con Citazione Invia un Messaggio Privato a cuocoligure

IL LAMPIONAIO

Da sempre siamo abituati alle strade illuminate e, forse, mai abbiamo immaginato una cittá al buio. L’ illuminazione delle strade é tuttavia una conquista relativamente recente, infatti, é solo verso la metá del settecento che si cominciano ad impiantare i primi lampioni. Lampioni ad olio, non dissimili a quelli che ancora oggi si possono osservare in molte zone che conservano una certa atmosfera. Fanali a tronco di piramide, con pareti di vetro, con tanto di lucignolo, che veniva acceso dal lampionaio. Questa figura vestita di grigio, con lunga scala in spalla all’ ultimo chiarore del giorno, provvedeva a colmare di olio i lampioni, a pulire i vetri, a sostituire ed accendere lo stoppino. All’alba, poi, ripercorreva nuovamente la zona per lo spegnimento della fiammella. Con l’avvento del gas illuminante, ottenuto dalla distillazione del carbone, la figura del lampionaio si libera della scala e si dota di una lunga pertica munita di gancio, con cui azionava l’apertura dei beccucci del gas, e all’altro capo della pertica un lumino a spirito per accensione della fiamma all’interno del lampione. Al mattino presto avevano il compito era piú facile con la sola chiusura della chiavetta del gas. L’avvento dell’energia elettrica, all’inizio del secolo scorso, soppiantó di colpo la categoria, i lampioni potevano essere accesi con un solo colpo dalla centrale elettrica!
Oggi il lampionaio sopravvive solo in qualche scolorita stampa dell’epoca e nelle pagine di qualche romanzo d’appendice, in cui si tratteggiava la figura del lampionaio come incolpevole disturbatore al bacio rubato nel buio di una strada.

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