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 Il matrimonio di Caterina
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Gabriella Cuscinà
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Inserito - 18/12/2004 :  18:01:20  Mostra Profilo  Visita la Homepage di Gabriella Cuscinà Invia un Messaggio Privato a Gabriella Cuscinà

Il matrimonio di Caterina

Caterina partì alla volta del Messico e in breve raggiunse lo stato di Oaxaca che è molto caratteristico, ricco di bellezze naturali, con un territorio dalla natura lussureggiante in cui confluiscono varie tradizioni popolari e dove si trovano splendide vestigia dell’epoca preispanica e coloniale. Ne fu affascinata e fu contenta di aver accettato quell’incarico.
Era arrivata nella residenza di Fernando De Lafuente, il suo datore di lavoro, e stava attendendo d’essere ricevuta. Nel frattempo s’era affacciata sulla terrazza. Il suo sguardo vagava sulle rocce enormi e lucide che si ergevano sulla spiaggia, e poi fino al promontorio coperto di fiori selvaggi e di palme nane. Si sentì incantata da quel paesaggio, dal suo colore, dal suo cielo azzurro e oro. Il padrone di casa la ricevette e le parve uno degli uomini più alti che avesse mai visto. Portava degli stivali di cuoio che gli modellavano le gambe muscolose e un paio di pantaloni da cavallo. Una camicia bianca copriva il petto largo e le spalle possenti. La sua fisionomia rivelava un carattere che s’imponeva, una personalità magnetica. Aveva gli occhi dorati e la fronte nobile come il portamento. Inutile dire che Caterina ne fu attratta al primo sguardo.
L’accolse in modo brusco: “Allora signorina, si sente davvero in grado d’assistere e insegnare ad una bimba inferma e claudicante? La mia piccola Ramona è stata malata, ma adesso è tempo che cominci a studiare. Innanzitutto però avrà bisogno di molte cure e molta attenzione.”
“Sì signore, credo di essere in grado di farlo. Mi è sempre piaciuto insegnare e lo farò con piacere per sua figlia.”
Non si era fatta scoraggiare da quel tono aggressivo.
“Bene. Resterà con noi per un periodo di prova. Tra breve conoscerà la sua allieva.” Se ne andò con passo imperioso e Caterina pensò che quell’uomo doveva appartenere a una classe sociale molto elevata. Appariva altero, sicuro di sé e orgoglioso.
Un domestico l’accompagnò attraverso una galleria in stile barocco che portava a un patio con molte piante rampicanti. Una fontana rivestita di piastrelle colorate brillava al sole. C’erano delle poltroncine di ferro dipinte di bianco. Su una di queste era seduta una bellissima bambina bruna, con i capelli ricciuti e gli occhi enormi.
“Ciao. Allora tu resterai con me?” La voce infantile le giunse attraverso il giardino, più forte del sussurro della fontana e del canto degli uccelli.
“Ciao,” rispose Caterina “ sono qui per restare con te e sono molto felice di conoscerti.”
Ramona la guardò con insistenza.
“Non ho mai visto una persona con gli occhi verdi come i tuoi. Di solito ce l’hanno i gatti. Credo che tu faresti le fusa se qualcuno ti accarezzasse.”
Da queste semplici osservazioni, lei intuì che la bimba aveva uno spiccato spirito d’osservazione e una immaginazione fervida.
“Ti piacerebbe provare?” disse tendendo un braccio. “Accarezzami e vedrai da te.”
Fissandola negli occhi, Ramona le passò lievemente una mano sull’avambraccio. Caterina chinò la testa verso di lei e si mise a fare le fusa. Improvvisamente la piccola scoppiò a ridere e la sua mano cercò quella di lei.
“Come ti chiami? Io mi chiamo Ramona De Lafuente e ho sette anni.”
“Io mi chiamo Caterina Berni e ne ho trentadue. Sono Italiana e insegno lingua spagnola e inglese.”
“Non sei tanto male in fondo. Parli lo spagnolo come una straniera. Sei magra e devi mangiare di più. Starai meglio se resterai qui con noi.”
Sentì d’amare immediatamente quella ragazzina tutta occhi, dolce e sdegnosa nello stesso tempo. Aveva un piede deforme e accanto alla sua poltroncina era appoggiata una stampella.
“E’ stato un incidente?” chiese indicando il piede.
“No, sono nata così. Si tratta di focomelia, cioè una malformazione congenita.”
“Mi spiace Ramona; deve essere brutto non poter correre.”
“Non ti dispiacere perché io penso di essere fortunata ad avere un solo piede deforme e non tutti e due.”
“E la tua mamma è morta dandoti alla luce?”
“No e con questo finiamo l’interrogatorio. Mia madre se n’è andata perché non sopportava di vedere che non potevo camminare normalmente. Ora non dire di nuovo che ti dispiace, tanto io la ricordo appena quella lì.”
L’intelligenza normalmente si estrinseca nella capacità a risolvere problemi. Ramona pareva aver risolto tutti i suoi; la sagacia e l’acume si rivelavano dalla profondità del suo sguardo e dal tono tagliente e deciso della voce argentina. Ma in ogni caso, una presenza femminile doveva mancarle.
Apparve il padre e chiese alla bambina se avesse letto qualcosa di recente.
Lei rispose che si era appassionata alle avventure di Tarzan.
“Leggo le storie di un uomo che viveva nella foresta. Lui conosceva il linguaggio di tutti gli animali ed era coraggioso come te, papà.”
“Bene piccola. Leggi ciò che ti piace. Quando sarà possibile tornerai a scuola.”
Tacquero e Caterina guardò Fernando. Aveva sicuramente fatto tutto il possibile per poter operare e guarire la bambina. Per un uomo efficiente come lui doveva essere un tormento vederla così, ma aveva saputo adattarsi e insegnare alla piccola la rassegnazione e l’auto accettazione. Caterina la trovava adorabile anche se non avrebbe mai avuto il fisico perfetto del padre. I lineamenti erano ancor più belli e regolari, ma non avrebbe mai avuto il suo stesso vigore.
Caterina avrebbe voluto sapere se avesse amato la madre di quella bambina sensibile.
Si ritirò nella sua camera dove le pareti erano foderate in damasco color avorio. C’erano mobili scolpiti in legno scuro e il soffitto rococò era color crema e oro. In un angolo della stanza, si trovava un mobiletto con scaffali pieni di una collezione di porcellane. Il letto era in stile coloniale, rivestito da una coperta di pizzo avorio.
Il giorno seguente, Fernando condusse lei e la piccola in jeep, a visitare i possedimenti. Presero una strada in salita e Caterina vide le scogliere scoscese a strapiombo sulla sabbia. Strane piante intorno e foglie che cadevano dagli alberi. Man mano che salivano, la vegetazione diveniva più fitta. Poi arrivarono davanti un recinto di pietra e ai ruderi di un vecchia costruzione. Si sentiva il canto degli uccelli e lontano il mare brillava. Fernando spiegò che erano le vestigia di una fazenda di epoca coloniale. Le api svolazzavano tra i fiori ricchi di polline.
“Quanti fiori!” esclamò Caterina.
“Ecco qui,” disse lui e gliene porse uno simile a un’orchidea. Non aveva alcun profumo, ma era stupendo. Ne rimase affascinata, e pensò di conservarlo come ricordo di lui.
Nei giorni seguenti, si accorse che si stava innamorando del suo datore di lavoro e pensò che raramente aveva provato a farsi bella. Da quel momento lo fece.
Un pomeriggio si trovava nella biblioteca persa nelle sue fantasticherie,
quando la porta si aprì ed entrò il padrone di casa. Era vestito con un paio di pantaloni e una maglietta che gli mettevano in risalto la carnagione bruna. Caterina guardandolo, capì di esserne ormai perdutamente innamorata.
“Mi è venuta voglia di una tazza di caffè e ho pensato di berla con lei,”
disse lui con fare risoluto.
“Sì, grazie signore.”
Negli occhi dorati vi era una luce non solamente ironica.
“L’onestà di una donna disarma un uomo più dell’esperienza,” affermò.
“Io non voglio disarmarla, perché mi dice questo?”
“Credo invece che voglia disarmarmi Caterina?”
“Perché, cosa ho fatto?”
“Stia attenta, non cerchi di giocare con il fuoco.”
“Questo significa che non posso chiedere nulla?”
“Lei è come un gattino spaventato e non è mia abitudine fermarmi a raccogliere i gattini abbandonati.”
“E’ stato gentile a darmi lavoro, ma se vuole me ne andrò.”
“Caterina dovrei prenderla per la collottola e scuoterla.” Così dicendo, toccò con le dita la nuca di lei. “Sa qual è la vera differenza tra uomo e donna? Che la lotta tra due donne è sempre penosa, mentre un uomo e una donna non possono mai essere nemici perché posso sempre essere amanti.”
Le dita scivolarono lungo il collo in una carezza gentile.
Caterina, sotto quella maschera di durezza, scorgeva la capacità di gesti appassionati e l’esistenza di un cuore generoso.
Lo guardava in silenzio e lui continuò: “Ha la pelle di un candore eccezionale, la mia sembra nera vicino alla sua.”
“Quando mi espongo al sole infatti, mi scotto sempre.”
“La mia piccola Ramona mi preoccupa perché mi rendo conto che non ha il mio carattere forte. Eppure dovrà affrontare una vita più incerta della mia. Devo assentarmi spesso per affari, e la bambina ha bisogno di una donna che la ami e si prenda cura di lei.”
“Potrò farlo io, non dubiti. Mi prenderò cura di Ramona.”
“Ha mai mangiato le banane rosate, Caterina?” disse cambiando discorso, “gliene farò assaggiare qualcuna.”
Entrò un domestico con il caffè.
Dopo averlo bevuto, Fernando si affacciò ad un balcone: “Venga a vedere il tramonto sul mare.”
Le ombre si allungavano e le onde avevano i colori della giada e del rubino.
Caterina inspirò l’aria carica di profumi e ammirò l’immensità del paesaggio. Guardò il cielo e ammutolì. Si stava riempiendo di colori:
rosso, oro, viola pallido.
“E’ bellissimo,” sussurrò.
“Non finisce mai di incantarmi e chissà che non abbia trovato un’anima capace di intendermi.”
“Perché signore, finora non l’ha mai trovata?”
“La madre di Ramona era la mia compagna e io l’amavo o credevo di amarla. Poi nacque la bimba ed era focomelica. Quella donna non sopportò di avere una figlia deforme e non amava questo paese. Era un’Americana. Se ne ritornò da dove era venuta.”
Ecco il perché di tanto rancore! pensava Caterina. Doveva averla amata e poi odiata.
“Domani dovrò partire. Si sente in grado di restare sola con Ramona?”
“Sì, senz’altro. E poi ci sono anche i domestici. Non si preoccupi signore.”
“Ho fiducia in lei, altrimenti non mi allontanerei. Ma so che mia figlia è contenta di restare con lei.”

Rimase sola con la bambina e non la perdeva mai di vista.
Ramona parlò delle sue esperienze scolastiche e le disse che i compagni la emarginavano.
“Tu sei una bambina intelligente” ribatté lei “e capirai lentamente che puoi fare loro del bene, perché si abitueranno a te e alla tua menomazione. Diventerete amici e studierete insieme. E’ normale che all’inizio quei ragazzi ti abbiano allontanata. Siete piccoli e loro non si rendevano conto di come agivano. Lo facevano istintivamente e tu ci rimanevi male, è vero?”
Oh! Non sai quanto ho pianto! Forse anche per questo mi sono ammalata e non sono più potuta andare a scuola.”
“Ci tornerai piccola e io ti aiuterò.”
Andarono a passeggiare vicino al mare. Ramona zoppicava, ma insieme a Caterina era felice.
Lei si scottò al sole del Messico e divenne tutta rossa. I suoi occhi verdi spiccavano di più nell’abbronzatura del volto.
Tornò Fernando e sua figlia gli raccontò entusiasta le tante cose che aveva fatto e imparato con la sua nuova amica.
Quella sera lui le espresse la volontà che restasse per occuparsi sempre di Ramona. Parlava in tono che non ammetteva repliche e non immaginava quanto battesse a precipizio il cuore di Caterina.
La mattina dopo, mentre ancora la bambina dormiva, avevano fatto colazione insieme. Improvvisamente lui chinò la testa. Stupita, sentì che la stava baciando sulla bocca. Alla sorpresa seguì una sensazione bruciante che la penetrò sino alle ossa. Lo guardò negli occhi e senza capire ciò che stava succedendo, si girò e scappò nella sua camera. Era scossa e confusa, ma una gioia profonda la pervadeva. Si mise a piangere e non sapeva perché piangesse.
Poi uscì fuori dalla tenuta per allontanarsi e per restare sola con i suoi pensieri. Cominciò ad addentrarsi là dove gli alberi erano più fitti e risuonava un coro di uccelli e il ronzio degli insetti.
Camminava già da una mezz’ora, quando sentì il rumore della pioggia sulle foglie. Rabbrividì e goccioloni le caddero sulle braccia nude.
Si mise a correre, mentre il rumore dell’acqua aumentava. Un lampo brillò nel cielo e il tuono che seguì fu assordante.
Che stupida che era stata! Sarebbe tornata inzuppata!
Infatti la pioggia cadeva forte e le appiccicava addosso il vestito leggero. A capo chino fuggiva e i cespugli le graffiavano le gambe.
“Aaaah!”
Aveva urtato contro qualcosa, forse un tronco d’albero. Ma le sue mani toccarono un corpo. Quel corpo muscoloso non poteva essere che quello di Fernando.
“Smetti di tremare Caterina! Son io!”
“Signore..… è lei?”
Si aggrappò a lui e nascose il viso sulla sua spalla.
“Lo sai che ti amo, vero piccola pazza? Lo sai che ti voglio sposare?”
Le carezzava i capelli bagnati e a Caterina pareva di sognare. La pioggia si abbatteva su di loro, ma pareva che non ci facessero caso.
Avevano scoperto di amarsi e di voler restare per sempre insieme.
Caterina si sentiva euforica. Non pensava più né ai genitori, né all’Italia. Anzi ringraziava il momento in cui s’era decisa a partire, altrimenti non sarebbe mai arrivata in Messico e, soprattutto non avrebbe mai conosciuto Fernando. Con lui sarebbe stata felice come non aveva mai sperato.


Gabriella Cuscinà

   
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